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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

Era razzista ma pure genio Francia, tienti stretto Céline Non so se sia definitiva la decisione dello Stato francese di non dedicare alcuna cerimonia ufficiale al cinquantesimo anniversario della morte di Louis-Ferdinand Céline (nato nel 1894, è morto nel 1961), e questo in ragione del suo antisemitismo

Era razzista ma pure genio Francia, tienti stretto Céline Non so se sia definitiva la decisione dello Stato francese di non dedicare alcuna cerimonia ufficiale al cinquantesimo anniversario della morte di Louis-Ferdinand Céline (nato nel 1894, è morto nel 1961), e questo in ragione del suo antisemitismo. Un antisemitismo che aveva innervato tutta la sua vita, ma che raggiunse vette inaudite di virulenza e di delirio in un paio di libri scritti fra ultimi anni Trenta e primi anni Quaranta. Credo però che sia definitiva, e in questo caso ne resto di stucco. Ho cominciato ad amare Céline, che reputo uno dei quattro o cinque scrittori più grandi del Novecento, quando avevo poco più di vent’anni, e dunque quando ero di una sinistra netta e radicale. Avevo letto un suo elogio da parte di Leone Trotsky che ne era rimasto ammaliato. Fu un gran giorno della nostra vita di lettori quello in cui apparve nelle librerie italiane la prima traduzione (di Giorgio Caproni) di Morte a credito, il capolavoro del 1936, e laddove il frastornante Viaggio al termine della notte (uscito in Francia nel 1932) era stato tradotto in italiano immediatamente dall’editore Corbaccio. Emozioni tragiche Da studente di Lingue e letterature moderne ho poi letto Céline nell’originale francese (credo di averlo letto tutto), ed è stata una delle emozioni più grandi nella mia vita di lettore assatanato. Certo che me la ricordo bene la lucentezza tragica delle pagine in cui il suo furore antiebraico diventa verbalmente allucinante. Certo che mi ricordo le pagine di diario di Ernst Jünger (in quel momento ufficiale dell’esercito tedesco occupante) che riferisce di sue cene parigine in cui ha a fianco un Céline esaltatissimo nel rimproverare ai tedeschi di essere fin troppo teneri con gli ebrei. Pose e parole allucinanti. E con tutto questo definire il Céline antisemita «un farabutto», come mi pare abbia fatto l’attuale sindaco di Parigi, è roba che in fatto di in- telligenza della storia culturale francese del Novecento non è neppure degna della terza elementare. Céline fu un antisemita delle parole ma non delle azioni, in un tempo in cui l’antisemitismo era una vena che scorreva fluente nell’organismo culturale della Francia, ma non fu in niente della sua vita un farabutto. Quanto all’antisemitismo una mercanzia culturale ignota all’Italia fra fine Ottocento e inizio Novecento, e ci vollero le ributtanti leggi razziali del 1938 per dare di che sproloquiare a qualche antisemita italiano di terza tacca la Francia aveva al suo attivo un monnezza gigantesca, “l’affare Dreyfus” a tutta prima. Ossia l’immane macchinazione ordita contro un ufficiale ebreo innocentissimo da parte di altri ufficiali, politici e intellettuali, e che era sostenuta da una parte ampia dell’opinione pubblica francese. Più che in ogni altro Paese europeo, più ancora che nella Germania ante- Hitler, nella Francia di inizio secolo l’antisemitismo è fio- rente e ha dalla sua penne di intellettuali prestigiosi. Spruzzatine di antisemitismo soft le trovi in quegli anni dappertutto, a esempio nelle pagine di diario di André Gide. Guerra civile Il giovane François Mitterrand debutta in quegli anni da sostenitore di gruppi di destra dove è diffusissima la lettura dell’Action Française, un giornale che ha il suo guru in Charles Maurras, uno scrittore e un polemista che quanto ad antisemitismo non scherza davvero. La guerra civile latente nell’Europa degli anni Venti e Trenta è furibonda in Francia, e naturalmente lo schieramento della destra politica e intellettuale intinge il suo pane nel brodo dell’antisemitismo. Lo scontro tra le due metà in cui è divisa la Francia è ter- rificante il 6 febbraio del 1934, quando i vari cortei della “destra” confluiscono a Place de la Concorde nel dare l’assalto all’antistante Camera dei Deputati e mancò un pelo che quell’assalto non riuscisse. La vittoria del Fronte Popolare nel 1936 accentua la spaccatura tra le due metà della Francia, una spaccatura che si fa drammatica nel giugno 1940 quando i nazisti travolgono l’esercito francese, e sono in tantissimi a dire che la debolezza militare della Francia è tutta colpa degli ebrei e dei comunisti che sostenevano il Fronte Popolare e facevano funzionare a malapena le fabbriche di armi francesi. Sono gli anni in cui il linguaggio della contrapposizione politica frontale si fa spaventoso. Intellettuali raffinati che militano a destra, Robert Brasillach come Lucien Rebatet, non si risparmiano nulla in fatto di invettive e minacce contro quelli della sponda opposta, ebrei compresi. Alla Liberazione Brasillach verrà condannato a morte e fucilato; Rebatet condannato a morte e poi graziato, e poi immediatamente pubblicato dal più grande editore francese, Gallimard, che aveva a capo Jean Paulhan, un eroe della Resistenza. In fuga da Parigi Céline fugge dalla Parigi da cui si sono ritirati i tedeschi. Si acquatta in Danimarca. Contumace, viene condannato all’ergastolo e più tardi graziato perché s’era battuto eroicamente durante la Prima guerra mondiale. Mai qualcuno potrà rimproveragli di aver fatto del male a tizio o a caio, di avere denunciato tizio o caio perché ebreo. Cosa che aveva fatto Maurras, il quale aveva indicato il nome di un ricco ebreo che i miliziani fascisti ammazzeranno come un cane nel febbraio 1944. Quel ricco ebreo era il padre di Roger Stéphane, giornalista e scrittore tra i più notevoli nella Francia del secondo dopoguerra (è morto suicida nel 1994). E comunque Maurras verrà assolto dall’accusa di avere scritto un articolo in cui indicava il padre di Stéphane a mo’ di un bersaglio. Céline non aveva mai indicato nessuno perché gli facessero la festa. Aveva delirato alla grande al tempo in cui erano in tanti a delirare, non solo dalla sponda della destra. Aveva pagato un prezzo non piccolo, sotto forma di un esilio durato a lungo. Nel tempo dell’esilio e dal tempo dell’esilio aveva tratto una trilogia romanzesca che se non l’hai letta non sai nulla dei sapori del Novecento, tre capolavori non inferiori ai due romanzi degli anni Trenta. Era poi tornato a Parigi, in una casuccia in periferia. Faceva il medico dei poveri, spesso non si faceva pagare. È morto che in tasca non aveva un franco, e mentre la sua opera contraddittoria e drammatica si staglia come un monumento del terribile XX secolo. Non celebrare il cinquantesimo anniversario della sua morte? Che idioti piccoli piccoli.