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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

ADDIO A TULLIA ZEVI, VOCE DELL´EBRAISMO UNA VITA SPESA PER PRESERVARE LA MEMORIA

Non ricordo quando ho incontrato l´ultima volta Tullia Zevi, nella sua bella casa del Ghetto, piena di ricordi e di malinconia. Tullia era già stanca, forse malata, ma piena di attenzioni per me, che uscivo allora da un intervento che mi aveva lasciato incerta nei movimenti. Tullia era una donna straordinaria, di rara intelligenza e sensibilità, che ha attraversato le vicende di quel secolo straordinario ed orribile che è stato il XX secolo come una testimone appassionata e intelligente. E ha dedicato gran parte della sua vita e della sua intelligenza a trasmettere il ricordo dell´Olocausto, senza concedere nulla a un pur legittimo desiderio di vendetta, ma cercando piuttosto di far capire, soprattutto ai più giovani, i meccanismi che avevano reso possibile quell´orrore, per evitare che qualcosa di simile potesse ripetersi. Nel nostro o in altri paesi, ai danni degli ebrei o di qualsivoglia altra minoranza esclusa.
Non aveva ancora vent´anni ed era appena iscritta all´Università, alla facoltà di filosofia di Milano, quando nell´ottobre del 1938 vennero promulgate in Italia, con il consenso del Re, le vergognose leggi razziali che trasformavano gli ebrei in cittadini di serie B, escludendoli da una serie di professioni e dalle scuole. Il padre di Tullia, affermato avvocato milanese, si rese conto subito del pericolo drammatico che queste leggi preannunciavano, e, con la famiglia si trasferì prima in Francia e poi negli Stati Uniti. Qui Tullia proseguì gli studi, affermandosi anche come arpista nell´orchestra dei giovani di Boston. E negli Stati Uniti conobbe un giovane architetto romano, Bruno Zevi, che, ebreo, aveva abbandonato, subito dopo le leggi razziali, l´Italia.
Avrebbe potuto rimanere in America, dunque, dopo la guerra. Era un´ottima arpista e aveva cominciato a lavorare come giornalista presso una radio italo americana. Ma decise di tornare in Italia, a Roma, dove la comunità ebraica era insediata da almeno duemila anni. Più romana dunque dei romani, anche se costretta, per secoli, dentro lo spazio ridotto del Ghetto. La giovane donna dunque, rinunciando all´arpa che pure molto amava, tornò a Roma, come giornalista. E come giornalista seguirà, per il quotidiano israeliano Maariv, il processo di Norimberga, il processo Eichmann e, poi, a Roma, il processo Priebke.
Era una persona molto gentile, attenta e disponibile alle ragioni degli altri, ma molto ferma nelle convinzioni e nelle decisioni. Resse per molti anni, prima come vicepresidente e poi come presidente, le sorti della Comunità Ebraica Italiana. Molti di noi, riconoscendole straordinarie doti di equilibrio e in riconoscimento del suo prestigio anche internazionale, avrebbero voluto vederla al Senato. Non se ne fece mai nulla, per sue, forse legittime, resistenze. Ma Oscar Luigi Scalfaro nel 1992 volle insignirla del titolo di Cavaliere di Gran Croce, massima onorificenza italiana. Ed altre numerosi riconoscimenti ottenne negli anni successivi.
Massima esponente, per molti anni, della comunità ebraica del nostro paese, si è spesa sempre, generosamente, per testimoniare la ferocia dell´Olocausto e del razzismo, perché anche i più giovani, coloro che non lo avevano conosciuto o vissuto, ne mantenessero viva la memoria e la condanna. «Il ricordo è necessario, è inevitabile bisogna ricordare» ammoniva Tullia." Ma, aggiungeva «non sono finiti così solo milioni di ebrei. Ricordiamoci le centinaia di migliaia di zingari, e ricordiamoci anche le centinaia di migliaia di oppositori politici e religiosi del nazismo. E può succedere ancora. Noi ebrei abbiamo questo dovere della testimonianza perché quello che è accaduto può accadere di nuovo. Esiste ancora, esiste anche oggi il pericolo del razzismo, il pericolo cioè di una maggioranza che cerca la propria identificazione attraverso la distruzione di una minoranza diversa… Ancora adesso la presenza di una minoranza viene vissuta, talvolta, come una minaccia alla propria identità».
Ho avuto la fortuna, una volta, di essere invitata da Tullia per la cena del venerdì sera. Il nipote più grande, Tobia, accese le candele e spezzò il pane, distribuendolo a noi, credenti e non credenti seduti attorno al tavolo. Mi piace ricordarla così, Tullia, con tutta la sua famiglia, una ebrea che ci ha invitato, fino alla fine, a combattere contro tutte le forme di esclusione e di razzismo.