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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

CATANZERO

Negli anni ‘70 e ‘80 Catanzaro era un piccolo gioiello di provincia incastonato nella collana del calcio che allora contava. Oggi, Catanzaro è il luogo più infausto del pianeta calcistico professionistico tricolore come dimostra la clamorosa protesta messa in atto dai calciatori della squadra giallorossa all’inizio della gara del campionato di Seconda Divisione contro il Pomezia, domenica scorsa, ovviamente persa. In classifica il Catanzaro è ultimissimo nel girone C della Seconda Divisione, ultimo girone infernale del professionismo pallonaro italiano.
NON CI SONO i soldi per far tagliare l’erba del campo dello stadio Ceravolo, che ha ospitato gloriosamente la Serie A, non ci sono gli spiccioli per gli steward, i controlli ai tornelli e tutte le misure decise dal ministero degli Interni, dalla Federcalcio e dalla Lega per rendere più sicuri gli stadi. Così il Catanzaro gioca da settimane a porte chiuse non per le violenze, ma per la miseria di un club.
Il declino del calcio nel capoluogo calabrese, capace di fare sognare un’intera regione e sfornare eccezionali talenti all’epoca del presidente Nicola Ceravolo, inizia sul finire degli anni ‘80 a causa di una serie di disavventure non solo tecniche (tra le altre, una retrocessione in C2 a tavoli-no a bocce ferme per una mai provata combine e dopo uno spareggio vinto sul campo).
Tanti anni di quarta serie vengono solo interrotti, ad inizio dell’attuale millennio, dalla gestione di una coppia di disinvolti imprenditori locali (Massimo Poggi e Claudio Parente) che, affiancati da un imprenditore reggino (Nino Princi, poi vittima di un’auto-bomba mafiosa) “regalano” due anni di serie cadetta costellati da una miriade di record negativi battuti e da un dissesto finanziario che provoca, alla fine della stagione 2006, la cancellazione dell’Us Catanzaro e la fine di 77 anni di storia di un marchio che aveva riunito sotto le sue insegne e inorgoglito il popolo della più disastrata regione d’Europa.
Sembra il peggio. Ma la storia recente dimostra che non sarà così.
La politica, vero motore portante delle iniziative in una città pesantemente condizionata da manovre e manovrine di piccolo cabotaggio, entra pesantemente nella gestione pallonara con la ripartenza dal Lodo Petrucci che viene affidata, dall’amministrazione comunale di centrosinistra ancora in carica, all’allora senatore e attuale onorevole pidiellino Giancarlo Pittelli che la spunta in extremis in luogo, tra gli altri con-tendenti, del trio dei maggiori imprenditori cittadini.
I due anni di gestione Pittelli – il primo dei quali con Carmine Longo, attuale dg del Bologna al timone tecnico – si risolvono con una società pervicacemente ancorata alla C2 e indebitata nuovamente fino al collo e quindi sull’orlo del secondo fallimento in appena due anni.
Le due gestioni successive non fanno altro che amplificare il dissesto, con quella dello scorso anno riferibile a un emigrato di ritorno (Antonio Aiello) che promette magnificenze contabili e tecniche da nababbo dall’alto di un conto bancario da palazzinaro di provincia.
Si arriva così allo scorso giugno. Sembra arrivato il momento della definitiva chiusura del calcio catanzarese e magari della ripartenza dalle categorie minori affidata a una coppia di solidi imprenditori locali (formata da Floriano Noto e Massimo Colosimo) che dimostrano un qualche interesse per la possibilità e invece spunta un’alzata d’ingegno del comune guidato da Rosario Olivo (un reduce della Prima Repubblica capace ancora di navigare tra i marosi della Seconda) e dall’assessore al marketing urbano Roberto Talarico (una sorta di Renato Nicolini in salsa calabrese noto soprattutto per le goderecce Notti Piccanti che da anni organizza nel capoluogo) che dapprima spilla quasi 500 mila euro alle forze economiche locali per il tramite di una colletta e quindi, in una notte, crea un’associazione di scopo (Tribuna Gianna) verso cui fa confluire 350 mila euro racimolati in vari capitoli di spesa comunali che poi vengono immessi nelle casse dell’Fc per consentirne la ricapitalizzazione e quindi l’iscrizione al campionato.
Il tutto con il beneplacito bipartisan delle forze politiche del capoluogo che unanimemente plaudono all’iniziativa e votano compattamente la delibera comunale (con 39 si su 40 consiglieri, mai registrata, nell’intera consiliatura, una seduta pubblica con tutti i consiglieri al loro posto). Il problema è che al timone dell’Fc di nomi nuovi e soprattutto di forze economiche fresche non se ne intravede neanche l’ombra. Cosicché ci si ritrova nella paradossale situazione che sia proprio il Comune, tramite Tribuna Gianna, a detenere la maggioranza relativa di una società sempre più allo sbando.
DIVENTA così affannosa la ricerca da parte del comune di mollare quella che è divenuta una vera e propria patata bollente e così si dà credito persino a personaggi quali Franco Quartaroli, presunto imprenditore orafo che, nel suo curriculum, ha anche un arresto per fabbricazione di soldi falsi e, in ultimo, Enzo Di Vincenzo, imprenditore di Monfalcone famoso nella sua città oltre che per aver preso due voti in un’elezione comunale in cui era candidato nelle liste della Lega Nord (anno 2006), anche per avere inseguito a lungo la presidenza del Monfalcone calcio (eccellenza friulana) poi non raggiunta in virtù di una serie di circostanze mai del tutto chiarite.
Il risultato è che la patata bollente è ancora in mano al comune (e ai soliti soci, ora divenuti di minoranza) e che le risorse destinate alla squadra sono assolutamente nulle al punto che non c’è neanche acqua calda per le docce né acqua da bere per prima squadra e giovanili, non ci sono generi di prima necessità medica, i calciatori vengono sistematicamente cacciati da alberghi e ristoranti laddove si avventurano per garantirsi un tetto dove dormire e un pasto caldo e tutto il personale è senza stipendio ormai da mesi. È una vergogna ormai non solo calcistica, ma cittadina, sociale, politica. E pagano i più deboli, naturalmente: i giocatori. Nessun sindacato sembra voler scioperare per loro...