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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

COSI’ SANREMO «SVELA» LE INQUIETUDINI DELL’ITALIA

«Lungi dall’essere specchio della società e del costume, Sanremo ha assunto precocemente e ha conservato le caratteristiche di un più modesto, ma anche più interessante discorso sullo stato di salute della nazione che, uscita ferita dalle lusinghe del nazionalismo, privilegiava il parlare di sé stessa entro le forme lievi di un linguaggio tuttavia profondamente depositato quale quello musicale» . Con questa premessa in minore, l’etnomusicologa Serena Facci e lo storico Paolo Soddu hanno affrontato una delle grandi cerimonie mediatiche del nostro Paese, quel rito collettivo che ogni anno si celebra fra entusiasmi e polemiche, nato da una manifestazione di canzoni che, dal 1951, tra alti e bassi, svolge una funzione istituzionale unica in tutta Europa. Giustamente i due autori de «Il Festival di Sanremo. Parole e suoni raccontano la nazione» (Carocci editore; il libro uscirà in libreria a fine mese) non cadono nel tranello di considerare il Festival come il riflesso immediato degli stati d’animo della nazione ma, unendo le loro competenze, e partendo quindi da un’attenta e preziosa analisi musicale e testuale delle canzoni (il che fa piazza pulita di quella vasta e un po’ corriva letteratura sui retroscena di Sanremo), preferiscono puntare l’attenzione sul Festival come celebrazione del sentire comune del Paese, attraverso cui si manifestano permanenze, innovazioni, sofferenze e aspirazioni della nostra collettività. Il Festival è una sorta di archetipo delle comunicazioni di massa, una cerimonia pubblica che ogni febbraio stringe una platea che lo attende con timore e voluttà: pubblico, giornalisti, tv. Ogni anno si consuma un rito: mezza nazione incollata al video, canzoni più o meno insensate, la grande occasione per parlare -per liberarsi? -di Sanremo, delle canzoni, della tv. Come quella volta che Adriano Celentano, era il 1961, intonò «24 mila baci» : «Celentano inizia immediatamente a cantare "Amami ti voglio bene". Un incipit mesto, ma perentorio. Prende il posto del verse, la strofa introduttiva in semi-recitativo del song classico, che aveva un ruolo narrativo ed era preceduta dall’introduzione orchestrale. In questo caso si tratta di un solo verso, senza introduzione strumentale, che comincia con un verbo all’imperativo, con lo spirito di chi spalanca una porta senza chiedere permesso» . Il libro alterna osservazioni storiche e di costume con vere e proprie analisi musicali in una costruzione che mescola saperi diversi ma ben armonizzati. Ne esce fuori un ritrattone storico di Sanremo che si dispiega, al contempo, in un grandioso affresco dei gusti musicali degli italiani. «Per me è uno stage – sostiene Renzo Arbore -un corso accelerato di interpretazione dello spirito nazionale» . Promossa agli inizi degli anni Cinquanta dall’industriale Pier Busseti, gestore del Casinò di Sanremo, l’idea di un Festival della canzone italiana attira subito l’interesse della Rai che, secondo le iniziali intenzioni, interviene nel progetto per valorizzare ed elevare i presupposti popolari della musica leggera. Le prime edizioni vengono trasmesse solo dalla radio, con una certa indifferenza anche della stampa, ma nel 1955, la manifestazione canora è divenuta ormai popolare e la tv decide di appropriarsene. Da allora, infatti la storia del Festival di Sanremo prosegue di pari passo, spesso sovrapponendosi, alla storia della tv italiana. La messa in scena televisiva della canzonetta porta notevoli trasformazioni nella comunicazione musicale legata fino a quel momento alle sole doti vocali dell’interprete che non può più permettersi di mostrare impaccio di fronte a una telecamera ma si vede costretto a imparare a usare la tv in modo sempre più disinvolto. Gli autori propongono una singolare periodizzazione del Festival attraverso titoli e ritornelli celebri. «Vola colomba» è la canzone simbolo dei vari materiali per ricostruire la nazione (1951-60); l’arco di tempo che va da «Le mille bolle blu» a «Ciao, amore ciao» (1961-67) mette in scena speranze e delusioni di un Paese in ascesa; «La festa appena cominciata è già finita» è il luogo del disincanto tra centro-sinistra e un «lungo Sessantotto» (1968-80); «E vola vola si va» racconta di un nuovo boom (1981-95); «La terra dei cachi» risulta infine l’amaro approdo di un’Italia frantumata (1996-2010). Anche se, negli ultimi anni, l’aspetto televisivo (conduttore, vallette, stilisti, ospiti internazionali, comici, ecc.) prevale su quello musicale. Capita di rado che una trasmissione televisiva e una parata di «canzonette» mobilitino la coscienza critica del Paese. Ma Sanremo è così: una scarica di adrenalina per chi ne parla, per chi la descrive, per chi la vede. Sanremo accende grandi polemiche, sparge veleni, abusa di metafore e fa in modo che tutti si prendano maledettamente sul serio. Come l’idea, per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, di dedicare una serata speciale del prossimo Festival a questo tema. Si chiamerà «Nata per unire» . E dire che, leggendo il libro di Facci e Soddu, Sanremo sembra nata apposta per disunire, per dividere, per suscitare polemiche.
Aldo Grasso