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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

VOTI E AMICIZIE PERICOLOSE - NEANCHE

tutte le Madonne e i Cristi in croce che benedicono la sua casa di Palermo l´hanno potuto salvare. Povero Totò, la maledizione del potere siciliano ha colpito anche lui.
Era diventato troppo. Troppo importante, troppo ingombrante, troppo ricco e troppo votato. Era un predestinato.
Nel giorno più infelice della sua vita ci viene in mente la prima volta che abbiamo incontrato Totò Cuffaro, tanto tempo fa, nei vicoli intorno all´Università palermitana quando già la passione per la politica lo divorava, era tutto fede e Democrazia cristiana, militava nel movimento giovanile, citava don Sturzo e intanto addentava lo sfincione (una pizza ricoperta di cipolle che mangiava ogni mattina a colazione e gli fece cucire addosso il soprannome di Totò a´ pizzetta), parlava dei suoi "maestri" Luigi Giglia e Nino Gullotti ma già i suoi occhi brillavano per Lillo Mannino, studiava medicina e sapeva che - un giorno - sarebbe stato il signore della Sicilia.
Lo sentiva dentro che l´avevano scelto, che lo sarebbe diventato per diritto ereditario. Veniva dal paese - Raffadali, in provincia di Agrigento - elementari dai salesiani, padre e madre maestri, il fisico perfetto di un piccolo padrino democristiano. Né grasso e né grosso ma molle, di una rassicurante rotondità, mai una parola fuori posto con gli avversari, un tono aspro, un gesto ostile. «Picchì tu ‘a capiri... perché tu devi capire...». Mediava sempre. Trattava ogni volta. Una morbidezza contagiosa che faceva scivolare tutti fra le sue braccia e nella sua trappola. Era ragazzo e già aveva decine di figliocci da battezzare e da cresimare, un´abitudine che non avrebbe abbandonato anche dopo i trionfi. Tanti.
La sua scalata è stata prepotente nella giungla della politica siciliana. Consigliere comunale a 18 anni, onorevole alla Regione a 27 anni, primo presidente dell´isola eletto dal popolo a 43 anni. Nel 2001 è governatore, lo votano un milione e seicentomila siciliani. Nel 2006 è ancora governatore, è già sotto indagine per mafiosità e lo votano un milione e trecentomila siciliani. Lui ringrazia e alza lo sguardo al cielo: «Affido la nostra isola alla Madonna».
Il medico non l´ha mai fatto. Dopo la laurea, la specializzazione in radiologia e poi politica e sempre politica. Ha esercitato la professione solo per un anno, durante il servizio militare. Racconta agli intimi: «Facevo le visite di idoneità, i ragazzi si presentavano e io avevo il compito di controllare anomalie ai testicoli. Cento visite al giorno, 500 a settimana, 2000 al mese, 24 mila in un anno: sono un esperto di palle».
Famoso al grande pubblico è diventato verso la fine della prima Repubblica, nel 1991, sul palco di un teatro dove era salito per difendere l´onore della Democrazia cristiana. Avevano messo sotto accusa il ministro Mannino per faccende di mafia, Totò aveva addosso le telecamere di Samarcanda e rumoreggiava. Michele Santoro, maliziosamente gli disse: «Dica quel che deve dire l´onorevole Puffaro ma poi lasci parlare anche gli altri». Da «Totò a´ pizzetta» a «Puffaro», poi cominciarono a chiamarlo anche «vasa vasa» per quei baci che distribuiva ai clientes che si radunavano sotto le palme di Palazzo d´Orlèans per chiedergli un favore.
Una buona parola per ciascuno, un sostegno per tutti. Così lui ha messo in piedi la più grande macchina clientelare mai vista prima in Sicilia, l´assessorato alla Sanità e quello all´Agricoltura trasformati nel suo cortile di casa, i suoi uomini piazzati dappertutto, l´isola il suo feudo. Solo il suo successore è riuscito forse a fare di più, quel Raffaele Lombardo che dopo avere goduto delle influenze di Totò («e della mia amicizia», ricorda sempre lui) nel momento della disgrazia l´ha pugnalato alle spalle.
Oggi che è il giorno della sua fine, l´uomo che più di ogni altro ha rappresentato in questo secolo la reincarnazione della Dc siciliana, se ne va con due grandi dolori. Uno gliel´ha provocato proprio Lombardo, che lui considera un traditore. L´altro sono quei cannoli, quel profumo di ricotta fresca che ha segnato il suo destino. Era la mattina della sua prima condanna, Totò stava spostando una guantiera di dolci che qualche mentecatto del suo staff aveva lasciato su una scrivania prima di un incontro con i giornalisti e clic, il fotografo Michele Naccari scatta l´immagine che farà il giro del mondo con questa didascalia: «Ecco Cuffaro che festeggia la sua condanna». Una scena da film di Ciprì e Maresco, una foto che ha annunciato il giudizio finale.