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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

Il dessert? Te lo servo salato - Metti che una sera, a Barcellona, ti servano, per cominciare, un sorbetto di cocomero, zenzero e ananas

Il dessert? Te lo servo salato - Metti che una sera, a Barcellona, ti servano, per cominciare, un sorbetto di cocomero, zenzero e ananas. Che proseguano con torta all’olio d’oliva e formaggio San Simon accompagnato da sorbetto alla pesca bianca, crostata alla ciliegia e barbabietola, granita di mela verde all’alloro, pudding di crema con toast alla mandorla e al tartufo. E che, alla fine, compaia un biscotto al curry e sale. Che cosa dobbiamo considerare come dessert, in un menu come questo? Il biscotto, solo perché costituiva l’ultima portata? Soprattutto, ha ancora senso parlare di «dolce» e di «salato»? L’esperienza è capitata nel laboratorio del gusto EspaiSucre ad Adam Gopnik del «New Yorker», che vi ha costruito intorno un saggio di antropologia gustativa dal titolo «Sweet Revolution», rivoluzione dolce. E il tema è: dove sono andati a finire i dessert, così come li abbiamo concepiti finora? Cioè quelle torri di cioccolato, panna montata, cialde e caramello, insieme peccaminose e sofisticate, ricche di grazia e di calorie, alle quali, sul finale della cena, si voleva sempre dir di no ma poi si cedeva? Dopo la riprogettazione della nouvelle cuisine e l’intervento mirabolante dei catalani Adrià (Ferran e suo fratello minore Albert, che è il pasticciere di famiglia), capita infatti sempre più spesso, anche nei ristoranti italiani più d’avanguardia, di vederli sostituiti da creazioni pittoriche allo zafferano, alla quinoa o al lemongrass; per non parlare della moda montante dei macaron, yo yo golosi e ripieni arrivati dalla Francia, che possono essere sì al pistacchio e al cioccolato, ma anche al salmone e panna acida, o alla mousse di gorgonzola e noci. Loretta Fanella non ha ancora trent’anni ma è considerata una delle migliori pasticciere al mondo. Ha lavorato al Cracco-Peck, all’Enoteca Pichiorri e, sì, anche al Bulli di Ferran Adrià, «circostanza che mi ha segnato». E com’è questa storia dei dessert salati? «Cominciamo col dire che alimenti “salati” di per sé non esistono, a parte, che ne so?, il prosciutto. Esistono cibi dal sapore neutro, ai quali si può aggiungere più sale o più zucchero. Per esempio la barbabietola della mia «rosa» (vedi scheda in questa pagina, ndr) sa, semplicemente, di verdura: come i piselli e i cavolfiori che talvolta uso, o le carote che già fanno parte della pasticceria tradizionale. Certo che ci si può progettare un dessert. Ma il problema è un altro». E cioè? «Non farli troppo pesanti, perché non ammazzino una buona cena. Oggi capita più spesso di una volta di concedersi un pranzo come si deve, anche con molte portate. È indispensabile calibrare i gusti e le quantità di zucchero. E le ragioni di dieta e di salute c’entrano eccome». Gopnik conclude, nella sua inchiesta, che i cuochi più avveduti ragionano ormai per categorie, anzi per «biblioteche» di sapori, lavorando di contrasto e di fantasia e senza preconcetti. Del resto, quando ha cominciato a fare domande indiscrete agli chef, gli hanno risposto: «Ma proprio lei si stupisce, che è un americano? Che cosa c’è di più dolce-salato di uno snack fatto di hamburger, ketchup e Coca Cola?». L’importante è che il pasto sia sorprendente e insieme bilanciato, una sinfonia per i sensi: non che si parta saporiti e si finisca al glucosio. Nel suo viaggio in Catalogna, l’inviato del «New Yorker» ha incontrato uno chef, Jordi Roca di El Celler de Can Roca, che pare uscito dalle pagine di Patrick Süskind perché i dessert li escogita profumati, proprio nel senso delle fragranze cosmetiche: prima di mettersi al lavoro, passa da Sephora e traffica con bottigliette e vaporizzatori. La sua araba fenice, visto che è un tifoso del Barça, è un dessert che gli dia le stesse emozioni di Messi in campo. Mentre il sogno proibito di Albert Adrià è il gelato caldo, e fa esperimenti alchemici con la sorbettiera, pompando aria calda nella miscela di panna. Ma la questione è anche: quanto contano i pasticcieri nelle brigate di cucina? Davide Scabin, chef del Combal.zero di Rivoli: «I pasticcieri sono sempre stati un po’ per conto loro, con un ruolo non intercambiabile. Cioè: pensavano soltanto alle creme, nessuno gli chiedeva di fare un arrosto. Noi chef abbiamo dovuto arrabattarci, e rubare le tecniche. Oggi voglio un cuoco che pensi “in dolce”. E salo con le stesse tre gradazioni di dosaggio con cui i pasticcieri misurano lo zucchero». Quanto ai dessert con le verdure, Scabin è scettico: «Il gelato al parmigiano non arriva dalla Catalogna ma dal Rinascimento italiano, e io ho smesso di usare le verdure nei dessert da qualche anno. Se un elemento diventa di tendenza, non m’interessa più. Sono andato oltre: per esempio con la mia fusione a freddo. Un uovo al tegamino che diventa un’esperienza irripetibile».