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 2011  febbraio 12 Sabato calendario

SEMBRA IL FINALE DEL CAIMANO IL CAVALIERE USA LE SUE TV COSÌ SI PERPETUA I BERLUSCONISMO

Non vedevo il film di Nanni Moretti, "Il Caimano" da quando fu proiettato per la prima volta cinque anni fa nella sala del "Sacher" a Trastevere. Ricordo che era gremita, con la gente seduta per terra nei corridoi della platea e addossata alle pareti. Alla fine ci fu un’ovazione.
Lui era imbarazzato perché non riusciva a sottrarsi alla folla che voleva abbracciarlo o almeno dargli la mano. E d’umore molto scorbutico Moretti, si concede molto poco.
Non è per sobrietà ma per una sorta di nevrosi che ha come risvolto positivo una lucidità mentale che aguzza la sua capacità di capire gli altri e se stesso. I suoi film raccontano il suo sé ed anche il sé altrui; i personaggi sono spesso la sua controfigura o il suo opposto. Per questo il personaggio Berlusconi gli è venuto benissimo: è il suo opposto assoluto salvo quel tanto di paranoia che perseguita tutti e due. Perciò gli è stato facile metterlo in scena, l’ha costruito animandolo di passioni opposte alle sue e in quel modo il ritratto si è perfettamente sovrapposto all’originale. Il Caimano non è il risultato di una profezia azzeccata ma d’un attento lavoro di psicanalisi.

Di quel film ricordavo il finale, il discorso del protagonista in Tribunale, la sentenza di condanna, l’arringa del leader all’uscita dal Palazzo di Giustizia, l’insurrezione della sua gente e infine le fiamme della città incendiata. Insomma la guerra civile.
Siamo a questo? I seguaci di Berlusconi insorgeranno? Contro la magistratura e contro le leggi? Dopo 15 anni di confisca berlusconiana d’una parte cospicua della pubblica opinione? L’ho chiesto a Moretti in una lunga telefonata dopo aver letto le sue interviste all’"Unità" e al "Manifesto", nelle quali parlava dei suoi agitati rapporti con la Rai che aveva bloccato gli ultimi sette minuti del suo film nella trasmissione di Serena Dandini di giovedì sera.

"Non credo" risponde Moretti. "Noi non siamo un Paese di insurrezioni e poi siamo in Europa, la gente pensa piuttosto come sbarcare il lunario e non ai vizi di Berlusconi o a quelli dei magistrati che secondo lui lo perseguitano. Ma quanto doveva accadere ormai è accaduto. La bomba è scoppiata e non restano che rovine fumanti".

Le parole del Caimano nel finale del film sono identiche a quelle pronunciate negli ultimi tre giorni da Berlusconi nei suoi interventi pubblici. Dico identiche, non simili: identiche. Sembra quasi che abbia rivisto il film e ne abbia mandato a memoria quelle parole. Insomma, dico a Moretti, gliele hai scritte tu, non Giuliano Ferrara.
"Hai ragione, sembra che il finale del Caimano sia esattamente il Berlusconi di questi giorni".

Tu però le ha scritte cinque anni fa, nel 2005. Lui era al governo da quattro anni. All’epoca non si parlava di "escort", ma la sua concezione del potere era già evidente.
"Era evidente già molto tempo prima. Questa storia comincia nel 1994, quando prese il potere per la prima volta. Non era mai accaduto che un "tycoon" della televisione diventasse capo del governo mettendo insieme le sue televisioni private e quella pubblica. Un gigantesco conflitto di interessi che la sinistra avrebbe dovuto sollevare subito, prima, durante e dopo le elezioni che comunque furono perse".

La sinistra di allora era il Pds guidato da Occhetto, le elezioni furono perse perché la Dc di Martinazzoli seguì le indicazioni del Vaticano e non si alleò con il Pds. La sinistra sollevò il tema del conflitto di interessi.
"Sì, lo sollevò ma poi non fece nulla per impedirlo e quando tornò al governo con Prodi il conflitto di interessi fu abbandonato. Secondo me avrebbe dovuto essere il tema numero uno. Le televisioni sono lo strumento principale di Berlusconi che le usa con una spregiudicatezza raccapricciante. In più ha anche in mano il cinema attraverso la Medusa, il suo dominio sulle comunicazioni è pressoché totale. L’opinione pubblica italiana si forma per l’80 per cento sulle televisioni, così è nato il berlusconismo e così rischia di perpetuarsi".

Prodi però vinse e vinse due volte anche se la seconda fu una vittoria di breve e travagliata durata...
"E fu buttato giù da Bertinotti tutte e due le volte. A me il governo Prodi del ’96 sembrò un buon governo, lo dico perché mi si accusa spesso d’avere un partito preso contro la sinistra riformista. Non è vero. Non mi piace la sinistra inconcludente, sia quella radicale sia quella riformista. Negli ultimi anni sono stati purtroppo inconcludenti tutti e due".

Tu pensi che non ci sia possibilità di uscire dalla situazione presente? Se si determinasse un’alleanza di tutte le opposizioni la vittoria sarebbe molto probabile.
Non risponde, tanto che penso che la linea telefonica sia per qualche ragione caduta; invece no, Nanni è all’altro capo del filo. "Ci sto pensando, ma come sai non sono un politico e comunque non spetta a me dar consigli. Non lo so, francamente non lo so. Anzi, non farmela questa domanda".

Ormai te l’ho fatta, scriverò che non lo sai, come hai appena detto. Ma c’è un altro tema sul quale mi piacerebbe avere la tua risposta ed è il berlusconismo. Di personaggi come lui ce ne sono parecchi ma il berlusconismo è un modo di pensare e di comportarsi che in Italia sembra scritto su una parte della nostra antropologia. C’è stato il caso di Mussolini, dell’Uomo Qualunque, di Craxi e infine di Berlusconi. Sono cose molto diverse ma con profonde analogie. Che cosa ne pensi?
"Penso che il berlusconismo sia una causa e contemporaneamente un effetto. I casi da te indicati sono diversi ma c’è una predisposizione italiana a farsi sedurre dalla demagogia e dal populismo. Tempo fa, quando fu eletto in Francia Sarkozy presidente della Repubblica, molti pensarono che era emerso in Europa un altro Berlusconi, ma non è affatto vero. Sarkozy è tutt’altra cosa. Ha anche lui alcuni aspetti politicamente sgradevoli ma non hanno niente a che vedere col berlusconismo. Tra l’altro non possiede e non influenza né televisioni né giornali".
E poi la Francia non è l’Italia, lì lo Stato esiste davvero, da noi no.
"A me piace lo Stato se fosse libero dalle lobbies e dalle bande che troppo spesso lo occupano. Noi abbiamo al governo la lobby più potente che ci sia mai stata in questo Paese e lo si doveva capire fin dal primo momento".
Gli dico: forse non te lo ricordi, ma io scrissi un articolo su Repubblica nell’agosto del ’92 intitolato "Mackie Messer ha il coltello ma vedere non lo fa". Nel ’92, due anni prima che lui si occupasse di politica. I segnali erano evidenti.
"Ma i politici non lo capirono".
Oggi l’hanno capito.
"Temo che sia troppo tardi".
Io spero di no. La conversazione è finita. Abbiamo deciso di incontrarci presto per fare un po’ di monitoraggio. Ma sono cose che si dicono e poi non si fanno e del resto monitorare, a questo punto, non basta più.