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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 67 - SORPASSO A SINISTRA

Non sarebbe bene riassumere prima il discorso di Valerio? Glielo spiego con le parole di Cavour. «Sento dire dall’avvocato Valerio - cominciò - che si dovrebbe formare una delegazione da affiancare a quella dei genovesi...». Era chiaro che i due vecchi avversari dell’Agraria avrebbero ricominciato a duellare. «Questo mi par poco» continuò «davvero poco. Vi son dei disordini e delle aspettative e un pericolo di violenza. E se non si vuol far luogo alla violenza per comprimere, è necessario far luogo alla discussione per esaminare i desideri dei cittadini di Genova...». Tutti aspettavano. Se la proposta di Valerio, l’estremista, non bastava, che avrebbe tirato fuori il conte di Cavour, il moderato? «Io opino che si debba presentare al re un rispettoso ricorso, in cui, fatta considerazione alle gravissime contingenze della Liguria, si implorasse dalla sovrana magnanimità l’altissimo benefizio di una pubblica discussione...» «Pubblica, conte?» lo interruppe Valerio. «Sì, avvocato. Pubblica». Deve essersi girato dalla sua parte, a quel punto, e averlo fissato da sopra gli occhialetti, magari sorridendo. Valerio, forse sorridendo anche lui: «Ma scusi, conte, pubblica come si potrebbe?». E Cavour disse: «Si potrebbe chiedendo direttamente la Costituzione, avvocato». È una forzatura. Se bisognava che, almeno all’apparenza, il re concedesse spontaneamente in grazia della sua magnanimità… Lo ha spiegato lei. Si sentì infatti un mormorio. Cavour li stava superando a sinistra! Quell’uscita di chieder la Costituzione era tanto più inaspettata, perché il conte fino a pochi giorni prima aveva sostenuto che «quello che ci deve condurre al sistema costituzionale non è ancora vicino» , che l’unica via era di cercare «per mezzo della stampa di preparare gli animi ad accettare una ben regolata libertà politica», aspettandosi poi degli avanzamenti «per balzi», ma chissà quando, chissà come. E invece adesso, all’improvviso... Ma sentiamo tutto il ragionamento: «Anche chiedendo poco, per il solo fatto di presentarsi in delegazione, e magari in due delegazioni, i sentimenti del re saranno turbati. Allora non val la pena di chieder poco, come sarebbe la guardia civica e il mandar via i gesuiti. Tanto vale, senza ambagi e francamente, andare al punto: la Costituzione. E la Costituzione da dare subito, prima che i tumulti crescano, in modo che non sembri un cedimento alla piazza. Il nostro governo ha cambiato il regime delle cose, ma non ancora abbastanza per avere influenza morale. Ne derivano sommosse, turbamenti, una situazione anormale. Poiché si tratta di inoltrare una domanda al re, in un modo che certo non è legale, il pericolo della patria vuole che si ponga in avvertenza il governo di contemplare se non sia il caso di dar una legge organica che, appoggiando a forme parlamentari la propria autorità, la rassodi, la renda mallevadrice dei voti della nazione...». Non gli sono saltati addosso? Valerio? Stavano ragionando a tutta forza, per decidere che partito prendere. Sorpassati a sinistra dal cosiddetto «gambero austriacante e amico dei gesuiti»! Intanto, non era già più un isolato. Andò avanti: «Ammettiamo che il re respinga la petizione dei genovesi. Allora i nostri discorsi, la nostra riunione qui di stasera sarebbero inutili. Oppure il governo l’accetta. Ma se accetta questa petizione dà piuttosto prova di aver perduto ogni forza, ogni autorità. Supponiamo invece che si presenti la richiesta di una Costituzione. In ogni caso il re saprà quali sono i voti della nazione. E se accorda, non è più un governo debole ma un governo nuovo, che non è più responsabile della debolezza di prima...». «Ha ragione!», gridò Brofferio balzando in piedi. E tutti insieme, a un tratto, davano ragione al conte di Cavour.

Anche Valerio? «Un momento! Un momento!» fece Valerio. Come si poteva dar ragione al conte di Cavour? Durante il discorso c’erano stati conciliaboli con Sineo, occhiate con tutti gli altri. Disse: «Un momento! In primis, sentiamo i genovesi. Non sono ancora arrivati tutti. Poi vediamo di non far passi avventati, di non guastarci col sovrano». C’erano quegli strani rapporti di simpatia tra i democratici e Carlo Alberto. Quella di «non guastarsi col sovrano» era anche la raccomandazione continua di Gioberti. Ma Valerio non potè finire. Di nuovo avevano cominciato a discutere, in una babele di voci. «Insomma» gridò qualcuno «votiamo».

Vinse Cavour? Più tardi Valerio si sarebbe confessato con Gioberti: «Vi so dire che giammai mi sono trovato in circostanze più dolorose, dovendo combattere quello per cui ho significata tutta la mia esistenza». Saputa la cosa, Massimo ne scrisse a Cesare Balbo: «Abbiam veduto di quell’indirizzo di costì, ove era domandata una costituzione bell’e buona. C’era Cavour, Roberto ed uomini di garanzia, dall’altra parte Valerio e Sineo si son ricusati. Non capisco nulla se non mi dai la chiave».