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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

«IN 10 CONTRO GLI PSICHIATRI. COSI’ PARTI’ IL MOVIMENTO GAY»

«Un omosessuale normale» . È il titolo del nuovo libro di Angelo Pezzana, che Stampa Alternativa pubblica oggi. Tra l’autobiografia e il diario, il fondatore del movimento omosessuale italiano racconta la sua storia e i personaggi che ha conosciuto, da James Baldwin a Platinette, da Rudolf Nureyev a Moira Orfei, da Ettore Sottsass a Roberto Bolle.
Gli incontri del passato. «Avvenivano nella clandestinità di strade poco illuminate, giardinetti pubblici, parchi. Ma per anni, soprattutto d’inverno, gli spazi più frequentati sono stati i cinema. Non sarà bene dirlo, ma la verità è che la maggior parte di noi andava al cinema per farsi in loco un bel militare. L’atmosfera, fatta di brusio e nuvole di fumo, di sguardi veloci e gesti solo apparentemente casuali, diffondeva una sorta di elettricità sessuale contagiosa che favoriva ogni genere di contatto. Poco importava quale fosse il film: si pagava il biglietto senza nemmeno guardare i manifesti. Io andavo a sedermi accanto a qualcuno che mi sembrava il tipo giusto, oppure stazionavo in piedi in fondo alla sala fingendo indecisione su dove sistemarmi. Incontrai in un cinema A., uno dei due grandi amori della mia vita. So bene che raccontare queste cose non è considerato elegante. La maggior parte delle persone che le ha vissute preferisce dimenticarle, nasconderle, fingere che non siano mai esistite. Per non dire chi preferisce immaginare gli omosessuali come esteti raffinati, dotati di squisita sensibilità e maestri dell’arredamento, della moda, delle acconciature per signora, geniali ballerini, artisti ricercati. Ma tutti sappiamo che non è così. La diversità, di per sé, non comporta maggiore o minore intelligenza, maggiore o minore stupidità e, appunto, maggiore o minore sensibilità» .
Fuori! «Il primo dilemma si presentò quando si trattò di trovare un nome al movimento. Fu "Fuori"la parola che approvammo con convinzione. Alludeva all’"out", parola d’ordine imperativa del movimento americano. Ma doveva rappresentare anche un acrostico: F. u. o. r. i. Per la F, la U e la I non ci furono problemi. La F stava per Fronte, la U per Unitario e la I Italiani. Fu sulla R che si accese la discussione. L’unica proposta sul tavolo era Rivoluzionario, parola che non a tutti sembrava adatta al gruppo di omosessuali borghesi quali eravamo. Ma l’aura che la circondava nella società occidentale del 1971 spazzò via le tenui resistenze. Ripensandoci quarant’anni dopo, non fu poi una scelta sbagliata. Stavamo rivoluzionando, prima di ogni altra cosa, le nostre stesse esistenze. Non eravamo più persone dalla doppia vita o comunque con una vita sessuale inconfessabile. L’inizio della visibilità cominciava da noi stessi, come era giusto che fosse» .
Il coming out. «Fu così che un piccolo gruppo di omosessuali, una decina di italiani e altrettanti giunti da mezza Europa, si riunì davanti al Casinò di Sanremo per contestare il primo congresso internazionale di sessuologia, che riuniva il fior fiore degli esponenti reazionari (allora si diceva così) della psichiatria. L’effetto fu un incendio che infiammò l’opinione pubblica. Per la prima volta i giornali rinunciarono ai soliti eufemismi che di eufemico nulla avevano. Niente più "torbido ambiente", "terzo sesso", "invertiti", "balletti verdi", "quelli così"... Di colpo la parola rivendicata, seria, la parola che spaventava veniva pronunciata e scritta: omosessuali» . Pannella. «Rimasi affascinato dal suo carisma. Se nelle formazioni di destra eravamo considerati sporcaccioni, se in quelle di centro dei peccatori, se in quelle di sinistra una sovrastruttura borghese, con Marco e i radicali eravamo delle persone, dei cittadini. Niente di più. Niente di meno» .
