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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

IN RITIRATA IL POPOLO DELLE PARTITE IVA

Addio partita Iva, molto meglio il posto fisso. L’Italia del lavoro autonomo passa la mano. O quanto meno si è presa una lunga vacanza. I numeri, eloquenti, li ha scritti il Censis nel 44° Rapporto sociale. Nell’ultimo decennio, il lavoro dipendente è cresciuto di 2,4 milioni, con un aumento del 16 per cento dal ’99. E nella stessa fase temporale, il lavoratori autonomi sono diminuiti di 200 mila unità (-3,8 per cento). Una emorragia che, se si guarda solo agli ultimi 5 anni, si è fatta ancor più grave. Il mondo del lavoro autonomo, oggi, offre un posto a 5,3 milioni di italiani. Nel 2004 erano 5,7.
Dal 2004, insomma, tra aziende che hanno tirato giù le saracinesche e liberi professionisti che hanno rinunciato a collaboratori, sono andati in fumo 400 mila posti. Una botta mica da ridere che ha colpito soprattutto gli imprenditori. Ne sono rimasti 261 mila in Italia, 141 mila in meno di 5 anni fa, con un calo del 35 per cento. Stessa musica, con numeri molto meno drammatici per la verità, sul pianeta dei lavoratori in proprio. Sono 90 mila in meno rispetto al 2004. E quelli che resistono alla crisi tagliano il personale (5,9 per cento in meno negli ultimi 5 anni).
«Mettersi in proprio, che fino a qualche anno fa era la massima ambizione dei giovani – osserva il Censis – ha perso appeal ed è diventata un’impresa per pochi». E i fatti lo confermano.La fuga dal lavoro autonomo è quasi un’esclusiva degli under 34. Sotto questa fascia di ètà, si sono persi 390 dei 400 mila posti complessivi. Un problema generazionale, sembra di capire. Con spiegazioni piuttosto concrete. «L’Italia – analizza il Censis nel Rapporto sociale – è da anni il Paese europeo dove è più difficile avviare un’impresa. E questo malgrado sia ormai condivisa l’idea che un apparato burocratico e invasivo come il nostro sia un fardello non più sostenibile dal sistema”. E così un esercito di giovani getta la spugna. Tornando a sognare il posto in banca o alle poste. Magari meno gratificante e reddititizio ma più sicuro. E soprattutto senza la burocrazia tra i piedi. Il recente studio “Doing business” della Banca Mondiale snocciola numeri impietosi sulle inefficienze attraverso le quali la Pa italiana intralcia gli imprenditori. L’Italia è ultima tra i Paesi Ocse nelle classifiche di efficienza su concessioni edilizie, protezione degli investitori, accesso al credito, avvio di attività e norme per l’assunzione del personale. E in fatto di semplicità degli adempimenti fiscali, 136^ al mondo, è messa addirittura peggio di alcuni Paesi africani. Beffarda, una sola voce ci vede primeggiare. La Banca mondiale segnala che in Italia sbrigare le pratiche per chiudere un’attività è semplicissimo. Bella soddisfazione, lo Stato ti agevola solo quando ti accompagna alla porta. Ancora il Censis: «Nella crisi, gli autonomi si sono accollati sulle spalle, indifesi, il problema dei problemi: la disponibilità di denaro.
E se le banche non si sono certo distinte per l’adozione di politiche sensibili alle esigenze delle piccole e piccolissime aziende, non meglio hanno fatto le amministrazioni pubbliche». In Italia, calcola il Censis, ci vogliono in media 6 mesi per farsi pagare una fattura dallo Stato. Negli altri Paesi europei ce ne vogliono al massimo due. Tanto da costringere il 30 per cento degli imprenditori, nel corso del 2010, a rivolgersi a parenti o amici per un prestito.