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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

IL BOOM CINESE NEL SEGNO DI CONFUCIO

Anche se non vi si respira l’atmosfera postmoderna di Shanghai, ogni volta che si ritorna a Pechino si trova qualcosa di nuovo. Si può trattare di un museo, di una sala da concerto, di un tratto di metropolitana o, semplicemente, di qualche grappolo di nuovi grattacieli, ma qualcosa di nuovo c’è sempre. La novità di questi giorni è tuttavia un po’ diversa dal solito. Proprio sulla piazza di Tian’anmen, cuore della memoria storica e centro del potere della Cina, è comparsa improvvisamente una grande statua di Confucio. Una statua imponente, alta quasi otto metri. L’antico filosofo vi è rappresentato con l’aspetto di un massiccio saggio contadino mentre quasi osserva, da poche decine di metri di distanza, il ritratto di Mao.
Se gli italiani sono lasciati troppo liberi di continuare a identificarsi con Silvio, anche quando si presenta nella veste di goliardico peccatore, il tasso di moralità collettiva rischia di scendere sotto il livello di guardia. E a quel punto sarà l’autorità della Chiesa a essere messa in discussione. Se sta crescendo l’apprensione - e la pressione - del Vaticano, sale ancora più rapidamente la temperatura della Lega. Bossi, in questi giorni, ha tenuto abilmente bordone a Berlusconi. Tenendolo in vita e, al tempo stesso, tenendolo sul braciere. Consapevole che se il premier dovesse anche stavolta riuscire a restare a galla, il merito principale spetterebbe ai suoi alleati leghisti. E se invece la crisi dovesse, prima o poi, precipitare, la gogna cui è esposto Berlusconi farebbe certamente spostare un altro pezzo di elettorato Pdl verso le truppe del Senatur. In pratica, in questa fase, la Lega ha in mano le sorti, e la regia, del governo. Più la crisi, però, si surriscalda più il cerino che resta in mano a Bossi diventa incandescente e imbarazzante. Finora Bossi ha potuto far finta che i problemi del premier lo riguardassero solo di striscio. Rivendicando il fatto che la Lega ha il suo obiettivo prioritario da portare assolutamente a casa, che l’unica posta che conta è il varo del federalismo. Ma nel momento in cui ci si trovasse di fronte al bivio di un nuovo governo o di elezioni anticipate, Bossi dovrebbe fare una scelta. Una scelta che difficilmente potrebbe ricalcare lo schema collaudato di fare la spalla a Berlusconi. Se davvero Berlusconi si vedesse forzato a fare un passo indietro, che passo avanti farà la Lega? Senza più la copertura del premier, alla cui corte è tanto cresciuta, e senza più la rendita di posizione di cui ha goduto rimanendo rinchiusa nei suoi protettorati nordisti, quale sarà la bussola e l’immagine con cui la Lega si presenterà al paese? Gli spiragli che, in questi giorni, si sono aperti sulla trattativa coi comuni in materia di riequilibrio fiscale sembrerebbero fare intravedere una Lega meno arroccata dietro i propri steccati, più interessata ad aprire il dialogo con altre realtà - istituzionali e territoriali - del paese. È ancora presto per capire se ciò preluda, almeno in prospettiva, a un ruolo nazionale della Lega, al tentativo di mettere in campo un progetto di governabilità che parli - o almeno cerchi di parlare - all’Italia nel suo insieme. Bossi si rende certo conto che la stagione del berlusconismo è ormai al crepuscolo o, come un tempo si diceva, alla frutta. Inventarsi nuovi scenari per un paese così frammentato e esacerbato non è un’impresa facile. Ma, proprio nelle situazioni più critiche, è meglio giocare di anticipo che farsi infilzare in contropiede.