Franca Valeri. «Che l’Eterno mi perdoni, ma non ci sono Judy Garland o Barbra Streisand che tengano. In Italia l’unica vera e insostituibile icona gay ha un solo nome: Franca Valeri. Quel gesto familiare di riavviarsi una ciocca di capelli, quell’espressione negli occhi, quel tono di voce che milioni di volte gli omosessuali italiani hanno copiato e ripetuto negli ultimi sessant’anni: siamo in debito con lei se nel tempo del moralismo asfissiante, se in una società che o evitava di parlarne o si dava di gomito, è stato possibile fare dell’ironia intelligente e briosa sull’omosessualità. Franca ci prendeva tutti in giro mentre esplodevano gli applausi a scena aperta davanti a quelle rappresentazioni femminili in cui potevamo riconoscerci tutti» .
Gianni Vattimo. «Ogni tanto fa parlare le cronache per qualcosa che ha a che vedere con la sua omosessualità. Conoscendo bene il suo percorso, posso testimoniare di come ci si possa inventare una militanza senza che sia mai esistita. Quando nacque il Fuori, il futuro grande filosofo si rifiutò di farne parte temendo che il padrone di casa non avrebbe rinnovato il contratto d’affitto. Omosessuale di corte, accolto con tutti gli onori nella (per lui) spregevole società occidentale... ciò che mi disturba in Vattimo è la sudditanza ai regimi autoritari, una pulsione masochistica che però il professore realizza senza mai correre pericolo. Una sudditanza che apre molte porte, come quella cubana, isola infelice dove gli omosessuali vengono incarcerati e trovano sovente la morte, mentre lui viene accolto da Fidel... Anni fa, incontrandolo per strada gli ingiunsi: "Se mi vedi, per favore, non salutarmi"» .
Dario Fo. «Il futuro Nobel era solito attaccare il potere democristiano usando mezzi che suscitavano sì forti risate e il deliquio del pubblico, ma che prendevano in giro uomini come Andreotti, scimmiottato da Fo che si fingeva gobbo, oppure Mariano Rumor, e allora un’orgia di mossettine effeminate e di battutacce sulle inclinazioni sessuali di quell’uomo politico. Era questa la grana "culturale"del grande artista: usava l’omosessualità per sollazzare il pubblico. Razzismo antropologico, omofobia miserabile. Quel suo ghigno, che piaceva tanto a tanti, a me fu odioso» .
Aldo Busi. «Lo dico subito: ad Aldo voglio bene. E confesso la mia incertezza prima di scrivere queste righe che certamente lo irriteranno. Ma poiché credo che di bene me ne voglia anche lui, ci provo lo stesso. Conosco Busi da quando nell’ 84 uscì Seminario sulla gioventù. Era nato un nuovo e autentico scrittore. E in più omosessuale. Ma lui, di fronte alla possibilità di essere incorniciato in una qualsiasi categoria che lo costringa a essere qualcosa di riconoscibile, si infuria. Credo che giudichi un insulto dei peggiori essere definito "scrittore omosessuale". Ma prima o poi, se lo vorrà, dovrà fare i conti con la propria identità» .
Paolo Poli. «Si esibiva in cabaret semicentrali se non addirittura periferici, registrando sempre il tutto esaurito. Lo amavano i notai, gli avvocati o i commercialisti seduti ai bordi delle prime file, quando svenevole lui scendeva dal palcoscenico per andare a sedersi in braccio a uno di loro, accarezzando come una maliarda qualche testa pelata, qualche guancia appena rasata...» .
Come riconoscersi? «"Come fate a riconoscervi tra di voi?". Spesso alcuni amici eterosessuali mi pongono questa domanda. Non ho mai posseduto quel sesto senso che gli americani chiamano gayradar. Da ragazzo credevo ciecamente che gli attori di Hollywood dai plurimatrimoni fossero etero impenitenti. Guai se si fosse saputo che Rock Hudson o Montgomery Clift, James Dean o Tab Hunter appartenevano in realtà all’altra parrocchia. Oggi molto è cambiato e io stesso, con gli anni, una cosa l’ho capita: il nostro sguardo ne ha guadagnato. Può essere contenuto e non far passare nulla negli occhi, può evocare l’antico riflesso timoroso di ricevere un segno di riprovazione o di fastidio. Può, però, anche fulminare e colpire nel segno. Inseguire ed essere accolto. Ricevere una risposta compiaciuta, intimidita o strafottente, grata o dubbiosa. Lo sguardo è un’arma che abbiamo imparato a usare con grande perizia. Tutto ciò per un eterosessuale può sembrare superfluo. Un uomo che voglia avvicinare una donna può ricorrere al tradizionale corteggiamento che a noi manca, perché per millenni abbiamo dovuto vivere in una clandestinità coatta» .
Occhiolino. «Come abitudine non ci appartiene» .
Aldo Cazzullo