Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 23 Domenica calendario

IN MILLE PER GARIBALDI

Dai giorni esaltanti che lo consacrarono mito inattaccabile, erano passati tre anni. Non molti, quando Giuseppe Garibaldi fece il suo viaggio di 25 giorni in Inghilterra. Tanto entusiasmo, tra conferenze, applausi e a volte imbarazzi. Come durante l’intervento al Christal Palace, dove si parlò della spedizione del 1860 nelle Due Sicilie. Le parole di Garibaldi furono inequivocabili: «Parlo di ciò che so, perché la regina e il Governo inglese si sono stupendamente comportati verso la nostra natia Italia. Senza di essi noi subiremmo ancora il giogo dei Borbone a Napoli; se non fosse stato per l’ammiraglio Mundy non avrei mai potuto passare lo stretto di Messina». E ancora, più chiaro: «Il popolo inglese ci ha assistito nella nostra guerra nel Sud d’Italia». L’Inghilterra grande sponsor, non solo ideale, della spedizione dei Mille. Con disinvoltura, Garibaldi lo ammise. Il 25 marzo 1860, partì per la Sicilia un gruppetto di fedelissimi con il compito di preparare il terreno ed i consensi sull’isola: Giovanni Corrao, Rosolino Pilo, il marinaio Agostino Paganetto ed il timoniere Raffaele Motto. Pagarono 1500 lire per noleggiare un’imbarcazione, tolte dai fondi raccolti dalla loggia massonica di Genova «Trionfo Ligure». A Corrao e Pilo il compito di intrecciare intese con i baroni siciliani, assicurarsi il loro appoggio e il reclutamento delle squadre di picciotti. Ma è in Inghilterra che le logge di rito massonico scozzese si danno più da fare per finanziare la spedizione. Nel 1988, il professore Giulio De Vita tenne a Torino una relazione. Si occupò dei finanziamenti alla spedizione dei Mille e parlò di tre milioni di franchi francesi raccolti dalla logge scozzesi in Inghilterra, Canada e Stati Uniti. Quando, nel 1864, proprio l’anno del viaggio di Garibaldi in Inghilterra, il ministro delle Finanze, Quintino Sella, fu costretto ad inserire in bilancio la voce «spese per la spedizione di Garibaldi», segnò la considerevole somma di 7 milioni e 900mila lire. Si trattava solo dei soldi ufficiali, naturalmente. In Inghilterra, Giuseppe Mazzini promosse più incontri per raccogliere consensi attorno alla spedizione, sollecitando raccolte di fondi. A quelle riunioni, ricordò nei suoi lavori lo storico inglese Denis Mack Smith, partecipò spesso l’esule tedesco Karl Blind, che poi raccontò: «Non tutto quello che si decideva veniva raccontato a Garibaldi nel timore che potesse riferire tutto a Vittorio Emanuele con cui era in rapporti». Guardarono con simpatia a Mazzini e alla sua richiesta di denaro gente facoltosa come James Stansfeld, proprietario di una fabbrica di birra a Fulham; Peter Stuart, armatore a Liverpool; John McAdam di Glasgow; Peter Taylor, vice presidente dell’industria tessile Courtauld; l’industriale Joseph Cowen di Newcastle, titolare di un’azienda di ceramiche e utensili esportati in tutta l’Europa. Alcuni erano già finanziatori del partito per l’Italia unita e davano denaro anche alla scuola di Mazzini a Hatton Garden. Dopo le famose lettere di William Gladstone contro il regno delle Due Sicilie bollato come «negazione di Dio», le simpatie inglesi verso il Piemonte e l’unificazione del Sud erano aumentate. Così, quando si diffuse la voce che la famosa spedizione sarebbe stata guidata da Garibaldi, la raccolta di fondi si incrementò. I mazziniani crearono un «Fondo per Garibaldi». Dalla Scozia arrivarono oltre 2530 sterline. Charles Forbes, conte di Montalbert, che partecipò alla spedizione garibaldina, denunciò in un suo famoso libro che, nonostante a Londra fossero state raccolte ben 30mila sterline, ne furono realmente impiegate solo tremila. Che fine fecero le altre ? Ma in Inghilterra non si raccolsero solo soldi, si promossero anche arruolamenti di volontari con annunci sui giornali come il «Daily news». Si presentarono 1500 uomini, ne vennero scelti mille. A combattere nella battaglia sul Volturno, ce ne erano 800, in gran parte ex militari in Crimea e in India. Quella gente veniva definita «escursionisti per Napoli». Un modo per coprire quello che di segreto non aveva più nulla. Nel consuntivo di 26 pagine calcolato per la «Cassa di soccorso a Garibaldi» gestita da Agostino Bertani figuravano 629 milioni e 106mila lire tra il 1860 e 1861. Di quel denaro, 500 milioni e 765mila lire provenivano dai prelievi dalle casse delle Due Sicilie. Confische da conquista. Soldi su cui rimasero dubbi, tra accuse di liberali moderati e repliche di garibaldini e mazziniani. Quando Ippolito Nievo tornò in Sicilia per recuperare i documenti sulle spese delle dittature garibaldine, la nave «Ercole» naufragò al largo di Capri. Portò in fondo al mare la verità su quelle spese. E quando il colonnello Cesare Cesari dell’Ufficio storico dell’esercito agli inizi del ’900 visionò i documenti rimasti, concluse che la spedizione partì con appena 90mila lire. Sul piano militare, gli inglesi fecero di più con la presenza di una flotta al comando dell’ammiraglio George Rodney Mundy. Le sue navi stazionavano al largo di Marsala, fiorente centro di commercio e produzione di vini gestito da famiglie inglesi come i Woodhouse, gli Ingham, gli Hopps, Wood, Corlett. Ufficialmente, la flotta doveva proteggere i cittadini britannici. Finì per fare da ostacolo alle cannonate delle navi borboniche accorse sul luogo dello sbarco, tra tentennamenti ed esitazioni. La prima notte dopo lo sbarco, Garibaldi dormì in casa del vice console inglese Richard Brown Cossins, cui poi i garibaldini affidarono poi le loro lettere regalandogli la bandiera del «Lombardo». Di certo, la presenza delle navi inglesi e dell’ammiraglio Mundy, poi garante della tregua durante i combattimenti a Palermo, non fu neutrale nonostante gli equilibrismi diplomatici. E quando il 6 novembre 1860 Garibaldi, in partenza per Caprera, lo andò a salutare, gli disse: «Il vostro comportamento verso di me è stato così gentile e generoso che il suo ricordo non potrà mai cancellarsi dalla mia memoria». Frasi che Mundy, tre anni dopo, non dimenticò per il suo diario.