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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

Le opere migliori dell’Italia unita? Restano in soffitta - Anche l’Italia dell’ar­te ha una sua storia ufficiale, incrociata da una miriade di strade parallele

Le opere migliori dell’Italia unita? Restano in soffitta - Anche l’Italia dell’ar­te ha una sua storia ufficiale, incrociata da una miriade di strade parallele. Pur essendo spesso altrettanto validi e intriganti, al momento delle celebrazioni uffi­ciali i percorsi alternativi vengo­no completamente dimenticati o, forse, deliberatamente ignora­ti. Se il 2009 è stato il centenario del Futurismo, padre di tutte le avanguardie, che il Paese ha as­sunto a modello condiviso dopo un lungo ostracismo della critica di sinistra che ne aborriva i pro­clami bellici e la vicinanza con il fascismo,per i 150 anni dell’Uni­tà i festeggiamenti in campo arti­stico si concentreranno soprat­tut­to su due momenti chiave del­l’ultimo secolo e mezzo: per l’800 le pitture risorgimentali (a Tori­no il 17 marzo si riaprirà, integral­mente restaurato, il Museo del Ri­sorgimento), mentre per il ’900 ci troveremo di fronte all’ennesi­ma esaltazione dell’Arte Povera, ultimo successo di gruppo e, so­prattutto, espressione ufficiale del ’68 che non smette di dettar legge e stabilire chi è dentro e chi fuori. Ma quanti pittori e artisti irrego­lari, solitari, introversi, sono stati sacrificati sull’altare del pensiero dominante? Pensando al perio­do intorno al 1861, a esempio, non si parla più di Federico Faruf­fini, anello di congiunzione tra la pittura neoclassica e la Scapiglia­tura, morto suicida a Perugia po­co più che trentenne. Proprio gli Scapigliati, malinconici e lunari, non sembrano muovere grandi entusiasmi, eppure Daniele Ran­z­oni e Mosè Bianchi risultano au­tori raffinati e misteriosi, vicini ai coevi esperimenti letterari. Nep­pure il Simbolismo, nella versio­ne italiana, verrà celebrato come si deve: così il prezioso Matteo Olivero, cuneese, che visse una breve esistenza tormentata e di­pinse le sue montagne in assolu­to isolamento. E che dire degli Orientalisti, che furono di gran moda nella Parigi di metà ’800, oggi pressoché dimenticati, co­me il grande Alberto Pasini, mili­te nella prima guerra d’indipen­denza, decorato con la Legion d’Onore a Parigi nel 1878, vero e proprio avamposto italico di que­sta corrente. Del primo ’900 passa soprattut­to il Futurismo e dintorni, anche se il movimento, dispersosi in in­numerevoli scuole regionali, si è alla lunga annacquato. Finisce in secondo piano l’esperienza del­l’astrattismo lombardo sorto in­torno alla galleria Il Milione (Ve­ronesi, Rho, Reggiani), mentre per tornare alla figura non verrà ricordato a dovere lo straordina­rio talento di Mario Cavaglieri, isolatosi in una pittura antima­nierista e ricchissima, che aveva per soggetto prediletto le donne («il pittore del ’900 che amo di più»,ha scritto di lui Vittorio Sgar­bi). Altra corrente pressoché di­menticata dall’Italia unita è il Fauvismo di Gino Rossi, unico tra i nostri a tentare un confronto con Gauguin e Van Gogh. Soffro­no soprattutto quei pittori figura­tivi inclassificabili e demodè , co­me Leonardo Cremonini, scom­parso appena un anno fa, in colle­z­ione al MoMA di New York e tra­scurato dai nostri musei. Oppu­re, su tutt’altro versante,resta an­cora tutto da esplorare il genio anarcoide del pistoiese Fernan­do Melani, che realizzava poeti­che installazioni con materiali di scarto. Quello che negli anni ’50 era stato il movimento pittorico per eccellenza, ovvero l’Informale, è oggi bollato alla stregua di una tendenza di seconda mano, sco­piazzata dai francesi e dagli ame­ricani. A eccezione di Vedova e Afro, i nostri pittori gestuali, alcu­ni di ottima qualità come Piero Ruggeri e Mario Raciti,non trova­no­posto nel gotha dell’attuale uf­ficialità. Pressoché dimenticata la Pop milanese, a eccezione del primo Enrico Baj: Emilio Tadini e Bepi Romagnoni, ai vertici ne­gli anni ’ 60, sono stati spazzati via dall’Arte Povera e persino il ge­nio irregolare e irriverente di Al­do Mondino fatica a trovar spa­zio dopo la morte, avvenuta nel 2006. Allo stesso modo non si par­la più delle derivazioni surreali sostenute negli anni ’70 dal criti­co Luigi Carluccio in strenua op­posizione al dominio del concet­tuale: l’artista intellettuale Italo Cremona, il gruppo dei Surfanta, il realismo magico di Gregorio Sciltian. Oggi, peraltro, alla domanda su quali siano gli artisti in cui pos­sa­riconoscersi un’identità italia­na, la risposta batte sempre sugli stessi nomi: Cattelan, Vezzoli, la Beecroft e pochi altri. Così nelle mostre celebrative faticheranno a trovare spazio gli ottimi artisti romani di San Lorenzo degli an­ni ’ 80 (Pizzi Cannella e Beppe Gal­lo su tutti) e l’ultimo pittore «di Storia», Gian Marco Montesano, più volte bollato di revisionismo per aver avuto l’ardire di mettere insieme nazismo e comunismo. Di quell’epoca, che mantiene a stento la Transavanguardia, i gu­ru della critica vorrebbero davve­ro far piazza pulita. L’Italia disunita dell’arte non farà eccezioni neanche stavolta, per i suoi 150 anni.