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 2011  gennaio 23 Domenica calendario

Le piccole abitudini quotidiane? Create tutte dal grande design Si intitola «Design in Italia. L’esperienza del quotidiano» è curato da Aldo Colonetti ed è scritto da Porzia Bergamasco e Valentina Croci

Le piccole abitudini quotidiane? Create tutte dal grande design Si intitola «Design in Italia. L’esperienza del quotidiano» è curato da Aldo Colonetti ed è scritto da Porzia Bergamasco e Valentina Croci. E non è soltanto un libro di storia o di design, è lo specchio della nostra vita quotidiana, delle nostre abitudini di tutti i giorni, unite però da un unico denominato­re: sono disegnate dalla creatività italiana. Il gran­de design nostrano che a partire dalla seconda metà del Novecento conquista una diffusione che nessu­n’ltra disciplina artistica del nostro Paese ha rag­giunto. Soprattutto negli oggetti entrati rapidamen­te nelle case di tutto il mondo. Un successo che ha tre ragioni: la funzionalità, il gusto e la cura dei ma­teriali. Una produzione originalissima, che attra­versa tutti i settori merceologici: moda, sport, elet­tronica, mobili, elettrodomestici, auto, packaging, per non parlare delle tecnologie più avanzate, delle innovazioni nel trasporto o nell’arredo urbano. Ci si muove sui luoghi del quotidiano, negli spazi dove si vive e si lavora, classificati in Casa, Lavoro, Corpo e Città. Si riflette sul modo di abitare all’italiana di Gio Ponti, sul concetto di pianta libera di Le Corbu­sier e sul contributo di Magistretti nella ridefinizio­ne degli interni domestici. Il secondo capitolo è un insieme che pare infinito di oggetti che hanno rap­presentato la ricerca espressiva sui modi dell’abi­tare. Dateci un’occhiata: vi sembrerà di trovarvi a casa vostra. *** Francamente non si ca­pisce il motivo dell’ennesi­m o articolo sul design. Pos­siamo benissimo farne a meno. Anche perché, detto fra noi, chi ne capisce qual­cosa, di design? Soltanto quelli che lo fanno, ’sto be­nedetto design. Cioè quei signori che entrano nel lo­ro studio eternamente lu­minosissimo perché cattu­ra tutta la luce della città es­sendo stato progettato da architetti anch’essi mem­bri dalla Banda del Design; si siedono su una sedia di quelle secche secche che a vederle le diresti destinate a spaccarsi se un passerot­to avesse la ventura di po­sarcisi sopra (e invece mol­ti di quei signori hanno un culone grande così, anche in senso non figurato e quel­le sedie non si spaccano mai, nemmeno se le prendi a cannonate); afferrano una delle loro matitine che all’apparenza sono matite come tutte le altre, di quel­le che la gente normale usa per fare i cruciverba della Settimana Enigmistica o la lista della spesa, ma invece sono matite da designer, e, dopo averne mangiucchia­to un po’ (di matitina spe­ciale, ma questa volta sol­tanto in senso figurato, cioè per dire che si arrovel­lano cercando l’ispirazio­ne), colti come Guido Gui­nizelli, Lapo Gianni e Dan­te Alighieri, «per incanta­mento » dall’Idea Geniale buttano giù qualche schiz­zo che li porta dritti dritti in cima al Pantheon del made in Italy . Dopo di che magari li ve­diamo in tv raccontare quanto desidererebbero trasferirsi giù in Toscana nel loro rustico di tremila metri quadri appena acqui­stato, per stare in mezzo al­la cacca delle galline e sve­gliarsi all’alba per andare a mungere le vacche (a ma­no, non con la macchina per mungitura che, fino a prova contraria, uno di loro avrà pur disegnato, qual­che anno fa), ma purtrop­po, dicono, non possono perché sono pieni di impe­gni, devono continuamen­te rimbalzare fra Parigi, Los Angeles, Milano e Berlino, però un giorno... chis­sá... Que­sta gente qui, direb­be qualcu­no, è com­pletamente sganciata dal Paese rea­le, vive in un’altra dimen­sione. Pare che addirittura alcu­ni di loro non pos­siedano il cellula­re! Ma che dico il cellulare, chiamia­mo le cose con il loro nome, lo smart phone , e che, quando putacaso vo­gliono sentire un po’ di buo­na musica, mica accendo­no l’ iPod , vanno diretta­mente