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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

VIVERE CON IL 40 PER CENTO DI RAGAZZI DISOCCUPATI

All’ultimo concorso per trenta posti di usciere alle Cortes, il Parlamento spagnolo, si sono presentati in 20mila. La prova somigliava a uno di quei test per il quoziente d’intelligenza. Risultato: anche se il bando richiedeva il diploma, i vincitori sono stati, per la maggior parte, economisti, fisici, matematici, avvocati. Tutti laureati. In divisa, nel salone dei Passi Perduti, ad omaggiare le “loro signorie”, che in molti casi non hanno neppure lo stesso livello di studi. Di questi tempi è già tanto. Nella Spagna che colleziona un record negativo dopo l’altro, ottenere un posto di lavoro è un privilegio da tenersi stretto. Nel paese che ha sfondato il tetto del 20% di disoccupati (quattro milioni, e nulla lascia sperare che questa cifra possa calare in tempi brevi), il tasso di desempleo giovanile raddoppia la media europea, e triplica quella mondiale: 40%. Numeri che giustificano la definizione di “generación perdida”.
Il guaio è che il fenomeno comincia ad assumere caratteristiche strutturali. I giovani sono i primi a pagare le conseguenze della crisi economica, in Spagna ancor più che in altri paesi. Lo si era visto già in occasione di precedenti periodi di recessione: a metà degli anni ’80, quando si arrivò a un 45% di “paro juvenil”. E poi ancora a metà degli anni ’90.
Secondo quanto rivela l’ultimo rapporto del Injuve, l’istituto che si occupa della condizione giovanile per il ministero della Sanità e Politica Sociale, i giovani in Spagna entrano nel mercato del lavoro “sempre più tardi”, i periodi di disoccupazione “sono più lunghi” rispetto ad altri paesi della Ue, e i contratti part-time sono più frequenti. Cosa che rende sempre più difficile raggiungere l’indipendenza economica. E allora, non deve stupire questo dato: il 60 per cento dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni vivono ancora nella residenza familiare, contro percentuali di gran lunga inferiori (fra il 30 e il 47 per cento) in paesi come Finlandia, Svezia, Germania e Olanda. “Se non si genera lavoro, in condizioni dignitose e stabili, si condannano i giovani a non avere un progetto di vita”, riflette Cristina Bermejo, segretaria confederale per la gioventù del sindacato Comisiones Obreras. “È intollerabile condannare la generazione più preparata della nostra storia a pagare un pedaggio di precarietà interminabile”.
In realtà, sarà pur vero che è la generazione più preparata, ma la strada da percorrere è ancora lunga. I risultati di uno studio prestigioso come il Pisa (Program for International Student Assessment) mostrano che gli studenti spagnoli hanno ancora un livello di gran lunga inferiore a quello che ci si attenderebbe dal volume di risorse che vengono investite nel campo dell’educazione. Tra l’altro, l’Ocse segnala che la “redditività relativa” per le persone più formate è in caduta libera rispetto ad altri livelli educativi: negli ultimi otto anni il “vantaggio salariale” degli universitari spagnoli rispetto ai diplomati ha subìto un tracollo del 40 per cento. “Nei periodi di recessione, poi, il grado di sovra-qualificazione aumenta”, ricorda José García Montalvo, professore di economia della Universitat Pompeu Fabra di Barcellona. Sia perché i lavoratori, nei momenti di difficoltà, “sono disponibili ad accettare un impiego al di sotto del loro livello, sia perché le imprese, che in una situazione normale non contratterebbero un lavoratore eccessivamente qualificato per il timore di perderlo in poco tempo, non hanno più tante reticenze quando i livelli di disoccupazione sono molto elevati”.
Ancor più complicata, comunque, la situazione dei ragazzi che hanno una minore preparazione. Come rivela lo studio “Giovani, lavoro e formazione in Spagna”, pubblicato dal sindacato Comisiones Obreras, la crisi economica ha colpito soprattutto quelle persone, di età compresa fra i 25 e i 29 anni, che non hanno concluso la scuola dell’obbligo (36%), contro il 14% che hanno studi superiori. “Un dato preoccupante, se si considera che in Spagna il 31,9% dei giovani fra i 18 e i 24 anni non hanno terminato le secondarie superiori, rispetto a una media comunitaria del 15%”. Su un milione e mezzo di posti di lavoro bruciati fra il 2007 e il 2009, quattro su cinque hanno colpito i più giovani. Colpa dell’aumento dei contratti part-time, dei rapporti non lavorativi (borse di studio e periodi di pratica), del dilagare dell’economia sommersa. Forse è anche per questo che, tra i tanti record negativi, la Spagna ne ha collezionato anche un altro: quello della “generación ni-ni”. Un esercito crescente di giovani che, scoraggiati dalla mancanza di prospettive, “ni estudian, ni trabajan”, né studiano, né lavorano.