Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 21 Venerdì calendario

Scacco matto alla regina - La sua vittoria non ha fatto i titoli dei giornali, né su di lei si sono ricamate quelle storie curiose dense di aneddoti strabilianti che accompagnano le performance dei campioni mondiali di scacchi, specie se, come nel caso di Hou Yifan, l’età verdissima, 16 anni, ne fa il più giovane campione del mondo nella storia

Scacco matto alla regina - La sua vittoria non ha fatto i titoli dei giornali, né su di lei si sono ricamate quelle storie curiose dense di aneddoti strabilianti che accompagnano le performance dei campioni mondiali di scacchi, specie se, come nel caso di Hou Yifan, l’età verdissima, 16 anni, ne fa il più giovane campione del mondo nella storia. Già, nessuno, maschio o femmina, aveva finora raggiunto così precocemente il vertice scacchistico mondiale, eppure l’exploit della cinesina di Nanjing - che alla fine dell’anno scorso ha conquistato l’alloro della sua arte ad Antakya, in Turchia, battendo la concittadina ventitreenne Ruan Lufei - è passato quasi sotto silenzio. Motivo? Il campionato vinto da Hou non è il «vero» campionato scacchistico, che è quello maschile, ma una sottospecie per sottogiocatori, se vogliamo esprimerci così. Nel mondo degli scacchi, infatti, per le donne vige l’apartheid: la prima posizione se la giocano fra loro, fra «competitors» di secondo piano. Per carità, se qualcuna è tanto audace da voler sfidare i maschi, s’accomodi. Nessuno la costringe a restare nel suo ghetto, anche se le conviene, «perché gli scacchi richiedono concentrazione, forza fisica, tenuta nervosa - elenca Adolivio Capece, capufficio stampa della Federazione Scacchistica Italiana -. E le donne cedono allo stress più facilmente degli uomini. Anche perché sono diverse». In che senso? «Una ha perso il campionato del mondo perché allattava - spiega Capece serissimo -. Altre sono condizionate da eventi fisiologici, le mestruazioni, per esempio». Si stenta a credere alle proprie orecchie. «Comunque - va avanti Capece - che ci sia una separatezza nelle gare è logico. C’è in tutti gli sport». Benché appaia incredibile, l’intellettualissimo gioco degli scacchi è invece ufficialmente uno sport, sancito come tale dal Cio, e quindi, in Italia, membro del Coni. Ma come si fa a sostenere che la competizione tatticostrategica tra due individui ai lati opposti di una scacchiera sia una gara sportiva? L’abbiamo chiesto a Marina e Sabino Brunello, bergamaschi, 16 anni lei, 21 lui, Maestro internazionale femminile lei, Grande Maestro lui (per darvi un’idea dei gradi di separazione fra i due sessi: il titolo di Grande Maestro femminile, massimo della categoria donne, equivale al titolo di Maestro Fide, minimo della categoria uomini). Marina: «Se per sport si intende un’attività solo fisica, allora gli scacchi non sono uno sport. Ma se per sport si intende un’ attività che ha un profilo agonistico, psicologico e che richiede anche energia fisica - le partite possono durare ore - allora lo sono. E i maschi hanno più energia, e questo viene dalla resistenza della corporatura». Nessuno si sogna di discriminare femmine e maschi in sala operatoria, per esempio, eppure un chirurgo è sottoposto a uno stress e una fatica tremendi. Più faticosa una partita di scacchi di una operazione a cuore aperto? Sabino, il fratello di Marina, rifiuta il paragone: «Le assicuro che nei tornei la massa muscolare conta». Ma allora dovrebbe contare anche fra maschi; un piccolino, sia pur robusto, a parità di valore scacchistico dovrebbe prenderle da uno bravo come lui ma grande e grosso! Sabino non molla: «Potrebbe esserci una differenza. Questa componente c’è». La più famosa tra le donne che non hanno accettato l’apartheid scacchistico è l’ungherese Judith Polgar. Il 14 febbraio ‘93 - sedicenne anche lei, come Hou Yifan - sconfisse l’ex campione del mondo Boris Spassky, 56 anni, che 20 anni prima aveva ceduto a Bobby Fischer il titolo mondiale. Se Judith avesse ambìto all’ alloro nel campionato femminile (ma Judith, che ha sempre creduto nello scacchismo «assoluto», non ha mai voluto parteciparvi), oggi probabilmente non avremmo il record di Hou, perché la Fide mise il nome dell’ungherese in cima alla lista delle giocatrici più forti del mondo quando la ragazzina aveva 12 anni! Ma il coraggio di Judith Polgar è merce rarissima. Il rapporto fra maschi e femmine negli scacchi è di 10 a 100 (in Italia su 15 mila tesserati «agonisti» solo 1500 sono donne), ed è chiaro che finché il vivaio è tanto esiguo i risultati si faranno aspettare. A meno che non arrivi la Cina. Nell’ex Celeste Impero, infatti, i maschi preferiscono agli scacchi il gioco del Go. Se il governo deciderà di puntare solo sulle femmine, le amazzoni cinesi potrebbero dilagare nei campionati assoluti. A quel punto, si potrà ancora sostenere che è uno sport?