Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 18 Lunedì calendario

QUEL VIDEOGIOCO È COME UN FILM

L’appuntamento è per lunedì prossimo, 25 aprile, al Tribeca Film Festival di New York fondato da Robert De Niro. Quando, alle cinque e mezza di pomeriggio, al posto dell’ennesimo lungometraggio, andrà in scena un videogame intitolato L.A. Noire. Il primo gioco elettronico ad essere accolto in un evento simile. Prodotto dalla Rockstar, la stessa della serie di Grand Theft Auto, vi compaiono ben 400 attori e si dice abbia richiesto sei anni di lavoro oltre ad un investimento di circa 100 milioni di dollari. Voci confermate, ufficiosamente, dalla stessa Rockstar. E questo fa di L.A. Noire uno dei tioli per console più costosi della storia. "Siamo onorati per l’invito del Tribeca, ma è un passo in avanti per tutta l’industria dell’intrattenimento", si è schernito a caldo con la sua solita modestia Dan Houser, cofondatore della Rockstar e indicato da Time Magazine come una delle persone più influenti al mondo nel 2009.
In realtà che certi giochi ormai equivalgano dal punto di vista produttivo a film di medio livello non è cosa nuova. Da almeno dieci anni quelli di maggior peso, parliamo di quattro cinque titoli l’anno, hanno eguagliato e poi superato buona parte di ciò che Hollywood manda nelle sale. Basti pensare che Il Grinta dei fratelli Cohen è costato 38 milioni di dollari, 15 appena ne ha richiesti Il discorso del Re (quattro Oscar agli ultimi Academy Awards), mentre solo i film ad alta concentrazione di effetti speciali, da Avatar a Tron Legacy, superano facilmente i 200 milioni. Geoff Gilmore infatti, il direttore artistico del Tribeca Film Festival, ha scelto L.A. Noire per la tecnologia usata nel realizzarlo più che per il budget stellare. Si chiama Motion Scan ed è un sistema creato dal Team Bondi, che ha lavorato al gioco assieme alla Rockstar, per trasferire in digitale le espressioni del viso degli attori. Partendo dal protagonista, Aaron Staton, noto soprattutto aver impersonato il ruolo dell’account Ken Cosgrove nel serial Mad Men. Per circa un anno Staton ha recitato le oltre 200 pagine di dialoghi della sua parte in una stanza bianca circondato da 32 telecamere capaci leggere ogni singolo movimento del suo volto. Lavoro estenuante, come lui stesso ha dichiarato, che ha permesso di creare un intero videogame basato sull’interpretazione degli stati d’animo dei personaggi. Uno dei pochissimi, assieme a Heavy Rain del francese David De Gruttola (in arte David Cage), nei quali la componente psicologica ha un peso determinante nella struttura del gioco. Non a caso anche Cage ha usato attori in carne e ossa filmati nel corso di diciotto mesi. Il Motion Scan però si spinge ancora più avanti.
"Quel che ha fatto la Rockstar e il Team Bondi è semplicemente rivoluzionario", ha commentato Gilmore. "E’ la nascita di un universo, in parte film e in parte gioco, che nel suo complesso rappresenta una nuova forma di narrazione, interattività e immersione". Ambientato nella Los Angeles del 1947, il numero di crimini in quel periodo è stato il più alto nella storia della città californiana, L.A. Noire è un tributo ai romanzi di James Ellroy, di Raymond Chandler e a film come Chinatown di Roman Polanski. Un hard boiled in versione interattiva nel quale si vestono i panni del detective Cole Phelps (Aaron Staton) alle prese con una ventina di casi differenti, ognuno dei quali è a se stante come fosse un episodio di un telefilm. Ma c’è una storia principe che riguarda il passato di Phelps e nella quale rientra il caso della Dalia Nera, l’omicidio di Elizabeth Ann avvenuto proprio a gennaio del Quarantasette e che tanto ha ossessionato Ellroy. Nei casi che abbiamo avuto modo di giocare, oltre ad elementi classici del videogame d’azione come inseguimenti e sparatorie, quel che distingue L.A. Noire sono i dialoghi. Ogni volta che si interroga un sospetto o un testimone si hanno a disposizione tre atteggiamenti diversi, più o meno aggressivi, che provocano nella persona con quale stiamo parlando reazioni differenti. Ed è attraverso l’interpretazione di queste stati che Cole Phelps riesce a ottenere ciò che cerca. L’impressione però è che il Team Bondi di Brendan McNamara si sia innamorato un po’ troppo di queste fasi, riproponendole su scala industriale. I 400 attori impiegati, figure di primo e di secondo piano, si susseguono così dando solo un assaggio di profondità psicologica e uscendo di scena proprio quando cominciano a diventare tridimensionali.
"I videogame devono essere divertenti", ha spiegato Dan Houser. "In ogni loro momento. Non devono mai annoiare". Limite e pregio di tanti giochi ambiziosi, quelli della Rockstar in primis, dove alla fine più che la trama è sempre l’azione (il gameplay) il centro. "Domina il presente, non il passato come al cinema", sintetizza lo stesso Houser. E poi, prima del Motion Scan, ci sono sempre stati molti limiti tecnici che impedivano di andare oltre i soliti cliché. E così sceneggiatori e registi di successo si sono sempre tenuti alla larga da questo settore. Con qualche, importante, eccezione: il coinvolgimento dello scrittore Alex Garland (da The Bech a 28 giorni dopo) in Enlsaved, che proprio nei dialoghi aveva uno dei suoi punti di forza; quello di John Milius (Apocalypse Now) prima in Medal of Honor: European Assault poi nel più recente Homefront; quello di John Carpenter (La Cosa, 1997: Fuga da New York) in F.3.A.R. che uscirà a fine maggio. Ma i videogame restano un terreno difficile, con regole ostiche per la gente di Hollywood. Ne sa qualcosa John Woo (A Better Tomorrow e Face/off fra gli altri) che con Stranglehold sperava di realizzare nei giochi quel che al cinema non era mai riuscito a fare e invece si è ritrovato con le mani legate a seguire un canovaccio tutto sparatorie e inseguimenti. Tanto che un suo collega, Steven Spielberg, ha preferito lasciare da parte ogni velleità narrativa e puntare direttamente al semplice passatempo con Boom Blox, nel quale si distruggono scatole grazie al telecomando della Wii.
Il Motion Scan però in prospettiva potrebbe davvero cambiare le cose, perché permette di portare nei videogame le mille sfumature della recitazione. Con tutto quel che ne consegue. Non è cosa da poco. Anzi, come dice Geoff Gilmore, è una rivoluzione.