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 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

L’economia cinese è cresciuta ad un nuovo livello record, contro le previsioni e le buone intenzioni del governo del paese di frenare la crescita per concentrarsi sulla stabilità

L’economia cinese è cresciuta ad un nuovo livello record, contro le previsioni e le buone intenzioni del governo del paese di frenare la crescita per concentrarsi sulla stabilità. L’Ufficio Nazionale delle Statistiche ha reso noti ieri i dati per l’intero 2010, secondo cui l’economia della Cina è cresciuta del 10,3% rispetto all’anno precedente. Solo pochi giorni fa lo stesso ufficio aveva pubblicato i dati definitivi per il 2009, l’anno della crisi economica, in cui comunque il Paese aveva raggiunto un +9,2%. «Lo scorso anno la Cina ha consolidato e incoraggiato la ripresa dopo la crisi finanziaria mondiale» ha detto il direttore dell’Ufficio, Ma Jiantang, commentando i dati, proprio mentre il presidente Hu Jintao si trova negli Stati Uniti a rassicurare gli americani sull’ascesa della Cina. Sebbene ci sia chi suona campanelli d’allarme, però, la soddisfazione più grande per l’economia della Cina è quella di aver superato finalmente il Giappone. In termini assoluti il Paese ha prodotto ricchezza per 6 mila miliardi di dollari, leggermente superiore a quanto realizzato dallo sviluppato ma stagnante Giappone. Nel 2010 la macchina produttiva cinese non è stata assoggettata tanto quanto avevano previsto i pianificatori, con l’intento di contenere i prezzi e assicurare una crescita al riparo da scossoni quali la crisi globale. Lo scorso gennaio Pechino aveva fissato l’obiettivo dell’8% per la performance economica sui successivi dodici mesi, ma non aveva fatto i conti con gli investimenti e i prestiti bancari che, invece di subire una battuta d’arresto con la fine del pacchetto di stimolo varato l’anno precedente, sono cresciuti a ritmo sostenuto. Gli investimenti nel settore delle costruzioni e immobiliare sono cresciuti del 23,8% nel 2010, contando per una grossa fetta del saldo finale. A poco sono valsi gli aumenti dei tassi di interesse, due volte nel corso dell’anno, e l’aumento di riserve bancarie per sei volte: l’immissione di denaro nel sistema rimane la causa di maggiore preoccupazione per gli architetti della crescita economica cinese che devono far fronte alla diffusa conseguente crescita dell’inflazione. Per l’anno appena concluso il calcolo ufficiale si assesta su una crescita media dei prezzi al consumo del 3,3%. Ma a ben guardare il 2010 è stata un’annata nera per i consumatori cinesi: a novembre i beni di consumo costavano il 5,1% rispetto all’anno precedente. Un’inflazione così non si era vista da due anni e mezzo, dai tempi delle Olimpiadi. Comprare frutta e verdura a Pechino è diventata una caccia al tesoro, dove i cittadini battono al setaccio mercati e supermercati in cerca delle offerte più ragionevoli contro aumenti che hanno toccato il 30% per verdure e carne. Tanto è vero che lo stesso Ma Jiantang avverte che, sebbene siano stati raggiunti risultati notevoli nel controllo dei prezzi, l’inflazione non va presa alla leggera nel 2011. Se i salari medi sono aumentati, dell’11,5% in città dove si guadagna 2.360 euro all’anno, e del 15% nelle campagne in cui le entrate annue sono di 666 euro procapite, ciò non basta a modificare in maniera sostenibile il modello economico cinese. Le vendite al consumo sono cresciute del 18,4% nel corso dell’anno, un buon risultato dello stimolo alla domanda interna, ma con una produzione industriale a +15,7% per il 2010 l’economia è ancora in larga misura dipendente dalle esportazioni.