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 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

ANTONIO PENNACCHI "SCRIVERE NON MI DIVERTE VOLEVO FARE IL PUGILE"

Antonio Pennacchi, quest´anno vincitore del premio Strega, - 61 anni, un bastone su cui si appoggia nelle passeggiate, un cappellino per proteggersi dal freddo, un eloquio tra il turpe e il sublime - mi attende alla stazione di Latina Scalo. Al telefono gli ho chiesto di incontrarlo e di farmi vedere il mondo in cui vive e che racconta nei i suoi romanzi. Non è sorpreso dalla richiesta. Mi sorprendo io quando dice: la vengo a prendere con la macchina nuova. E ora è lì, fuori dalla stazione, che parla al cellulare. Appoggiato a una Fiat Croma, grigio topo «Un modello ormai fuori produzione, che ho comprato grazie ai soldi dello Strega», dice tra l´ironico e il soddisfatto.
Pennacchi è una moltiplicazione di ex. È un ex fascista, un ex operaio, un ex sindacalista, un ex socialista, un ex studente. Molte vite e poca gloria, almeno fino a quando non ha deciso di mettersi a scrivere. E anche allora, per lungo tempo, un buio che si mangiava il futuro. Poi, ce l´ha fatta Pennacchi. Ce l´ha fatta a imporsi: con volontà e fortuna, intelligenza e bravura, talento e scaltrezza. Le armi che ha usato. Più lo guardo e più mi ricorda quei reperti neandertaliani su cui si è divertito con l´ultimo e spiritosissimo libro: Le Iene del Circeo. Più lo guardo e più mi sembra arcaico e futurista. Un misto di passato remoto e di avvenire incerto. Una contraddizione temporale: feconda e inspiegabile. Davanti ai misteri ci si inchina, io lo seguo paziente nei suoi racconti, giravolte, arrabbiature. Il fiume Pennacchi dilaga nella piana Pontina, che è poi tutto il suo mondo. Cominciamo così a navigare. A vista.
«Quella che vede è una terra di immigrati, di gente venuta da fuori: dal Veneto e dall´Umbria, come i miei genitori. Gente arrivata qui a lavorare duramente e a sognare una vita nuova».
E il suo sogno qual è o quale è stato?
«Ne ho avuto uno grande, infantile e bellissimo: diventare campione mondiale di boxe nella categoria dei massimi».
Ha fatto pugilato?
«Ho provato. Ma, ad alti livelli, non c´era spazio per me. Sarebbe stato un suicidio. Ecco, quello laggiù è il Canale Mussolini, su cui si è retta tutta la bonifica delle paludi Pontine».
Non sembra imponente. Come lavora ai suoi libri?
«La parte tecnica interviene solo alla fine. C´è una gestazione segreta. Poi arriva il demone, il Signore che ti chiama e ti unge. Non sai quando arriva e tu sei lì con questa cosa dentro che ti cresce. Mi porto dentro la storia di Canale Mussolini dall´età di sette anni. Scrivere non mi diverte. Guardi lì, sul ciglio della stradina. La vede la colonnetta?».
Certo che la vedo.
«La costruirono i genitori di Aldo Bormida, così c´è scritto: studente diciannovenne di Torino, caduto per la patria il 30 gennaio 1944. Era un fascista repubblichino. Morire a vent´anni da qualunque parte stai non è accettabile».
Lei è stato per vent´anni operaio. Che idea ha della classe operaia?
«Del presente non capisco più nulla. I modelli interpretativi che avevo una volta si sono rivelati inesatti. Alla fine del ´900 si può dire che l´esperimento della classe operaia, soggetto che guida il processo storico, è fallito. Però non è che si è estinta. Serve ancora. Non si può pensare che siamo solo immateriali, terziari. Se non produci ricchezza che cosa terziarizzi? La porto a Latina, vuole?».
Volentieri. Cosa le piace, cosa l´affascina di questi posti?
«Sono i miei e sono gli unici che potrei raccontare. Ecco, vede questa è piazza del Popolo, più avanti c´è piazza della Libertà, prima si chiamava piazza XXIII Marzo. In fondo c´è il ristorante "Impero", sta lì dal 1937, poco distante, in un albergo, il Duce, quando veniva a Latina, si portava le mignotte. Lui almeno non le lanciava in politica. Divago. Cosa le stavo dicendo?».
Lei ha cominciato tardi a scrivere, perché?
«Non ho scritto praticamente nulla fino a 40 anni. Mi ammalo subito dopo ogni libro importante. È il mio tributo alla letteratura. Dopo Mammut ho fatto due ernie del disco. Subito dopo Palude ci fu un primo infarto. Immediatamente dopo la prima stesura de Il fasciocomunista giunse il secondo infarto e mi misero tre by pass. Poi mi ruppi una vertebra. Ero terrorizzato all´idea che con Canale Mussolini mi accadesse qualcos´altro. Avevo paura di non riuscire a finirlo. E quando l´ho concluso, ho detto: beh, e adesso che è finito, che campo a fare? Sono esperienze totali che non dipendono, se non parzialmente, da me».
