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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

QUESTO VOLTO NON MI È NUOVO

Come vediamo i volti degli altri? Non li vediamo mai nelle stesse condizioni di luce, né da una medesima angolazione. Lo sapeva bene Leonardo, che cercava di coglierne l’essenza ritraendoli in diversi momenti del giorno e nelle pose più diverse. E l’essenza stava proprio nel loro cambiamento e, più in generale, nel movimento. È così che nella vita quotidiana noi, ma anche molte altre specie animali, riconosciamo gli altri individui, nonostante essi si spostino e mutino nel tempo. Senza peraltro renderci conto di quanto incredibile sia tale capacità, questo essere, in senso lato, «fisionomisti». C’è nel nostro cervello, in condizioni normali, un preciso meccanismo deputato al riconoscimento dei volti. Qualcosa che ci convince che colui che abbiamo davanti è proprio lui e non un suo sosia. Se effettivamente avessimo davanti un sosia, questi dovrebbe essere molto abile a imitarne anche il più sottile atteggiamento, dalla postura al modo di gesticolare e di camminare. Ciò che riconosciamo come una persona, proprio "quella" persona, è un insieme composito di elementi che costituiscono una sorta di continuum qualitativo. Quando il meccanismo non funziona sorgono strane patologie, come quella studiata dal neurofisiologo Vilayanur S. Ramachandran in alcuni pazienti divenuti improvvisamente incapaci di riconoscere la loro stessa madre. «Sì – dicono – sembrerebbe proprio lei. L’aspetto esteriore mi indurrebbe a crederlo. Ma il suo modo di gesticolare, o di parlare, non mi convince. Anzi mi induce a credere con certezza che non si tratti di lei». E non c’è modo di convincerli del contrario. Loro vorrebbero avere davanti a sé la loro madre, ma non vedono altro che un’impostora. Al contrario ci sono patologie per cui alcune persone – ma anche non pochi animali – tendono a vedere volti dappertutto, dalle classiche nuvole, alle macchie d’umido sui muri, agli oggetti di uso quotidiano.