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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

BUONE NOTIZIE DAI TASSI IN SALITA

Terrorizzati da politiche monetarie e di spesa irresponsabili, i mercati hanno fatto sentire la loro voce. Questo è il grido che si è alzato la scorsa settimana di fronte all’impennata dei tassi d’interesse sui titoli di stato. Ma è una storiella che non sta in piedi, con buona pace dei mercanti di panico.

Quello a cui stiamo assistendo è un passo avanti verso la normalizzazione. Ed è un’ottima notizia: vuol dire che le misure messe in campo stanno funzionando. Il che non significa che non possano essere migliorate. Ma la cosa sorprendente non è che i tassi d’interesse nominali e reali siano saliti, è che siano ancora tanto bassi. Probabilmente saliranno di parecchio se e quando subentreranno condizioni meno anomale.

Che cosa è successo? Fra il 30 novembre e il 13 dicembre 2010, il rendimento sui titoli di stato decennali americani è salito di 0,49 punti percentuali. Sui titoli di stato tedeschi e britannici nello stesso periodo l’aumento è stato rispettivamente di 0,30 e 0,34 punti. Ancora maggiori gli incrementi fra il 4 novembre e il 13 dicembre: 0,80 per gli Usa, 0,46 per la Germania e 0,61 per il Regno Unito.

Sono aumenti rilevanti? No. Nel caso degli Usa, i tassi sono tornati al livello a cui erano a giugno. E il recente incremento dei tassi nominali è dovuto quasi interamente all’incremento del tasso reale, non a un incremento delle aspettative d’inflazione implicite.

Questi balzi in avanti dei tassi d’interesse a lungo termine significano che il programma di espansione quantitativa della Fed è fallito? Assolutamente no. Lo scopo della Fed è di tenere i tassi più giù del livello a cui starebbero senza un suo intervento, e dunque rafforzare la crescita economica ed eliminare ogni rischio di deflazione. I tassi rimangono eccezionalmente bassi. Stanno crescendo a causa di un balzo in avanti dei tassi reali che riflette quasi certamente il miglioramento delle prospettive di crescita.

I tassi d’interesse a lungo termine saliranno ancora di più? Sicuramente sì. D’altronde, se i tassi d’interesse reali a lungo termine e le aspettative d’inflazione fossero entrambi intorno al 2%, i rendimenti sui bond convenzionali dovrebbero essere almeno al 4% (e anche di più tenendo conto del rischio d’inflazione).

Ma il McKinsey Global Institute, nel suo nuovo e interessante rapporto sul costo del capitale, sostiene che non torneranno ai livelli di prima della crisi e che forse siamo agli inizi di una prolungata tendenza al rialzo dei tassi d’interesse reali a livello globale, perché i programmi d’investimenti dei paesi emergenti rappresentano una quota crescente della domanda di capitali a livello mondiale. In questo caso, i rendimenti sui titoli di stato nei paesi a reddito e rating alto potrebbero salire al di sopra del 5% in condizioni normali.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una prolungata tendenza al ribasso dei tassi reali. Nel Regno Unito, ad esempio, sono scesi dal 3,8% del 1992 a meno dell’1% oggi. I tassi d’interesse sui titoli convenzionali sono scesi ancora di più, contestualmente al calo delle aspettative d’inflazione e del rischio d’inflazione.

La ragione di questo calo dei tassi reali, sostiene il McKinsey Global Institute, non è stata l’eccesso di risparmio, ma la penuria di investimenti, conseguenza del calo marcato del tasso degli investimenti nei paesi ad alto reddito, dovuto al venir meno della ricostruzione postbellica e all’allineamento con la produttività statunitense degli altri paesi sviluppati. Dal 26,1% della produzione mondiale negli anni 70 gli investimenti sono scesi fino a un misero 20,8% nel 2002.

Un’inversione di tendenza appare sicura, con i paesi emergenti impegnati a costruire la loro economia. Anche i livelli auspicati di risparmio probabilmente scenderanno, perché nei grandi paesi emergenti l’invecchiamento della popolazione farà sentire i suoi effetti e i consumi schizzeranno in alto. L’effetto sarà di spingere in su la domanda di risparmio rispetto all’offerta, con conseguente incremento del tasso d’interesse reale.

Storicamente, un tasso d’interesse reale del 3% è la norma. Immaginate invece uno scenario in cui i tassi arrivano fino al 4%: i rendimenti sui titoli di stato di alta qualità in questo caso potrebbero arrivare fino al 6 per cento.

Se tutto va bene, quindi, i rendimenti reali e nominali hanno toccato il minimo storico durante questa crisi. Solo se la ripresa fallisse e subentrasse la deflazione potremmo assistere a un sostanziale calo dei tassi d’interesse a lungo termine in America o in Germania.

Fin qui, dunque, tutto bene. Ma naturalmente non significa che non ci sia niente di cui preoccuparsi. Le Banche centrali devono tenere sotto stretta sorveglianza le aspettative d’inflazione. Negli Usa e nell’Eurozona non sembrano esserci rischi in questo senso, ma nel Regno Unito la banca d’Inghilterra deve stare sul chi vive.

Inoltre, anche se il mercato obbligazionario Usa non dà alcun segnale di temere default o inflazione (anche se il mercato dell’oro - il rifugio classico degli isterici - la pensa diversamente) si può fare molto meglio a livello di provvedimenti politici.

Il mix ideale per gli Usa sarebbe un piano di stimoli efficace sul breve termine e un piano di risanamento aggressivo dei conti pubblici sul lungo termine. Considerando che il nuovo accordo fiscale raggiunto oltreoceano non rappresenta certo un piano di stimoli efficace e che resta evidente l’impossibilità di arrivare a un risanamento aggressivo dei conti pubblici, c’è da stupirsi che il governo degli Stati Uniti sia ancora in grado di prendere in prestito denaro a tassi tanto bassi.

In conclusione, quello che è successo sui mercati obbligazionari è incoraggiante. I tassi salgono e la psicologia da depressione scende. Con un po’ di fortuna, la ripresa prenderà piede. Urrà!

© FT

(Traduzione di Fabio Galimberti)