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 2011  aprile 18 Lunedì calendario

NEL PAESE DEGLI INFINITI BALZELLI LA PRESSIONE FISCALE CRESCE ANCORA

Il 23 novembre del 1986, una domenica mattina, 30mila contribuenti sfilarono per le vie di Torino per protestare contro il fisco. L’organizzatore della marcia fu un certo Sergio Gaddi che pubblicava un foglio intitolato "Controstampa". Alla testa del corteo c’era il futuro ministro della Difesa del centrodestra, Antonio Martino, affiancato dall’economista Sergio Ricossa. Il ministro delle Finanze era allora Bruno Visentini e la manifestazione suscitò più curiosità che altro. A dare sostanza a quella prima rivolta scese in campo proprio Giulio Tremonti che in quell’anno pubblicò il suo pamphlet intitolato "Le cento tasse degli italiani".
Erano i tempi della Prima Repubblica, Berlusconi era ancora ben lontano dallo scendere in campo, e la questione delle tasse non figurava ancora nell’agenda del paese. Eppure Ronald Reagan e Margaret Thatcher erano già partiti all’assalto: il loro guru era un certo Arthur Laffer. L’economista, secondo la versione di un grande come John Kenneth Galbraith, seduto in un bar aveva vergato su un tovagliolo di carta la sua grande intuizione teorica: più bassa è la pressione fiscale e più corre l’economia.
Una ipotesi tutta da dimostrare ma il centrodestra ne intuì la forza propagandistica e fu il primo, meno di dieci anni dopo, a raccogliere la bandiera della rivoluzione fiscale. Nel frattempo gli umori anti tasse erano cresciuti: nell’ottobre del 1992 circa 50mila artigiani e commercianti scesero in piazza contro la minimun tax, l’anno seguente il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro definì "lunare" un incomprensibile modello "740". Sempre Giulio Tremonti, ministro delle Finanze nel primo e breve governo Berlusconi del 1994, lasciò a futura memoria il celebre "Libro Bianco": tre aliquote, federalismo, solo otto tasse.
Tutto restò congelato ma la polemica del centrodestra non si fermò: nel 1997 quando saggiamente Prodi e Ciampi portarono l’Italia nell’euro e furono costretti a varare la famosa eurotassa (che portò la pressione fiscale ai livelli massimi del 43,3 per cento ma che fu restituita agli italiani) gli uomini del Cavaliere spararono a zero. Nel Nord Est la Lega organizzò la guerriglia: furono occupati gli uffici Iva e bruciati i modelli della denuncia dei redditi.
E’ bene ricordare quegli eventi agli italiani che si accingono a compilare il "730" e il modello "Unico" recandosi disciplinatamente al Caaf o dal commercialista. Perché di quegli auspici non è rimasto nulla e da circa trent’anni il torchio delle tasse continua a stritolare il nostro paese.
Chi ricorda la promessa con cui Silvio Berlusconi vinse le elezioni del 2001? Chi ricorda i tax day (memorabile fu quello del 27 maggio del 1999)? Forse si rammenta il Contratto con gli italiani firmato dall’attuale premier a Porta a porta nel maggio del 2001: la promessa era di ridurre la griglia fiscale a due sole aliquote, al 23 e al 33 per cento sopra e sotto i 100mila euro.
Oggi è l’Ocse a certificare la situazione: la pressione fiscale è salita nel 2009, anno durante il quale il centrodestra era nuovamente al governo del paese, al record massimo del 43,5 per cento, battendo anche il primato di Prodi ai tempi della rincorsa all’Europa (43,3%). A conti fatti le tasse hanno continuato a perseguitarci negli ultimi anni, durante i quali il centrodestra è stato più a lungo al potere: basti pensare che tra il 1995 e il 2006 la pressione fiscale in Italia è stata costantemente di 2 punti sopra la media europea. Le aliquote sono sempre cinque, le imprese si lamentano, il federalismo rischia di portare con se nuove tasse con lo sblocco delle addizionali Irpef comunali, e nemmeno la semplificazione fiscale, che potrebbe farsi a costo zero, è arrivata a destinazione.
Sopravvivono tasse grottesche e fuori dal tempo: qualcuno sa che è ancora in vigore la tassa sulle paludi istituita nel 1904? Lo sanno senz’altro i milioni di cittadini che la pagano anche se i loro immobili sorgono in zone ormai bonificate da anni e anni. Chi è consapevole che quando andiamo a fare il pieno sulla benzina ancora grava la tassa speciale sui carburanti per finanziare la guerra d’Abissinia del 1935 e quella per la crisi di Suez del 1956? Nel momento in cui si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia nemmeno l’esposizione del Tricolore sfugge al fisco: a Desio il titolare di un albergo si è visto contestare dalla locale concessionaria 140 euro d’imposta per l’esposizione della bandiera nazionale. Altro che due aliquote e flat tax, l’Italia è la fiera del balzello. Tasse su tasse aggrediscono ogni aspetto della nostra vita con particolare predilezione per gli immobili: si paga sui gradini d’ingresso situati sulla pubblica via, dal 2008 ad Agrigento sono tassati i ballatoi che si affacciano sulle strade principali, dovunque vengono tartassati i passi carrai a vantaggio di Anas, Comuni e Province (in alcuni casi gli aumenti sono stati dell’8000 per cento). Naturalmente sopravvive la tassa sull’ombra: la sporgenza della tenda di un locale è equiparata all’occupazione del suolo pubblico. Se si volgono gli occhi al cielo, volteggiano altre tasse. Le gru dei cantieri edili? Pagano al Comune un’imposta. I lampioni, le linee elettriche o telefoniche pagano la Tosap, gli ascensori e i montacarichi sono sottoposti a concessioni governative, gli aerei ad ogni decollo e atterraggio pagano l’Iresa (Imposta regionale emissioni sonore aeromobili).
Non si salva il sottosuolo: tasse su tombini e tubature sotterranee. Pagano tasse i cani (da 20 a 50 euro), gli sposi (a Sorrento incassano 6 milioni l’anno), ma anche i defunti. A Torre del Greco si paga sui tumuli, dovunque si versa la tassa per il certificato di constatazione di decesso, 100 euro per chi predilige la dispersione delle ceneri modello Gange e 15 euro l’anno più Iva per i lumini votivi.
L’imbroglio fiscale è tutto qui. Si calcola che tuttora un contribuente debba lavorare 160 giorni per lo Stato e che dunque si liberi dalle tasse solo nel mese di giugno. Dopo l’estate comincia a guadagnare per se.
L’ultima scommessa, in tempi assai difficili per la crisi economica e i default dei debiti sovrani, l’ha tentata ancora una volta Tremonti. Ha messo al lavoro una serie di "tavoli" per tentare la strada di una riforma fiscale a colpi di semplificazione e cercando di spostare le tasse dalle persone alle cose o ai patrimoni. Nell’attesa si può solo dire che oggi la tasse sul lavoro sono le più alte: rappresentano il 21,2 per cento del Pil, mentre quelle sui consumi e sui capitali stanno intorno al 10 per cento. C’è qualcosa che non va. Come non va la questione dell’evasione: se tutti pagassero le tasse la pressione fiscale salirebbe dal 43 al 52 per cento.
Consapevoli di tutto ciò, possiamo cominciare a compilare la nostra denuncia dei redditi.