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 2011  gennaio 22 Sabato calendario

“Mi tenga d’occhio il mio Benito” - Le liturgie politiche hanno riconosciuto, e non da oggi, alla memoria funzione irrinunciabile nella costruzione di una comunità

“Mi tenga d’occhio il mio Benito” - Le liturgie politiche hanno riconosciuto, e non da oggi, alla memoria funzione irrinunciabile nella costruzione di una comunità. Solo che alle vicende delle generazioni trascorse si può tornare in svariati modi. E non sempre con risultati affidabili. A parte le glorificazioni propagandistiche, o la messa all’indice di certi scorci del passato in funzione di chi sta al comando, non mancano di certo gli esaustivi ed obiettivi affreschi storici che, pur stimabili, non riescono proprio ad imprimere soffio vitale alle realtà sulle quali si chinano. Non è assolutamente questo il caso del godibilissimo ma denso saggio di Vittorio Emiliani, Il fabbro di Predappio. Vita di Alessandro Mussolini , pubblicato da il Mulino. Pur percorrendo la strada collaudata di quella che a prima vista si offre come una biografia del padre - anarchico, socialista rivoluzionario - del Duce, aprendosi, soprattutto nei primi capitoli, su una sorta di genogramma storico e sociale della famiglia dei Mussolini, Vittorio Emiliani riesce a porgere un libro che va ben oltre lo stretto sentiero dell’escursione biografica. O dell’affresco famigliare dei Mussolini, da quando si chiamavano Mucciolini e stavano sui bricchi dell’Appennino romagnolo, in località Mucciolino appunto, per poi calare a valle, a Predappio, nella Romagna bollente dell’Ottocento. Il saggio di Emiliani è un perfetto esempio di «carotazione» narrativa che scendendo e salendo lungo le ramificazioni di una famiglia, certo assai particolare quale quella di Alessandro Mussolini, riesce a condurre il lettore attraverso le stratificazioni umane, sociali, economiche, politiche di un territorio. In concreto quella Romagna che, almeno dalla metà dell’Ottocento sino a qualche decennio fa, ha scritto pagine di vivace conflittualità e di radicale impatto di incisive personalità sulla storia d’Italia. L’esercizio della memoria civile è proficuo, e generoso di spunti, quanto più non è solo puntigliosa risalita lungo i binari della cronologia, con puntuale e prevedibile sosta alle stazioni dei ricordi, ma, come fa Emiliani, si apre alle irruzioni dell’imprevisto. In questo modo il lettore è condotto lungo un itinerario spazio-temporale nel corso del quale tutto pare avvicinarsi, toccarsi, intrecciarsi. Ogni dettaglio si compone in un quadro vivente dove c’è posto per tutti, per i Mussolini ma anche per gli avi di Emiliani, la cui famiglia ha radici profonde in quelle stesse località di Romagna - Forlimpopoli, Predappio, Forlì - in cui si muove Alessandro Mussolini e il suo tempestoso primogenito. Così, ad esempio, affidato al collegio di Forlimpopoli il giovane ribelle Benito Amilcare Andrea - così chiamato in omaggio al patriota messicano Benito Juarez, ad Amilcare Cipriani garibaldino, anarchico internazionalista, comunardo deportato nella Nuova Caledonia e nel 1883, anno di nascita del Duce, tenuto ai ceppi nella galera di Portolongone e, last but not least , del primo deputato socialista Andrea Costa - papà Alessandro Mussolini si reca nell’emporio collocato nella piazza principale della località e chiede a un Andrea Emiliani, nonno di Vittorio, di tenere d’occhio il figlio. Andrea gestisce un negozio che gli è stato affittato dagli Zoli, famiglia da cui proviene Adone (1887-1960), democristiano e futuro presidente del Consiglio nel 1958. La storia grande e piccola nelle pagine di Emiliani evolve con le sue intriganti spirali. Ad esempio quei Paulucci di Calboli, che sono i feudatari delle terre d’Alto Appennino da cui scendono a valle i Mussolini, esprimeranno con Giacomo Paulucci di Calboli - un loro esponente, seppur cooptato per matrimonio con l’ultima discendente della nobile famiglia - il consigliere diplomatico che nel primo lustro dopo la Marcia su Roma cercherà di insegnare, se possibile, le «buone maniere» al capo del fascismo diventato presidente del Consiglio. Quanto ai suoi genitori il Duce nel corso del ventennio promuoverà innumerevoli intitolazioni di scuole, asili, colonie e opere pubbliche alla memoria della madre, la maestra elementare Rosa Maltoni. Morta nel 1905. Niente di niente invece per il padre Alessandro. Il fabbro di Predappio, scomparso nel 1908, e fedele al radicalismo socialista più intransigente, allora condiviso dal figlio che sta muovendo i primi passi come agitatore politico, verrà rimosso da ogni pubblica memoria. Con l’eccezione di una biografia che Arnaldo Mussolini, fratello di Benito, commissionata, appena prima di morire, all’ex socialista Francesco Bonavita. E che, complice l’improvvisa scomparsa del committente, appena pubblicata, nel 1933, sparisce quasi subito dagli scaffali. Condannando il fabbro di Predappio ad un lungo oblio.