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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

NEL PAESE DELLE AQUILE RISORGONO I VECCHI FANTASMI

Indro Montanelli, che non aveva soltanto una straordinaria sensibilità e una capacità di scrittura unica, ma anche una grande onestà culturale, rimase sconcertato quando gli chiedemmo di parlarci di un libro che aveva scritto nel 1939, «Albania una e mille» , libro che gli era stato commissionato dal Minculpop, cioè il ministero della cultura fascista. «Ti prego di essere comprensivo — disse —. Scrissi un sacco di caz…» . Niente di vero, naturalmente. Quel libro è un documento essenziale per capire le immutabili coordinate del Paese balcanico, un documento vivo ed efficace anche oggi. Perché Montanelli seppe piantare la sua attrezzatissima sonda nella psicologia di un popolo fiero e particolare: con il nord montanaro e indurito da una natura che spesso frequenta l’estremo; un sud marinaro e più abituato all’atmosfera levantina dei commerci e del denaro facile; e al centro la borghese Tirana a far da cuscinetto. Negli anni della cortina di ferro, fu l’unico Paese comunista europeo ad essere il bastione mediterraneo dell’ideologia maoista, in opposizione a quella sovietica. In realtà Enver Hoxa lo ibernò per mezzo secolo. Nel «Paese delle aquile» , dopo l’uscita dall’incubo totalitario, tutto è possibile. E quanto avviene in questi giorni in Albania non è che la riproposizione di quanto accadde una quindicina di anni fa, quando tutto esplose a seguito della scoperta di quelle «finanziarie piramidali» che fecero scuola: un sistema di frode elementare, poi riproposto e affinato negli Stati Uniti da quel grande speculatore che si chiama Bernard Madoff, e che ora paga i suoi misfatti con il carcere a vita. Colpiscono, nella violenta manifestazione albanese di ieri, promossa dall’opposizione di sinistra contro il governo di ieri, tre fatti. Prima di tutto il numero delle vittime, tre morti e cinquantacinque feriti, durante l’assalto (fallito) al palazzo del governo. Subito dopo la presenza, al vertice dell’esecutivo, di quello stesso Sali Berisha che fu protagonista politico anche durante la precedente stagione di violenze, è che è stato eletto l’ultima volta nel 2009 con un voto sul filo di lana assai sospetto: tanto che le opposizioni non lo riconoscono e parlano di gravi brogli. Ma c’è un terzo fatto rilevante: la concomitanza con altre crisi nell’area mediterranea, con la rivolta del pane in Algeria e l’assai più cruenta rivoluzione tunisina, che ha portato alla fuga del presidente Ben Ali. L’Albania continua a cercare di liberarsi dalle ombre di un passato opprimente e dalla camicia di forza della corruzione, che è la prima accusa rivolta al governo di Berisha. Tuttavia va detto che oggi anche l’opposizione di Edi Rama (che è anche sindaco di Tirana), e che attacca a testa bassa l’esecutivo, non ha ancora offerto un vero e credibile programma di rinnovamento. Anche la storia del partito socialista non è immune da madornali errori. Il rischio, ancora una volta, è che tornino a scorrazzare le bande che tentarono di coniugare criminalità e politica e furono protagoniste delle guerriglie che si combatterono in tutto il Paese, dal nord al sud, nei tardi anni ’90, fino a quando gli albanesi influenzarono i conflitti (per fortuna a intensità ridotta rispetto ad altre repubbliche dell’ex Jogoslavia) nella vicina Macedonia, con le azioni dei musulmani dell’Uck contro i cristiani ortodossi del Kosovo e di Skopje. Per evitare che la storia si ripeta, con l’aggravante della crisi economica che ormai coinvolge quasi tutto il mondo, bisogna evitare che il violento linguaggio prevalente trasformi la protesta nel preambolo di un nuovo conflitto. Accusare i socialisti di golpe contro il governo non soltanto è improprio, ma può essere estremamente pericoloso.
Antonio Ferrari