Daniele Abbiati, il Giornale 23/1/2011, pagina 16, 23 gennaio 2011
Le piccole abitudini quotidiane? Create tutte dal grande design Si intitola «Design in Italia. L’esperienza del quotidiano» è curato da Aldo Colonetti ed è scritto da Porzia Bergamasco e Valentina Croci
Le piccole abitudini quotidiane? Create tutte dal grande design Si intitola «Design in Italia. L’esperienza del quotidiano» è curato da Aldo Colonetti ed è scritto da Porzia Bergamasco e Valentina Croci. E non è soltanto un libro di storia o di design, è lo specchio della nostra vita quotidiana, delle nostre abitudini di tutti i giorni, unite però da un unico denominatore: sono disegnate dalla creatività italiana. Il grande design nostrano che a partire dalla seconda metà del Novecento conquista una diffusione che nessun’ltra disciplina artistica del nostro Paese ha raggiunto. Soprattutto negli oggetti entrati rapidamente nelle case di tutto il mondo. Un successo che ha tre ragioni: la funzionalità, il gusto e la cura dei materiali. Una produzione originalissima, che attraversa tutti i settori merceologici: moda, sport, elettronica, mobili, elettrodomestici, auto, packaging, per non parlare delle tecnologie più avanzate, delle innovazioni nel trasporto o nell’arredo urbano. Ci si muove sui luoghi del quotidiano, negli spazi dove si vive e si lavora, classificati in Casa, Lavoro, Corpo e Città. Si riflette sul modo di abitare all’italiana di Gio Ponti, sul concetto di pianta libera di Le Corbusier e sul contributo di Magistretti nella ridefinizione degli interni domestici. Il secondo capitolo è un insieme che pare infinito di oggetti che hanno rappresentato la ricerca espressiva sui modi dell’abitare. Dateci un’occhiata: vi sembrerà di trovarvi a casa vostra. *** Francamente non si capisce il motivo dell’ennesim o articolo sul design. Possiamo benissimo farne a meno. Anche perché, detto fra noi, chi ne capisce qualcosa, di design? Soltanto quelli che lo fanno, ’sto benedetto design. Cioè quei signori che entrano nel loro studio eternamente luminosissimo perché cattura tutta la luce della città essendo stato progettato da architetti anch’essi membri dalla Banda del Design; si siedono su una sedia di quelle secche secche che a vederle le diresti destinate a spaccarsi se un passerotto avesse la ventura di posarcisi sopra (e invece molti di quei signori hanno un culone grande così, anche in senso non figurato e quelle sedie non si spaccano mai, nemmeno se le prendi a cannonate); afferrano una delle loro matitine che all’apparenza sono matite come tutte le altre, di quelle che la gente normale usa per fare i cruciverba della Settimana Enigmistica o la lista della spesa, ma invece sono matite da designer, e, dopo averne mangiucchiato un po’ (di matitina speciale, ma questa volta soltanto in senso figurato, cioè per dire che si arrovellano cercando l’ispirazione), colti come Guido Guinizelli, Lapo Gianni e Dante Alighieri, «per incantamento » dall’Idea Geniale buttano giù qualche schizzo che li porta dritti dritti in cima al Pantheon del made in Italy . Dopo di che magari li vediamo in tv raccontare quanto desidererebbero trasferirsi giù in Toscana nel loro rustico di tremila metri quadri appena acquistato, per stare in mezzo alla cacca delle galline e svegliarsi all’alba per andare a mungere le vacche (a mano, non con la macchina per mungitura che, fino a prova contraria, uno di loro avrà pur disegnato, qualche anno fa), ma purtroppo, dicono, non possono perché sono pieni di impegni, devono continuamente rimbalzare fra Parigi, Los Angeles, Milano e Berlino, però un giorno... chissá... Questa gente qui, direbbe qualcuno, è completamente sganciata dal Paese reale, vive in un’altra dimensione. Pare che addirittura alcuni di loro non possiedano il cellulare! Ma che dico il cellulare, chiamiamo le cose con il loro nome, lo smart phone , e che, quando putacaso vogliono sentire un po’ di buona musica, mica accendono l’ iPod , vanno direttamente