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 2010  dicembre 15 Mercoledì calendario

CIAO MARIO

"L’aldilà? Se c’è, ci giro un film"
Le parole in questi giorni si sono rincorse come in un sussurro. Le domande non sempre hanno trovato risposte. Perfino le testimonianze di chi appartiene al mondo del cinema, salvo alcune, non hanno fotografato il perché di quel volo dal quinto piano dall’ospedale in cui era ricoverato. La verità è una sola: Mario Monicelli voleva vivere solamente fino a quando sarebbe stato in grado «da solo» di accudire a se stesso, di poter stare tra la gente, di poter esprimere sempre con quel linguaggio caustico il suo pensiero, di incitare le giovani generazioni che avrebbe voluto più determinate a conquistare il diritto al lavoro, alla cultura, a una società più giusta e meritocratica in questo nostro Paese che non riconosceva più.
Quelle che seguono sono testualmente le parole che mi disse due anni fa nel corso di una lunga conversazione, a casa sua in via dei Serpenti 29, poi ribadite lo scorso marzo con poche varianti e ancora all’inizio dell’estate, seppure con una luce diversa negli occhi e una voce da cui traspariva una stanchezza non dichiarata: «Aspetto di morire e ho un solo terrore: di finire in un letto semiimmobile con gente che mi viene a imboccare e a curarmi senza che io possa reagire. Sarebbe una cosa infame, ne soffrirei troppo. Spero di morire di schianto, di abbandonare di colpo la vita e, quando avverrà, voglio essere cremato. Dopo la morte penso che non ci sia nulla ma, se dovessi scoprire che non è così, mi piacerebbe pensare che mi fosse concesso di fare un ultimo film. Racconterei che cosa c’è nell’aldilà, sempre che ci sia qualcosa: io non ho mai nascosto di essere ateo, lo sono diventato verso i quindici anni».
La prima volta che gli chiesi di incontrarlo, alcuni anni addietro, cercò subito di capire se avremmo parlato di argomenti che gli stavano a genio. Mi raccomandò di essere puntuale perché non amava i ritardatari. Il giorno fatidico, avendo la febbre alta, lo chiamai per spostare l’appuntamento. In modo brusco mi rispose: «Al diavolo la sua influenza. Prenda qualcosa e venga lo stesso. È da due ore che pulisco e metto ordine in casa, altrimenti lei avrebbe scritto che sono disordinato. Non vorrei aver fatto tutto questo per niente». Cercai di entrare nella sua vita privata in punta di piedi e sembrò apprezzarlo, al punto di acconsentire alla mia richiesta di fargli visita quando mi trovavo nel rione Monti: bastava che lo avvertissi. E così è stato.
Per cercare di sondare nel suo privato avevo chiesto che rapporto avesse con i figli, con le donne che gli sono state accanto. Mi aveva risposto che il rapporto con Martina, Ottavia e Rosa era ottimo ma non intenso e aveva aggiunto
con un tono che non dava modo a repliche: «Hanno la loro vita e io, caratterialmente, non sono appiccicoso. Amo stare da solo e sono spesso in viaggio».
Alla domanda sulle donne non aveva risposto, ma il suo insistere sul viaggio non era un divagare: «Il viaggio in sé
per sé mi disturba, preparare la valigia mi ha sempre dato preoccupazione, la sbaglio sempre. Però vedere altre realtà, incontrare persone diverse culturalmente da noi, mi stimola e mi piace molto. Anche il tempo che si trascorre per raggiungere una meta può offrire degli spunti di riflessione o di conoscenza. Quando sono invitato, mi mettono in prima classe e io me ne vado volentieri in seconda perché c’è una umanità diversa, forse più interessante. A me capita di viaggiare anche stando in poltrona a casa mia, basta saper ritrovare il ricordo di luoghi visitati o immaginarne altri; purtroppo, mi sto dolorosamente rendendo conto che è un esercizio che ormai deve appartenermi perché comincio a muovermi molto meno.
«A volte, proprio stando in solitudine tra quattro pareti, si fanno incontri immaginari che possono cambiarti la vita, specie quella professionale. Quanti personaggi dei miei film, prima di prendere vita in carne e ossa ed essere immortalati sulla pellicola, hanno respirato, vissuto, sofferto e riso nella mia mente in movimento!».
Invece, gli incontri significativi nella vita reale quali sono stati?
