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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 68 - QUEL CONTE VA ARRESTATO

Vinse Cavour? Sì. Valerio e Sineo si rifiutarono di sottoscrivere la proposta, ma gli altri erano d’accordo: che i genovesi lasciassero perdere la petizione e aderissero invece all’ idea di Cavour, chiedere la Costituzione subito. Valerio, la sera dopo, riuscì a bloccare l’indirizzo al sovrano, preparato da Durando, ma dovette arrendersi quando Cavour propose di stendere un verbale della discussione, mandarlo al re e pubblicarlo sui giornali. Era in pratica la stessa cosa. Per Valerio fu quello un momento carico di amarezze: un gruppo dei suoi lo aveva abbandonato per fondare l’«Opinione», Roberto d’Azeglio lo superava in popolarità tra i torinesi…

Che cosa fece il re? Non c’era più la censura ecclesiastica, ma c’era sempre la censura civile. La censura civile non permise che si desse conto sui giornali di quello che era accaduto all’Albergo Europa. Servì a poco: il verbale venne spedito ai giornali toscani e romani, e quelli pubblicarono. Restava il problema di far arrivare la relazione al re. Carlo Alberto aveva rimandato a casa i genovesi senza riceverli. Era escluso perciò che si potesse formare una delegazione per consegnare al sovrano il documento. Cavour propose di spedirglielo per posta. E glielo spedirono infatti per posta. Abbiamo anche la lettera, in francese, destinatario Carlo Alberto, e sottoscritta (nell’ordine) da Cavour, Predari, Durando, Brofferio: «I fatti relativi alla riunione tra i direttori dei giornali essendo stati riferiti con malevolenza e cattiva fede, i sottoscritti si prendono la libertà di inviare alla M.V. un resoconto fedele delle opinioni espresse e dei comportamenti tenuti da ciascheduno in quella sede. Osano sperare che, qualunque sia l’opinione di V.M. sui modi con cui gli eventi suddetti si sono prodotti, Ella si degnerà di riconoscere che il solo scopo di quella riunione è stato quello di conciliare la grandezza del trono, la forza del governo e gli interessi più autentici del Paese».

E il re? Era furibondo. «Ritirerò tutto quello che ho concesso, arrestate Cavour…». Voleva mandare la truppa per le strade, che la si finisse una buona volta… Non fece in realtà niente. Era l’irresolutezza in persona. Il Re Tentenna… Non capisco tanto bene questo furore del sovrano… Credeva che la monarchia fosse in pericolo, un suo incubo costante. Cavour, sul «Risorgimento», per niente impressionato dall’ipotesi di finir dentro, faceva campagna: l’8 gennaio s’appellava (senza firmare) a «quella potenza dell’opinione pubblica che è fondamento di ogni ordine libero» e quindi spingeva perché il Consiglio di Stato, integrato magari da altri uomini illustri, discutesse della Costituzione. Il 15 insisteva che «le grandi questioni politiche e sociali, per essere chiaramente concepite, rettamente intese dallo spirito pubblico, vogliono essere argomento di discussioni delle grandi istituzioni dello stato» . Discussioni, discussioni… Discussioni pubbliche! E come si poteva permettere che si discutesse pubblicamente? E come si poteva impedire che discutessero pubblicamente? La città era in fiamme: caffè stracolmi, folle in strada, non si può mettere in scena niente senza essere continuamente interrotti da cori, grida e ovazioni, tanto che verso la fine del mese i nobili decisero di disertare gli spettacoli, lo stesso «Risorgimento» notò che i grandi schiamazzi al teatro d’Angennes molestavano il pubblico, si spendono 80 centesimi per procurarsi «un po’ di ricreazione» e ci si sente invece «rintronare il timpano» . Arrivavano poi notizie dalle altre città d’Italia: lo sciopero del fumo a Milano, la rivoluzione a Palermo…

Lo sciopero del fumo? I milanesi s’erano accordati di non giocare più al lotto e di non comprar più tabacchi per colpire le casse austriache. Gli austriaci s’erano incazzati di brutto: Radetzky mandava in giro i soldati anche con due sigari in bocca e l’ordine di spippettare in faccia ai milanesi. I milanesi reagirono. Gli austriaci tirarono fuori le sciabole e fecero 6 morti e 50 feriti. Altri morti ci furono a Pavia, il giorno 10. A Torino, il 14 gennaio, apparve allora un appello: mettersi il lutto per 15 giorni. Intanto alla Gran Madre di Dio una messa solenne veniva celebrata in suffragio dei milanesi ammazzati. La chiesa era stracolma. Il giorno dopo, festa di San Maurizio protettore del Piemonte, studenti vestiti a lutto si mescolano alle solite due ali di folla che assiepano via Doragrossa e contrada d’Italia, vogliono che il re, diretto alla basilica dell’Ordine mauriziano, li veda. Intanto anche i fabbri organizzano un banchetto patriottico e ascoltano un gran discorso di Brofferio, i commercianti offrono a Carlo Alberto «le loro sostanze e la loro vita in difesa del trono e della patria» , il 17, tenendosi una gran festa da ballo al Carignano, i duchi e i principi reali si trovano in una sala dalle pareti addobbate in bianco rosso e verde, sono in bianco rosso e verde anche le signore, le quali esibiscono pure mazzetti di fiori bianchi e gialli alla Pio IX, e con questo si dicono «italianamente devote».