Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 24 Venerdì calendario

"Don’t worry, be happy", non preoccuparti, sii felice. È questa secondo gli apologeti di Sergio Marpionne la canzone che più gli piace e che ascolta con un impianto stereo ultrasofisticato nei suoi appartamenti in Svizzera, a Detroit e a Torino, la città che in assoluto gli piace di meno

"Don’t worry, be happy", non preoccuparti, sii felice. È questa secondo gli apologeti di Sergio Marpionne la canzone che più gli piace e che ascolta con un impianto stereo ultrasofisticato nei suoi appartamenti in Svizzera, a Detroit e a Torino, la città che in assoluto gli piace di meno. Fazio e Marchionne Non preoccuparti, sii felice è il motivetto che secondo il figlio del carabiniere Concezio dovrebbe piacere anche agli operai di Mirafiori dopo la firma dell’accordo storico che sbatte fuori dai cancelli la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici, nato a Livorno nel giugno del 1901 e che non si è mai trovato a dover fare i conti con un uomo così duro da metterne in discussione la sopravvivenza. Per il manager dal pullover sgualcito "è un gran bel momento...Mirafiori inizia oggi una nuova fase della sua vita. Questo stabilimento è il simbolo della Fiat, è quello che custodisce la storia dell’automobile e la joint venture che consentirà il passaggio dei lavoratori alla nuova Fiat-Chrysler è una grande opportunità. È il miglior regalo di Natale che potessimo fare alle nostre persone". marchionne big È contento Marpionne per il panettone che dice di aver donato ai 5.500 lavoratori torinesi; lui il suo panettone se lo mangerà insieme alla moglie e ai due figli nella casa vicino a Ginevra, e lo mangerà con 31 denti perché - come si è visto in televisione negli ultimi tempi - ha perso un incisivo per il quale dovrà ricorrere al dentista appena avrà un attimo di tempo. MAURIZIO SACCONI Anche se di denti gliene manca uno ciò non gli ha impedito di tenere il coltello ben stretto dentro la bocca e di affondarlo per dettare le sue condizioni senza concedere nulla di nulla alle richieste dell’ala più radicale dei sindacati. Alla Cisl del debole Bonanni e alla Uil del baffuto Angeletti va bene così, e senza strapparsi le vesti accettano l’idea che dalla newco Fiat-Chrysler sia tagliata fuori la rappresentanza dei nipotini comunisti. D’ora in avanti a trattare con l’azienda saranno solo i sindacati che ieri intorno alle 19 hanno firmato l’accordo. MAURIZIO SACCONI Ad applaudire questo finale della trattativa è in prima linea il gracile ministro Sacconi, secondo il quale la firma di ieri cambia tutto e smentisce le profezie di chi scommetteva sulla fuga della Fiat dall’Italia. MARCEGAGLIA Per l’ex-socialista che guida il ministero del Welfare, quella di Marpionne non è un’ideologia, ma una lezione di pragmatismo in linea con l’approccio pragmatico dei riformisti. Dopo questa affermazione, che con la tradizione culturale del riformismo non ha nulla a che vedere, il buon Sacconi rifiuta l’idea di un referendum tra i lavoratori perché la Fiat "non può essere l’ultima ridotta di un conflitto di classe". E tanto per aggiungere un po’ di benzina sul fuoco il gracile ministro rifiuta la logica assembleare e l’idea del referendum dentro la fabbrica. Nemmeno "la Stampa", il quotidiano della Fiat, arriva a tanto se oggi si chiede: "estromessa la Fiom, la Fiat riuscirà a garantirsi un’accettabile governabilità della fabbrica?; lo si capirà solo nei prossimi mesi". MARCEGAGLIA Già, questo è il punto davvero importante, perché a metà gennaio i 5.500 addetti di Mirafiori saranno chiamati a un referendum che secondo Marpionne sarà decisivo. Mentre per Pomigliano aveva posto la soglia delle adesioni al 90%, per Mirafiori il numero dei consensi dovrà superare il 51% senza il quale salterà tutto. Qualcuno con malizia sostiene che il limite del 51% sia stato volutamente abbassato proprio con l’intenzione di chiudere il ferrovecchio simbolico di Torino per spostare la produzione in quei Paesi dove i sindacati non rompono i coglioni e il costo del lavoro è di gran lunga inferiore. John Elkann Per adesso ciò che appare sulla scena è uno dei capitoli finali del piano segreto che il figlio del carabiniere Concezio ha rivelato a luglio al giovane Elkann e ai due Grandi Vecchi, Gabetti e Stevens. A parlare di questo progetto e della riunione convulsa che c’è stata in estate, è stato per primo Dagospia alla fine di ottobre quando lo stesso Marpionne è apparso con l’aria severa nel salotto di Fabio Fazio per dire: "la Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia". In quell’occasione non disse una parola (e nemmeno gli fu chiesta) su Fabbrica Italia, il progetto di investimenti da 20 miliardi e non spiegò le ragioni per cui sette automobili su dieci comprate nel nostro Paese portano la firma di produttori stranieri. Dopo l’accordo di ieri si è capito che a Mirafiori si produrranno 250mila vetture per la maggior parte Jeep Cherokee marcate Alfa Romeo. E questo significa - come spiega oggi l’economista torinese Luciano Gallino - che se Mirafiori sopravvivrà sarà "la testa di ponte europea per la Chrysler". FIAT mirafiori In questo modo si conferma ancora una volta che il cuore e la testa del manager italo-canadese sono in America, dentro quel modello fordista o giapponese che mette con le spalle al muro i 5.500 operai anche a costo di privarne una parte della loro rappresentanza. Se poi questo disegno, calato dentro lo "zoo della politica italiana" dove, come ha detto Marpionne in ottobre a Firenze, domina ancora "una cultura disastrosa che alza la tensione sociale e nega il dialogo", non troverà il consenso della Fiom (arroccata nel suo estremismo) allora sarà gioco facile far girare le catene di montaggio in Brasile, in Serbia e in quella Detroit nella quale il fondatore della Fiat (il senatore Giovanni Agnelli) imparò i segreti della produzione. i_tre_operai_fiat Ogni rivoluzione ha un prezzo ma quello del manager dal pullover sgualcito, anche dopo l’accordo di ieri, è un prezzo alto che rimette in discussione decenni di relazioni industriali improntate alla logica dello scontro, poi del confronto e del dialogo. Chi esce con le ossa rotte dalla firma di ieri non è soltanto il sindacato fondato 110 anni fa a Livorno, ma anche la Confindustria che non più tardi di tre giorni fa per bocca del suo direttore generale Giampaolo Galli aveva bollato il modello americano auspicando un accordo con tutte le organizzazioni sindacali. Giorgio Cremaschi Adesso l’ultima parola passa agli operai con il referendum, l’ultimo strumento di una democrazia assembleare che a dire il vero non è mai piaciuta né a Romiti né a Marpionne. Nessuno ai piani alti della Fiat e di Confindustria se la sente di dire che invece di un autunno caldo ci sarà una primavera torrida. E nessuno pensa realisticamente che a placare gli animi basti il ritornello "don’t worry, be happy", non preoccuparti, sii felice.