«Da adolescente, ho avuto una grande amicizia con Alberto Mondadori. Eravamo cugini e abbiamo fatto un percorso insieme che mi ha molto arricchito. Nella professione, ho incontrato molti uomini di cultura, per esempio con Calvino e Flaiano c’era proprio un rapporto amichevole. Anche con i registi della mia generazione c’era un bel rapporto e uno scambio intellettuale privo di invidie, così con alcuni giornalisti, qualche imprenditore e alcuni attori. Tra gli intellettuali di oggi mi piacciono molto Saviano e Gianantonio Stella perché sanno guardare e descrivere la nostra società con estrema lucidità. Mi interessa chi ha il coraggio di denunciare il disprezzo che impera verso il bene comune. La mia speranza è che ancora oggi ci siano degli autori e dei registi che possano narrare in modo onesto l’amara realtà in cui siamo sommersi».
Anche lei ha raccontato la realtà.
«Qualche volta con toni ironici, altri in maniera più amara. Con altri grandi registi ho cercato di catturare quel fondo di amarezza che era il filo conduttore di un genere cinematografico che è stato etichettato come "commedia all’italiana". Abbiamo fatto pensare che si volesse parlare di politica e, invece, si faceva antropologia. È un esercizio che faccio ancora adesso perché, tutto quello che ci circonda, se lo si osserva con occhio attento, aiuta a capire l’essenza dell’essere umano. Negli Anni 50, 60 e e parte degli Anni 70, alcuni dei miei colleghi e io abbiamo realizzato film all’apparenza ironici ma che mostravano la drammaticità della realtà da cui eravamo circondati. Conservavano una dose di ironia, pur mostrando, in modo rispettoso, il lato tragico.
«Se ci fosse stato un pazzo -dico questo a causa della mia età - che mi avesse dato la possibilità due anni fa di ritornare a girare non avrei potuto realizzare un film-commedia, non sarei riuscito a far sorridere perché avrei dovuto raccontare la realtà com’è: gente che inveisce e aggredisce, giovani che diventano precocemente vecchi dentro...
«La società è stata rappresentata in maniera violenta, quasi invedibile, da Pasolini che ha saputo guardarla con occhio duro, molto penetrante e ha ritenuto di documentarla con immagini che fanno orrore in Le giornate di Sodoma, lo specchio di quello che lo circondava e in cui siamo immersi oggi più che mai. Comencini, Germi, Risi, Pietrangeli, Lattuada, De Sica, io stesso e pochi altri, abbiamo cercato di documentare i cambiamenti che avvenivano nel corso di mezzo secolo in modo meno crudo, con l’occhio della pietà. Nei miei film ho raccontato personaggi inadeguati, ma con uno sguardo affettuoso, privo di cattiveria e con quella ironia che sa diventare indignazione, denuncia. E pensare che il nostro modo di fare cinema era dileggiato dalla saggistica e dalla critica italiana che lo definiva "spazzatura". Sono stati i francesi a restituire dignità a quel tipo di cinematografia, una rivalutazione perfino esagerata».
Pensa che Verdone e Benigni siano oggi gli eredi della commedia all’italiana?
«In La vita è bella c’era una grande idea: raccontare a un bambino il lager stravolgendolo. È stato coraggioso e lo ha fatto molto bene, ma è stato solo quel momento e non so se l’invenzione sia sua o di Cerami. Per il resto, è solo un grande attore comico. Verdone faceva dei personaggi molto belli, ma i suoi film si chiudevano sempre in commedia, tutto a lieto fine, non lasciando allo spettatore l’input a riflettere. Lo reputo un grande attore e trovo vergognoso che sia stato messo in secondo piano rispetto ad altri meno bravi. Se devo muovergli un rimprovero è che nei suoi film avrebbe dovuto osare di più e spero che da qualche parte legga questo mio suggerimento, perché può dare moltissimo al nostro cinema. Virzì, Veronesi, Tullio Giordana, Muccino non mi dispiacciono ma preferisco Sorrentino, è uno che fa un cinema un po’ più corrosivo sulla società di oggi. Apprezzo molto anche Marra, Garrone e Tornatore, anche se quest’ultimo non può più essere considerato un giovanotto, non le pare?».
Possiamo tornare alle figure femminili che le sono state accanto?
