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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

Occhio, la Francia ci frega Malaparte - La settimana prossi­ma uscirà – in Fran­cia, dall’editore Grasset – una enor­me, importante bio­grafia di Curzio Ma­laparte

Occhio, la Francia ci frega Malaparte - La settimana prossi­ma uscirà – in Fran­cia, dall’editore Grasset – una enor­me, importante bio­grafia di Curzio Ma­laparte. Sono 630 pagine, che ci auguriamo verranno presto pubblicate anche in Italia, fitte di documenti e testimonianze inedite, da Giorgio Napolitano a Maria Sole Agnelli. Anche l’autore,italianissimo,è impor­tante. Maurizio Serra, nostro ambasciatore presso l’Unesco, è uno studioso fra i più autore­voli della cultura europea fra le due guerre, e basti ricordare il saggio Fratelli separati. Drieu, Aragon, Malraux ( Edizione Set­tecolori, vincitore del Premio Acqui storia). La nuova opera, palesemente frutto di anni di la­voro e di studio, è fascinosa fin dal titolo: Malaparte. Vies et lè­gendes ( Malaparte. Vite e leg­gende ), a indicare quante siano state le trasformazioni di un uo­mo camaleontico, e che ha vo­lutamente aggiunto alle sue molte vite un numero ancora maggiore di leggende. Lo scrittore sosteneva, e la fra­se fa da sottotitolo al saggio di Serra, «Perderò a Austerlitz e vincerò a Waterloo». Così è sta­to: denigrato in vita - per il suo enorme successo, la sua arro­ganza anticonformista, il suo voltar gabbana, che si riteneva più opportunista di quanto fos­se – Malaparte è ormai oggetto di una profonda revisione stori­co- letteraria, che mi onoro di avere iniziato nel 1981 con la biografia, tuttora vispa e vege­ta, L’Arcitaliano (Bompiani). Sono seguiti altri studi revisio­nisti e, di recente, l’acquisizio­ne da parte della Biblioteca di via Senato, a Milano, dell’inte­ro archivio dello scrittore, che permetterà ulteriori ricerche. Quanto alla diffusione delle opere, sono in corso di ristam­pa presso Adelphi, un editore impensabile fino a pochi anni fa. Kaputt e La pelle sono tra i libri italiani di tutti i tempi più tradotti nel mondo. Molte vite, molte fantasie, molte menzogne, ma perché Malaparte - dietro le ombre di Chateaubriand, Byron e d’An­nunzio, «che furono sempre i suoi modelli», scrive Serra ­considerava la rappresentazio­ne del reale, quindi la sua di­storsione, più vera della realtà: «La storia non l’ha mai interes­sato, se non per piegarla ai suoi fini, torcerla e tenderla come una stoffa», proprio come ma­terialmente faceva suo padre, tecnico tedesco chiamato a la­vorare nel fabbricone di Prato: «L’Io è il solo faro nella sua not­te ». Rispetto alla mia interpreta­zione, Serra conferma l’idea che Malaparte abbia avuto una coerenza politica di fon­do, con tutti i salti della qua­glia (che comunque furono di molti nella sua generazio­ne) tra repubblicanesimo e fa­scismo di sinistra. L’impor­tante era la rivoluzione, il cambiamento del Paese. Ma­laparte è modernissimo e ha una coerenza intima come «interprete profetico della de­cadenza dell’Europa di fron­te alla nuove potenze (Urss, Usa, Cina) e alle ideologie di massa: fascismo, comuni­smo, terzomondismo [...]. Po­chi intellettuali della sua epo­ca hanno previsto con altret­tanta precisione e denuncia­to con più vigore il declino di questo Occidente. Come im­maginarlo altrimenti? Cosa sarebbe Malaparte in un mondo globalizzato» e che ri­corre al politicamente corret­to per coprire la sua mancan­za di valori? «È già ammettere quanto ci manca». A differen­za delle mie conclusioni, Ser­ra ritiene Malaparte poco ita­liano, nel senso corrivo, per «certa mineralità e certo asce­tismo guerriero», facendo in ciò onore all’origine tedesca dello scrittore. Giudicheran­no i lettori. Dal suo punto d’osservazio­ne privilegiato, a Parigi, Serra nota che «i numerosi lettori e ammiratori francesi di Mala­parte », più amato Oltralpe che da noi, «si rinnovano spontaneamente di genera­zione in generazione, senza bisogno di grandi sforzi da parte dell’industria cultura­le, dando prova di un’indul­genza culturale che i francesi accordano a pochi autori stra­nieri ». Del resto, Serra spiega bene che Malaparte fu fasci­stizzante, ma «prossimo ai ri­voluzionari e lontanissimo dai conservatori, dai nostalgi­ci, dai reazionari»: collocato in quel «fascismo rosso», o di sinistra, che perse la sua batta­glia dopo la conquista del po­tere ma che risorgerà negli Anni Trenta con intellettuali che infine troveranno sbocco nel comunismo, come Elio Vittorini. Respinto dai comu­nisti italiani, che peraltro di­sprezzava, Malaparte «supe­rerà in audacia i suoi compa­gni mancati, volgendosi ver­so Mao, che lo riceverà con tutti gli onori dovuti al suo rango, dieci anni prima di ri­cevere Malraux»: senza che né l’uno né l’altro intellettua­le capissero veramente che cosa stesse accadendo in Ci­na, ma l’italiano aveva alme­n­o la giustificazione della ma­lattia che di lì a poco lo porte­rà alla tomba. Dell’interesse francese per Malaparte saranno ulteriore prova l’immancabile succes­so del libro di Serra e il conve­gno che si terrà il 24 febbraio all’Istituto italiano di cultura di Parigi diretto da Rossana Rummo, cui parteciperanno lo stesso Serra, Francesco Per­fetti e il sottoscritto, insieme a un gruppo di intellettuali fran­cesi di cui cito solo i più noti da noi: Jean-Paul Enthoven, Dominique Fernandez, Ber­nard- Henri Lévy, che pubbli­cherà gli atti sulla sua rivista La Règle du Jeu . Il saggio di Serra fornisce materiale abbondantissimo per capire le opere letterarie e le caratteristiche umane di Malaparte, dalla parca ses­sualità al vero dandismo, dal fascino della casa che costruì a Capri al suo gusto per la vita: «Nazionalista e cosmopolita, pacifista e bellicista, élitario e populista, scrittore politico dalla nitida scrittura e roman­zie­re dall’immaginazione ba­rocca, arcitaliano e antitalia­no, talvolta un po’ ciarlatano, Malaparte non finisce di scon­certarci per la sua modernità e per le sue continue sfide a ogni convenzione». Più Arci­taliano o più Antitaliano, dun­que? Non importa: se è vero, come è vero, che leggerlo «è un’esperienza che tocca qua­si l’incesto», tanto è «ancora in noi, Italiani, Europei venu­ti due, quasi tre generazioni dopo, per come sa parlare a noi e di noi».