alla prima della Sca­la. In fondo, c’è da compa­­tirli, sono dei poveretti. I ve­ri privilegiati siamo noi. Lo­ro i piaceri e le comodità della vita non sanno nem­meno che cosa siano. Per esempio, metti che si alzino la mattina con la te­sta piena di pro­getti in diveni­re. Si tratta pe­rò di ordinarli per gruppi e sottogrup­pi. Insom­ma, urge un caffè, senza caf­fè anche quelli della Banda del Design fati­cano a connettere: contro il rincoglionimento pre-colazione non c’è ma­titina che tenga. Quindi che succede? Sempli­ce, succede che la don­na di ser­vizio ser­ve il caf­fè. Il caffè è affare di Maria o di Olga. Noi, invece, il caffè ce lo facciamo da soli, con la Moka Espress Bialetti , quella piccola oppure, se la sera prima abbiamo esage­rato, quella da sei, così la prima mezza caffettiera ce la spariamo subito, e la se­conda mezza la aggiungia­mo al latte, e nella tazza di caffelatte buttiamo una sca­tola di Pavesini . Oppure il caffelatte lo beviamo man­giando delle fette biscotta­te con sopra mezzo barattolo di Nutel­la . Poi, mentre i desi­gner, nei loro uffici i n centro, sono già i n videoconferenza con il marketing, noi, ancora in pigiama, nel no­stro bilocale di semiperife­ria montiamo sulla cyclette Carnielli e ci diamo dentro per quei due-tre chilometri che fanno bene al fisico e al­la coscienza. Quindi, esple­tate alcune altre funzioni sulle quali forse tornere­mo, eccoci agguantare il Mi­nisac Invicta , riempirlo con sigarette, accendino, un libro e qualche altra cianfrusaglia e schizzare a prendere il Jumbo Tram per andare al lavoro. Se pe­rò il tram è bloccato nel traffico, ripieghiamo sulla MM , la metro, ver­de, rossa o gialla, dipen­de da un’altra Banda, quella del Mercato Immo­biliare. Soltanto quando siamo in attesa con altre mille persone ci ricor­diamo che avremmo dovu­t o assolutamente chiamare qualcuno mezz’ora prima, e contestualmente scopria­mo che tra le cianfrusaglie messe nello zainetto non c’è il telefono. Nessun pro­blema, siamo a Milano, non a Kathmandu, faccia­mo di corsa le scale e rag­giungiamo un telefono Ro­to che ancora resiste (o han­no dimenticato di portarlo al macero?) vicino all’edi­cola, inseriamo qual­che moneta a ca­so e parliamo con chi di do­vere. Raggiunta la nostra meta con l’usuale ritar­do, ci piazziamo alla scrivania, ac­cendiamo la vec­chia lampada Tolomeo ( come si ri­corderà, tutta la luce solare è stata requisita da­gli studi dei signori designer) e accen­diamo il computer. Se i colleghi più pun­tuali hanno avuto il buon cuore di non fregarci né il tappeti­no per mouse , né la cucitrice a pinza Ze­nith 548 , per il volgo «graffettatrice», né l’unico Tratto Pen ri­mastoci, vuol dire che, baciati dalla Dea Ben­data, possiamo iniziare un’altra esaltante giornata lavorativa, che qualche vol­ta può anche chiudersi sul­l’immagine del barista che ci versa nel bicchiere il con­tenuto della familiare botti­glietta del Campari Soda . Tutto questo, natural­mente, se non siamo fra i due o tre milioni di italiani «a letto per l’influenza» di cui parlava il telegiornale l a notte precedente. M a an­che in questo caso, dov’è il problema? Si fa una colazio­ne più curata e salutista, sti­pando nel frullatore Girmi , che riposa da anni in di­spensa accanto alla pento­la a pressione Lagostina mai usata, delle carote e una mela. Si torna a letto e, se il frullato lievita come un corpo estraneo nello stoma­co, si va a frugare nell’arma­dietto del bagno e si recupe­ra la borsa per l’acqua cal­da Pirelli che di lì a pochi minuti infileremo fra il pi­giama e la maglietta della salute (si fa per dire...). Sul­l’unica nota dolente del bi­done Aspiratutto azionato dalla vicina di casa che fa le pulizie, tenteremo di pren­der sonno. Sempre che la boule abbia vinto la batta­glia con il frullato. Altri­menti s’impone una seduta aggiuntiva in bagno che po­trebbe avere conseguenze eclatanti. Per fortuna c’è il porta scopino del wc Cuccio­lo . Identico a quello espo­sto al MoMA di New York. E poi dicono che il design è una cagata pazzesca...