«Quelle con cui ho condiviso un percorso possedevano una combinazione tra presenza fisica e una certa personalità. Comunque, non ho passato il tempo a guardarmi attorno, avevo di meglio da fare che non il cascamorto. Avrei avuto l’imbarazzo della scelta, ma se mi piaceva una persona speravo che avesse qualcosa che mi fosse gradita anche al di là dell’aspetto fisico. Mi sono sempre sentito attirato da persone riservate, infatti non ho mai intrapreso relazioni con attrici. Ho avuto solo cinque rapporti importanti e nessuna delle mie compagne apparteneva al mondo dello spettacolo».
Perché ha scelto di vivere da solo, in particolare con l’avanzare degli anni?
«In più di un’occasione ho sostenuto che la solitudine è una grande maestra. Da un punto di vista fisico, consente di essere sempre in esercizio perché la sollecitudine dei parenti, delle mogli, dei figli, dei nipoti, rendono la vita facile e ti riducono a stare tutto il giorno in poltrona, davanti a un televisore, come un vecchio rimbambito. Non soffro di solitudine, sto bene anche da solo perché è una mia scelta. Sono pieno di amici, passati i momenti di bufera ho costruito un buon rapporto con le mie ex compagne, ho le figlie e mi trovo nella condizione di dover tenere a bada un po’ tutti, altrimenti non ci sarebbero momenti per me stesso.
«Per molto tempo, agli inizi della mia carriera, ho vissuto in camere ammobiliate ed erano stanze dove c’era spazio giusto per un letto e un lavandino, così sì finisce per abituarsi a stare solo e questo credo abbia segnato inesorabilmente il mio modo di essere. Poi ci si sposa, si mette su famiglia e, qualche volta, le abitudini cambiano. Quando l’ho formata anch’io, ogni volta ho avuto case abbastanza grandi da poter avere una stanza solo per avere una stanza solo per me, dove non
lasciavo entrare nessuno. Anche quando avevo trent’anni,
la convivenza è sempre stata problematica, soprattutto mi è mai piaciuto dormire nello stesso letto. Gli appartamenti grandi che ho avuto in passato sono rimasti alle mie mogli, c’è chi l’ha tenuta e chi l’ha venduta. Penso di essere stato una persona generosa, al punto da ritrovarmi a vivere in questo piccolo appartamento, in questo Rione Monti che mi è molto caro e dove mi sono costruito amicizie solide anche con Piero, il macellaio, il barbiere, il ristoratore... Gente genuina, vera sincera con cui mi trovo bene. E una casa con poche cose ma che racchiude tutto quello che mi serve: non mi piace avere gente attorno e posso gestirla
da solo, senza troppa fatica. Quando sono andato via dai grandi appartamenti ho portato con me solo i vestiti. Ho lasciato perfino i miei libri, pur amandoli tanto. Si ricomprano anche quelli, magari edizioni più nuove ed è anche questo un modo di sostenere gli scrittori e la diffusione della cultura».
Sembra che lei non voglia mettere mai radici. E così?
«Le ho messe per un po’ di tempo, seppure con una certa riluttanza, con persone con cui stavo bene. Nel corso della mia vita ho avuto cinque storie importanti, ciascuna durata otto-dieci anni e quando sono finite, mi è proprio piaciuto sentirmi libero da qualsiasi legame, anche dalle cose materiali cui mi ero un pochino abituato».
All’inizio di quest’anno, Monicelli mi aveva fatto notare che avere una signora moldava che si occupava di cose che aveva fatto sempre da solo, per lui era motivo di grande fastidio. Proprio in quell’occasione, aveva parlato nuovamente della morte del padre, morto suicida, di cosa avesse rappresentato perderlo in modo così tragico e con un sorriso amaro, si è chiesto ad alta voce se non ci fosse qualcosa nel Dna che aveva ricevuto. .. Aggiunse: «Mia madre era una donna forte, ed erano così legati che perderlo in quel modo le ha procurato una sofferenza che, da come la ricordo, non ha mai avuto fine. Ecco, chi decide di fare un gesto così definitivo non pensa alla sofferenza di chi resta, ma ho sempre rispettato la scelta di mio padre. Ogni essere umano è padrone assoluto della sua vita, per questo sono sempre stato favorevole all’eutanasia».
E lei, come pensa di aver vissuto la sua vita fino a a questo momento?
«Se sapessi di dover morire domani, me ne andrei senza rimpianti».