Che vuole dire?
«Canale Mussolini in parte l´ho scritto sotto dettatura dei miei morti. Di mio padre e mia madre, della gente che ho conosciuto e che non c´è più. Loro sono come i penati dell´antichità. Le loro voci mi arrivano dentro e a volte mi fanno piangere».
Crede nell´Aldilà?
«Credere è una parola troppo forte. Mia moglie Ivana dice che sono le fantasie che produce la mia immaginazione. Quando scrivo mi sento come invasato. Non esiste nient´altro. La priorità ce l´ha lui: il demone. Tu non sai se quello che scrivi sarà arte. Ma questo è secondario. Non ho scelto io di essere narratore, anche se magari posso fare schifo».
Chi le piace tra gli scrittori italiani?
«È obbligatorio rispondere? Mi piace molto Edoardo Nesi. È come me, racconta quello che conosce. Anche Silvia Avallone non è male. In Acciaio, nonostante le imperfezioni, si vede la stoffa. E poi, contrariamente a come l´hanno descritta, non è una vamp, ma una bravissima ragazza. Se vuoi scrivere devi avere delle urgenze. Le cose da raccontare devono passare attraverso il dolore e la rabbia. Devi essere incazzato per dedicarti alla narrativa».
Lei è litigioso?
«No, sono gli altri che mi provocano. Non sono capace di stare zitto. L´anno scorso di questi tempi ero sulla sedia a rotelle, mi avevano nuovamente operato alla schiena. Ho sei bulloni di titanio, sono infartuato e l´altra sera vedo dei ragazzi che litigano. Poco ci manca che mi butto nella mischia. Morirò per strada».
Ha paura della morte?
«No, ho paura del dolore e della solitudine. Il mio mestiere è guardare lucidamente alla realtà. Siamo gettati dentro un cosmo in cui la felicità è poca cosa».
Basta prenderne atto?
«Non lo so. Ne valuto le conseguenze. Da quindici anni vado in analisi. Quando sono in crisi nera, c´è Ivana che nel letto di notte mi tiene la mano. Non scegli tu quando e dove morire. Arriverà. Non sono spaventato. Canale Mussolini l´ho scritto e sono in pace con me stesso».
Il suo andare in analisi coincide con l´inizio della scrittura?
«Sono andato in analisi dopo il primo infarto. Il 90 per cento degli infarti sono suicidi mascherati».
Crede alla psicoanalisi?
«Credo che Freud nella storia del pensiero occidentale abbia avuto la stessa funzione di Socrate. C´è un prima e un dopo di loro. La psicoanalisi non ti guarisce, ti insegna ad accettarti. Vorrei vivere un po´ di anni sereno e andare in giro con la Croma. E poi morire in fretta, ma dentro il mio letto con i miei figli, i miei nipoti intorno e possibilmente un minuto dopo mia moglie. Prima no, perché mi sembrerebbe di mancarle di parola. Le ho promesso che mi sarei preso cura di lei».
È molto innamorato di sua moglie?
«Innamoratissimo. La casa in cui abitiamo ce la siamo tirata su con le nostre mani. Ci sono momenti in cui mi fa incazzare. Ma le devo tutto. Senza di lei non so come avrei potuto affrontare il demone. Ricordo che quando a quarant´anni decisi di iscrivermi all´università, non so come avrei fatto senza di lei. C´erano due figli e uno stipendio di cassaintegrato. Capisce? Mi ero iscritto a Lettere all´Università di Roma. Entravo alle otto del mattino e uscivo alle otto di sera. Seguivo tutto».
Sono anche gli anni del suo esordio narrativo. So che Mammut ha avuto 55 rifiuti prima di essere pubblicato.
«Un record. Ma se c´è una cosa che non mi manca è la determinazione. Non mi arrendo mai. Mi dicevano: ne scriva un altro, lasci stare gli operai. E io: ma che lo scrivo a fare un altro romanzo se non vogliono questo? Ogni volta lo riscrivevo, si può dire che ho imparato il mestiere sui rifiuti degli editori. Mammut riuscirà ora da Mondadori».
Con lo Strega, qui a Latina, lei è una celebrità. Tutti la fermano, si congratulano.
«È vero. La vittoria ha cambiato la mia vita. Ha modificato i miei ritmi. Sono sei mesi che non lavoro più ai miei progetti. Mi sembra di vivere a prestito. Non mi sento più padrone della mia vita. Ma ci sono anche lati piacevoli. Qui la vittoria è stata accolta con entusiasmo: abbiamo vinto lo Strega! Gridavano. Come se avessero conquistato lo scudetto. In fondo, però è vero. Quel romanzo parla della storia di tutti. È la voce collettiva. Io l´ho solo messa in pagina e fatta cantare».