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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

UN MUSEO COME PASSERELLA, PRADA SFILA A PECHINO —

Per andare incontro alla Cina vanno benissimo anche un museo progettato da un giapponese, Arata Isozaki, la musica di una band britannica, i Pet Shop Boys, e in passerella abiti italiani che alludono a un Sudamerica d’antan. La Cina urbana e affluente, quella che spinge in alto i consumi d’alta gamma della seconda economia del mondo, guarda, gode, sogna. Prova a identificarsi con uno stile che adesso è davvero a portata di mano e prepara il prossimo giro di shopping. Miuccia Prada, dunque, La Il va incontro alla Cina e trova una Cina che le piace: «Come si vede, i cinesi sono fra i più moderni. C’è cultura, è un Paese sofisticato» . E se il cuore di questa Cina reattiva e consapevole è Pechino, Prada sceglie Pechino.
In controtendenza rispetto a certi riflessi condizionati dell’Occidente che guardano con voluttà a Shanghai— tradizione cosmopolita e folle di espatriati— è a Pechino che la maison milanese ha deciso di organizzare un evento per mostrarsi alla Cina. Pechino, non Shanghai: «La capitale è meno commerciale, la sede dell’intellighenzia, della cultura. È più bella» . Scenografia dell’equipe dell’architetto Rem Koolhas (la divisione Amo dello studio Oma), interventi dei designer multidisciplinari newyorchesi 2x4: il candido ventre del Cafa Art Museum, con le sue lunghe rampe in diagonale, si è prestato all’avvenimento, con cena per pochi ospiti (menu dello stellato Carlo Cracco) e con concerto e festa finali. Passerella a immagine di quella milanese — graticci metallici e pilastri di cemento — come a richiamare una fedeltà di fondo a sé. C’era una Gong Li assalita da una permanente con troppi ricciolini, con lei un pugno di altre attrici cinesi e hongkonghesi, Xu Qing, Maggie Cheung, Cecilia Cheung e la coreana Ha Ji-won. Per la stilista, una fugace e applaudita apparizione a fine sfilata. Come a lasciar parlare gli abiti appena visti. Si tratta della collezione primavera estate presentata in settembre ma qui rivisitata, con paillettes, broccato, radzmire, pelliccia di volpe. Suggestioni alla Almodovar, nessuna cineseria. L’arancione violento della prima modella solo per puro caso rimanda alle tonache di monaci buddhisti (per di più, quelli dell’estremo sud dello Yunnan, una Cina esotica per gli stessi cinesi). D’altra parte, «io non mi ispiro a nulla, cerco di vivere nel mondo. Il mondo ha confini diversi» e la moda li deve esplorare, spiega Prada. Quella moda che «negli anni Ottanta era bianca, cattolica, piccola, tutta uguale» , ora è un’altra cosa. Della quale la Cina ha voglia: «La logica dell’essere qui è che il mondo ormai è tutto, non si può stare solo in America e in Europa. La parola "globalizzazione"non mi piace ma siamo globali nel business e anche nella cultura» . La paura dei falsi, in Cina? «L’Italia deve vincere con le idee» . E la Cina seduce: «Quando decidemmo di aprire un nostro spazio per l’arte, io l’avrei voluto fare qui. Fu mio marito(Patrizio Bertelli, ndr) a convincermi che dovevamo scegliere l’Italia...».
Presente in Cina dal ’ 95, Prada ha ormai nella Repubblica Popolare 14 boutique (di cui 3 a Pechino e 3 a Shanghai), cui si aggiungono le 9 di Hong Kong e le 2 di Macao. Un mercato che l’anno scorso ha visto un incremento del 75%sul 2009 per 389 milioni di euro, un quinto circa del fatturato globale del gruppo. Quest’anno verranno aperte altre 9 boutique, toccando 6 nuove città. Alla fine, meglio che se l’avessero voluto, le canzoni nel concerto dei Pet Shop Boys — trent’anni di gloriosa carriera pop — raccontano semplicemente attraverso i titoli lo stato d’animo collettivo di una Cina che scommette sulla sua ascesa: «More than a dream» (Più di un sogno), «Closer to Heaven» (Più vicino al cielo), «Always on My Mind» (Sempre in mente). Cantano «Go West» (Vai a Ovest), esattamente la politica di espansione economica verso le regioni occidentali sostenuta dalla leadership... Questa è la Cina.
Marco Del Corona