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 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

MARCEGAGLIA: RAPPRESENTANZA E CONTRATTI, E’ ORA DI RIFORMARE LA CONFINDUSTRIA - «A

questo punto è venuta l’ora di riformare la Confindustria» . Emma Marcegaglia entra a piedi uniti nel dibattito sul dopo Mirafiori e annuncia i suoi propositi. «Già quando sono stata eletta avevo in testa l’obiettivo di rendere la confederazione più snella ed efficiente, poi la grande crisi ci ha costretto tutti a cambiare agenda e a tamponare l’emergenza. Ora che un po’di cose si sono assestate, non ha più senso indugiare. E quando dico "riformare la Confindustria"non penso solo di tagliare i costi ma di decidere che mestiere vogliamo fare in futuro. Quale rappresentanza diamo alle imprese» . Uno dei nostri commentatori di maggior prestigio, Francesco Giavazzi, sostiene che la Confindustria andrebbe abolita e basta. In una società aperta non ha ragion d’essere. «Non sono d’accordo. Persino il premier inglese, David Cameron, ha sentito il bisogno di parlare di Big Society, di chiedere più società meno Stato. E poi la Germania, di cui diciamo un gran bene, basa i suoi successi anche su una tradizione di forte protagonismo delle parti sociali. Le associazioni sono un punto di forza del nostro Paese, una ricchezza. Il bivio è un altro: le usiamo per costruire veti o per modernizzare il Paese? Per noi è buona la seconda» . Non tutte le imprese, però, sembrano pensarla così. Alcune proprio per modernizzare scelgono di uscire da Confindustria. «Allora mi costringe a tirare fuori i dati. Quelli a cui fa cenno sono casi rarissimi. Dal dicembre 2007 le imprese associate sono aumentate del 10,9%e se lo calcoliamo in base ai dipendenti l’universo che si riconosce in noi è cresciuto del 13%. Non è vero, dunque, che la rappresentanza degli industriale si stia disgregando, tutt’altro. E per un motivo molto semplice: la crisi ha esaltato il nostro ruolo di rappresentanza e di tutela degli interessi d’impresa» . Ma che vuol dire in concreto riformare la Confindustria? «Vuol dire rafforzare il ruolo delle unioni territoriali per essere più vicini alle imprese. Nel linguaggio mediatico quando si parla di Confindustria in molti pensano solo a Roma e ai nostri convegni, ma sul territorio ci sono esperienze e realtà magnifiche. Treviso ha messo su un servizio di consulenza finanziaria per aiutare le imprese nei rapporti con le banche, Bergamo ha ideato un piano di rilancio del tessile della Valle Seriana, Varese ha studiato un fondo per la capitalizzazione. E non continuo sono perché riempiremmo una pagina di giornale. Le dico, però, che già siamo federalisti e vogliamo diventare iperfederalisti» . Più peso ai territori corrisponde a una dieta dimagrante per le strutture di Viale dell’Astronomia? «Guardi che il centro rappresenta solo il 7%dei nostri costi. E serve ad elaborare la visione, a fare lobby e a tenere alto un marchio che in Italia vuol dire società aperta e competenze. Da quando sono presidente ho ridotto i costi del centro del 18,7%, ma non ho problemi a dire che siamo ancora pletorici, che abbiamo troppe duplicazioni. Dobbiamo invece adottare uno schema che suona così "rappresentanza dappertutto, ma servizi aggregati"» . Sa che non c’è stato presidente che non abbia detto di voler riformare l’associazione? «So anche che tutte le riforme di Confindustria partite dall’alto sono fallite, perciò io voglio costruirla a partire dai territori creando dal basso best practice, esperienze modello da emulare. Poi so che non c’è bisogno di un centro studi per ogni provincia e dove è possibile aggregheremo intere strutture. Nel Lazio stanno già facendo così, idem in Toscana tra Grosseto, Siena e Arezzo» . Basta aggregare le strutture o bisogna anche cambiar passo? La crisi non spinge a cambiare anche le modalità della rappresentanza? «Ai nostri associati dobbiamo dare una consulenza integrata che non sia solo sindacale, solo finanziaria o solo per l’export. Non dimentichi che l’83%delle aziende iscritte è sotto i 50 dipendenti. E noi dobbiamo essere promotori di iniziative che li riguardano, senza aspettare che cadano dal cielo. Le faccio due esempi, significativi. Gli istituti tecnici perché non ce li facciamo noi direttamente? E le reti di impresa, che oggi sono una ventina, perché non le moltiplichiamo in tempi stretti?» . Senza Mirafiori e Marchionne, tutte queste idee sarebbero rimaste nel cassetto? «Non ho remore a dire che considero la vicenda Fiat uno stimolo al cambiamento ma le idee ce le avevamo già. Noi dobbiamo uscire da un vecchio schema fordista di fare rappresentanza, un format unico per tutti. In campo sindacale vuol dire aprire ai contratti aziendali, si fa rappresentanza quasi su misura ma non è affatto vero che scomparirà il contratto nazionale. L’83%delle Pmi lo vorrà ma in parallelo, noi abbiamo l’esigenza di cucire una contrattazione che calzi perfettamente all’organizzazione del lavoro, ai