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 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

MOSCA IN AIUTO DELL’EURO PER TORNARE GRANDE

La Russia si unirà alla Cina e al Giappone e comprerà bond del fondo di salvataggio europeo nell’imminente asta di debutto. L’annuncio di Alexei Kudrin, il più longevo ministro delle Finanze di era post-sovietica, in sella dal 2000, arriva mentre Mosca, coperta di ghiaccio, è ancora illuminata dalle luci del Natale ortodosso. E recapita al Vecchio continente (e oltre) il primo messaggio del 2011, l’anno che deciderà i giochi per le elezioni presidenziali di marzo 2012.

La Russia è tornata, sembra voler dire il governo di Vladimir Putin, e può sedersi al tavolo delle potenze in grado di dare una mano all’euro. Poco contano i dettagli, l’importante è partecipare.

Chi l’avrebbe detto? Mosca al capezzale di Irlanda e Portogallo quando solo un anno fa era alle prese con il rimborso del debito sovrano. La Russia in soccorso della moneta unica affondata dai deficit mentre ancora sono aperte le ferite della crisi finanziaria che ha colpito duro anche qui, nonostante la ricchezza del petrolio.

Ma la campagna elettorale incombe. Con l’acquisto dei bond, quando arriverà, il governo di Putin, oltre a salvaguardare le sue riserve in valuta (euro compreso), ritorna alla retorica della superpotenza, che era stata un po’ appannata dalla recessione. Una politica che vede il boom delle scuole militari di impronta imperiale, vuole insegnare agli studenti la materia "Russia nel mondo" e finisce nel mirino degli intellettuali. Tra questi Alexander Arkhangeleskij, scrittore, blogger, conduttore televisivo del canale culturale. «Quando il potere parla alla maggioranza silenziosa - osserva - usa un linguaggio di tipo sovietico. E la maggioranza può ancora credere alla retorica della superpotenza. Ma l’establishment si rende conto che per come è messa economicamente la Russia si può collocare nella prima fila dei paesi in via di sviluppo».

Arkhangeleskij è scettico sul peso che il suo paese può gettare sullo scacchiere internazionale. Sotto la facciata scintillante, costruita grazie al potere delle immense riserve energetiche, si vede una realtà diversa. «Kudrin sa bene - dice - che il volume dell’economia russa è sì e no pari a quello di due-tre grandi province cinesi. Se guardiamo ai Bric noi ci possiamo collocare al livello del Brasile, non certo della Cina».

L’immagine del proprio status nel mondo cambia radicalmente, aggiunge, a seconda dell’interlocutore. «Chiediamo a un tifoso durante una partita di calcio se crede che lo stato russo riuscirà a mettere tutti i partner in riga e a ottenere il posto che merita. Risponderà sicuramente "sì". Domandiamogli poi se è disposto a pagare qualcosa di persona per essere una superpotenza. La risposta sarà negativa, senza appello».

L’élite della società, invece, si rende conto che nel prossimo futuro non tornerà la grande scuola della scienza, fiore all’occhiello delle potenze. I migliori studenti della Russia, i ricercatori, i giovani di talento lasciano il paese. Nei giorni scorsi è stato Vladimir Ryzhkov, esponente dell’opposizione, a lanciare l’allarme: l’attuale struttura verticistica del potere, ha detto a radio Ekho Moskvij, impedisce lo sviluppo di un tessuto sociale imprenditoriale e di un’ampia classe media. Il rischio, secondo Ryzhkov, è che continui l’ondata di migrazione dei "cervelli" che ha segnato l’ultimo decennio. Un milione di persone, dicono le statistiche, ha lasciato la Russia: l’80% erano specialisti e studenti altamente qualificati.

Ma il governo e il Cremlino, nell’anno cruciale che deciderà il prossimo presidente - Dmitrij Medvedev sfiderà Putin o gli cederà il passo per un altro decennio? - lanciano la loro sfida per far riprendere quota al paese dopo gli anni della crisi globale. La recessione delle grandi economie industriali, riducendo il bisogno di energia, ha penalizzato il paese che sulle riserve di gas e petrolio aveva ricostruito, alla fine degli anni Novanta, la sua influenza internazionale.

Se il peggio è davvero passato, oggi l’Orso russo prepara il ritorno. Un tassello importante dei nuovi equilibri è la chiusura, una settimana fa, dell’importante accordo tra Bp e Rosneft, la prima società russa per produzione di petrolio, guidata dal potente Igor Sechin, fedelissimo di Putin. Un’intesa senza precedenti, con scambio di partecipazioni azionarie e di consiglieri di amministrazione, che segna una svolta nella pur lunga storia delle joint-venture con le compagnie straniere del settore energetico.