alla prima della Scala. In fondo, c’è da compatirli, sono dei poveretti. I veri privilegiati siamo noi. Loro i piaceri e le comodità della vita non sanno nemmeno che cosa siano. Per esempio, metti che si alzino la mattina con la testa piena di progetti in divenire. Si tratta però di ordinarli per gruppi e sottogruppi. Insomma, urge un caffè, senza caffè anche quelli della Banda del Design faticano a connettere: contro il rincoglionimento pre-colazione non c’è matitina che tenga. Quindi che succede? Semplice, succede che la donna di servizio serve il caffè. Il caffè è affare di Maria o di Olga. Noi, invece, il caffè ce lo facciamo da soli, con la Moka Espress Bialetti , quella piccola oppure, se la sera prima abbiamo esagerato, quella da sei, così la prima mezza caffettiera ce la spariamo subito, e la seconda mezza la aggiungiamo al latte, e nella tazza di caffelatte buttiamo una scatola di Pavesini . Oppure il caffelatte lo beviamo mangiando delle fette biscottate con sopra mezzo barattolo di Nutella . Poi, mentre i designer, nei loro uffici i n centro, sono già i n videoconferenza con il marketing, noi, ancora in pigiama, nel nostro bilocale di semiperiferia montiamo sulla cyclette Carnielli e ci diamo dentro per quei due-tre chilometri che fanno bene al fisico e alla coscienza. Quindi, espletate alcune altre funzioni sulle quali forse torneremo, eccoci agguantare il Minisac Invicta , riempirlo con sigarette, accendino, un libro e qualche altra cianfrusaglia e schizzare a prendere il Jumbo Tram per andare al lavoro. Se però il tram è bloccato nel traffico, ripieghiamo sulla MM , la metro, verde, rossa o gialla, dipende da un’altra Banda, quella del Mercato Immobiliare. Soltanto quando siamo in attesa con altre mille persone ci ricordiamo che avremmo dovut o assolutamente chiamare qualcuno mezz’ora prima, e contestualmente scopriamo che tra le cianfrusaglie messe nello zainetto non c’è il telefono. Nessun problema, siamo a Milano, non a Kathmandu, facciamo di corsa le scale e raggiungiamo un telefono Roto che ancora resiste (o hanno dimenticato di portarlo al macero?) vicino all’edicola, inseriamo qualche moneta a caso e parliamo con chi di dovere. Raggiunta la nostra meta con l’usuale ritardo, ci piazziamo alla scrivania, accendiamo la vecchia lampada Tolomeo ( come si ricorderà, tutta la luce solare è stata requisita dagli studi dei signori designer) e accendiamo il computer. Se i colleghi più puntuali hanno avuto il buon cuore di non fregarci né il tappetino per mouse , né la cucitrice a pinza Zenith 548 , per il volgo «graffettatrice», né l’unico Tratto Pen rimastoci, vuol dire che, baciati dalla Dea Bendata, possiamo iniziare un’altra esaltante giornata lavorativa, che qualche volta può anche chiudersi sull’immagine del barista che ci versa nel bicchiere il contenuto della familiare bottiglietta del Campari Soda . Tutto questo, naturalmente, se non siamo fra i due o tre milioni di italiani «a letto per l’influenza» di cui parlava il telegiornale l a notte precedente. M a anche in questo caso, dov’è il problema? Si fa una colazione più curata e salutista, stipando nel frullatore Girmi , che riposa da anni in dispensa accanto alla pentola a pressione Lagostina mai usata, delle carote e una mela. Si torna a letto e, se il frullato lievita come un corpo estraneo nello stomaco, si va a frugare nell’armadietto del bagno e si recupera la borsa per l’acqua calda Pirelli che di lì a pochi minuti infileremo fra il pigiama e la maglietta della salute (si fa per dire...). Sull’unica nota dolente del bidone Aspiratutto azionato dalla vicina di casa che fa le pulizie, tenteremo di prender sonno. Sempre che la boule abbia vinto la battaglia con il frullato. Altrimenti s’impone una seduta aggiuntiva in bagno che potrebbe avere conseguenze eclatanti. Per fortuna c’è il porta scopino del wc Cucciolo . Identico a quello esposto al MoMA di New York. E poi dicono che il design è una cagata pazzesca...