regimi di orario e alle specificità di mercato di ciascuna grandi aziende. Si potrà obiettare che si tratta di un indirizzo ambizioso ma non è certo indirizzato a radere al suolo il sindacato. Non amo il Far West. Voglio adeguare la contrattazione al dopo crisi» . Si sostiene da più parti che le multinazionali abbiano cancellato l’Italia dai loro radar. Per il Pd si parlava di un Papa straniero, nella Confindustria ci sarà mai un vicepresidente straniero espressione di una multinazionale? «In passato c’è stato Papadimitriu della Glaxo, ora c’è Recchi della General Electric. Ma al di là delle persone il nostro gruppo investitori esteri è vivacissimo e ci dà un contributo unico. Guarda l’Italia da fuori, ne sottolinea i peccati ma in qualche caso ce ne spiega le virtù» . Una Confindustria più snella organizzerà meno maxi-convegni che finiscono solo per essere ricordati per l’applausometro al ministro di turno? «Mi impegno a organizzare meno passerelle, meno convegni costosi. Ci si riunirà quando si avrà qualcosa da elaborare e da dire» . Molti giudicano anacronistica e un po’velleitaria l’ampia attività dei Giovani Imprenditori… «Non riesco a darle torto, anche se sono legata a quell’esperienza. Penso che debba essere recuperata la logica iniziale. I Giovani devono essere coloro che guardano di più ai temi del futuro» . Si dice che i grandi gruppi ad azionariato pubblico come Eni, Enel, Poste e via dicendo stiano acquistando troppo peso in Confindustria. Forse, sostiene qualcuno, non bisognava farli entrare… «Penso che il loro ingresso abbia avuto un senso perché hanno una presenza internazionale straordinaria, penso all’Eni, e possono rappresentare un volano di crescita per le piccole e medie aziende. È evidente che dopo una prima fase in cui si sono accontentati di essere entrati ora chiedano di contare di più. Non ci vedo niente di strano. Le ricordo però che in termini di contributi tutte le aziende che per mera comodità chiamiamo pubbliche pesano poco meno del 5%. Mentre il 60%viene dalle associazioni territoriali del Nord Italia» . Ma mettere sotto la stessa bandiera fornitori e utenti significa condannarsi a fare i conti con continui conflitti di interesse. «Non le nego che in una prima fase c’è stato anche questo. Ma adesso siamo passati avanti. Pensi alla collaborazione tra produttori e consumatori che ci ha permesso di realizzare la borsa elettrica. O ancora alla creazione della filiera delle Pmi del nucleare. Se Enel fosse rimasta fuori non avremmo potuto costruire queste esperienze ed opportunità» . Come giudica la nascita di Rete Imprese Italia? Vi fa concorrenza? «Penso che tutto ciò che contribuisce a ridurre la frammentazione della rappresentanza vada giudicato positivamente. Da una prima fase in cui sono prevalsi i toni della concorrenza ora scriviamo insieme le lettere al governo e su alcuni temi fondamentali siamo in sintonia. Penso che si possano mantenere identità distinte e lavorare insieme» . Visto che vuole andare d’accordo con tutti si è già preparata ad accogliere in Confindustria gli imprenditori cinesi che operano in Italia? «Certo. Ai miei di Prato ho chiesto di associarne almeno 10. Perché se entrano da noi vuol dire che escono dal sommerso. So che spesso i cinesi sono in diretta e sleale concorrenza con le nostre piccole imprese ma so anche che copiare un’azienda è facile, copiare una filiera è impossibile. E quando abbiamo visto che un’azienda cinese con un utile di solo 300 mila euro voleva acquistare una società europea per 1,8 miliardi di euro, spiazzando l’offerta della Prysmian, non abbiamo fatto mancare all’azienda italiana l’appoggio necessario. Con questo non dimentico che mercato è la Cina...» . A proposito di export nella sua riforma confindustriale non c’è modo di riformulare quelle missioni all’estero che spesso sembrano solo delle photo opportunity? «Prometto meno missioni pletoriche di sistema e più missioni di filiera, di rete, viaggi della concretezza che siano utili per concludere affari. Del resto le ultime sono andate in questa direzione» . In questa intervista abbiamo finora evitato di percorrere a ritroso la storia di Marchionne e Mirafiori e abbiamo ragionato sul dopo. Ora il capo della Fiat ha promesso salari tedeschi e partecipazione agli utili. Lei è d’accordo? «Dobbiamo abbattere la spirale bassi salari bassa produttività e quindi dobbiamo avere come i tedeschi salari più alti e produttività più elevata. Sottoscrivo in pieno. Quanto alla partecipazione agli utili, sono più che favorevole a soluzioni aziendali, non credo invece a una legge ad hoc sulla partecipazione» . Si dice che la Fiom stia incrudendo le forme di lotta nel gruppo Marcegaglia per farle pagare l’appoggio a Marchionne. «Ilmio gruppo sta trattando un contratto integrativo innovativo e vogliamo assumere 250 persone. Le schermaglie fanno parte del negoziato ma mi lasci essere ottimista anche per quanto riguarda direttamente la mia azienda» .
Dario Di Vico