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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

COME CAMBIA (MA ANCHE NO) IL SENSO DEL PUDORE

C’era una volta in Italia il comune senso del pudore. In suo nome erano comminate pene, sequestrate pubblicazioni, vietate pellicole; anzi, sino agli anni 60, in molte chiese veniva esposta una specie di pagella dedicata ai film in programmazione nella parrocchia con giudizi in genere più restrittivi di quelli della censura di Stato. Che fine ha fatto tutta questa pudicizia? È scomparsa perché oramai si parla solo di etica e si è dimenticata l’esistenza della morale? E quante etiche ci sono, visto che ogni trimestre se ne inventa qualcuna? Le cronache di questi giorni ci ricordano che se anche il comune senso del pudore è andato in pensione continua ad avere un suo ruolo nel giudizio del Paese e in quello internazionale. Nessuno lo invoca ma tutti lo utilizzano, giacché — come al tempo di San Paolo— resta per i più valida la seguente regola: non è tanto il peccato in sé che crea problemi quanto lo scandalo che suscita. Del resto, se i nostri politici leggessero un saggio come quello della psichiatra e psicoanalista Monique Selz intitolato, appunto, Il pudore (Einaudi 2005), scoprirebbero che viviamo in una dittatura della trasparenza, che mostriamo e guardiamo tutto senza interiorità, e che in siffatto contesto proprio il pudore diventa una sorta di rifugio comune nel quale cerchiamo inconsciamente garanzie di libertà (e di maturità). Non a caso la Chiesa Cattolica nel corso del ’ 900 aveva sottolineato energicamente, citando autori come il filosofo e poeta francese Jean-Marie Guyau, morto a soli 34 anni, che il pudore accentua la funzione biologica di conservazione della specie, la stessa che sarebbe distrutta dall’anarchia sessuale. E anche Oscar Wilde, che pensava sempre il contrario di quanto era raccomandato dal senso comune, ne Il ritratto di Dorian Gray prima di contraddirla si lascia sfuggire un’osservazione: «La moralità moderna consiste nell’accettare il metro della propria epoca» . Parole che Jorge Luis Borges seppe trasformare mirabilmente in Evaristo Carriego: «La vita è piena di pudori come un delitto» . Ma forse la sintesi di tutti i possibili discorsi in materia la lasciò il gesuita spagnolo Baltasar Gracián, vissuto nel Seicento, uno dei maestri della dissimulazione e finito poi nelle letture di politici di razza quali Talleyrand, Metternich o Bismarck. Nel suo Oracolo manuale scrisse: «Il buon nome si fonda più sulla apparenza che sui fatti. Perciò se uno non è casto, sia almeno cauto» . Parlando di tali questioni con il rabbino David Sciunnach, gli abbiamo chiesto: «Cos’è la morale?» ; domanda alla quale ha risposto senza infingimenti: «Oggi ne esistono due tipi: una divina, che è quella biblica immutabile nel tempo (per esempio, il comandamento non desiderare la donna d’altri); e una delle nazioni o dei popoli, che cambia a seconda delle esigenze della società» . A proposito di quest’ultima, ha poi precisato: «La sua mutevolezza è visibile nella vita odierna: le cose immorali di venti o trenta anni ora sono accettate come consuetudine; il loro valore, insomma, è capovolto: per esempio, quanto una volta era ritenuto pornografico ora è chiamato arte» . Ma il politico non dimentichi che le regole morali, con i relativi cambiamenti, sono fissate sovente fuori dal Palazzo. Non deve perciò fare spallucce di queste e simili osservazioni, e non pensi di essere al di sopra delle contingenze e degli scandali invocando il consenso o qualcosa di simile, perché rischierebbe di essere travolto dai giudizi dell’inconscio, che sono i più temibili e irrazionali. Del resto, e per ironia della sorte, sono gli stessi che gli uomini utilizzano per innamorarsi.
Armando Torno