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 2010  novembre 30 Martedì calendario

2 articoli - LA BUONA EDUCAZIONE TORNA AD ESSERE UN VALORE VINCENTE. E IL MOVIMENTO MONDIALE PER LA CORTESIA SI ALLARGA DALL´ASIA FINO ALL´EUROPA E GLI USA - Basta con gli insulti e il disprezzo

2 articoli - LA BUONA EDUCAZIONE TORNA AD ESSERE UN VALORE VINCENTE. E IL MOVIMENTO MONDIALE PER LA CORTESIA SI ALLARGA DALL´ASIA FINO ALL´EUROPA E GLI USA - Basta con gli insulti e il disprezzo. All´epoca della crisi, in un tempo brutale e rude, molti invocano (e praticano) un ritorno della gentilezza. Dolcezza, pazienza, educazione, cortesia, galateo, capacità di chiedere scusa, attenzione all´altro… È una sorta di decalogo dei valori un po´ desueti, un "piccolo mondo antico" che torna alla ribalta. E che quest´anno è stato celebrato il 13 novembre, nella Giornata Mondiale della Gentilezza, persino dai manager, categoria che fin qui non aveva mai aderito. D´altra parte questa giornata è la punta dell´iceberg di una mobilitazione più generale, il World Kindness Movement, nato a Tokyo nel 1997 e poi diffusosi negli Stati Uniti e in Europa. Una "voglia di tenerezza" ormai rivendicata e osannata. Celebrata anche da El País che ha trasformato in simbolo Vicente del Bosque, tecnico campione del mondo della nazionale di calcio spagnola, scelto per le sue virtù di "leader mite". Torna così un modello che sembrava definitivamente perso negli ultimi decenni, quando coach, esperti in comunicazione e manager di ogni tipo invitavano a non cadere nella trappola della gentilezza. Per anni, le ricette di vita dispensate a tutti coloro che volevano imporsi nel mondo, incitavano all´affermazione e alla padronanza di sé, alla performance, all´indifferenza. « «Osate non essere gentili!» era il motto dei motivatori. Perché la gentilezza era considerata sinonimo di debolezza. E mostrarsi miti e mansueti era il miglior modo per non farsi rispettare. Per "riuscire" nella vita ci si doveva mostrare invulnerabili e onnipotenti. Per non uscire dalla corsa folle imposta dalla globalizzazione, bisognava indurirsi, non provare compassione per nessuno, non fidarsi mai degli altri, contare solo su di sé. Perché allora questo ritorno alla gentilezza? Corsi e ricorsi della storia o novità rivoluzionaria? Mai come in questi ultimissimi anni, sono stati pubblicati tanti libri interamente consacrati alla cortesia e alla dolcezza. Dall´Elogio della gentilezza di Adam Phillips e Barbara Taylor, recentemente tradotto in italiano, all´Eloge de la gentillesse, del filosofo francese Emmanuel Jaffelin, passando per La forza della gentilezza di Piero Ferrucci, il punto di partenza è sempre lo stesso: disprezzare la gentilezza è pericoloso non solo a livello personale, ma anche a livello collettivo. Jaffelin, il cui saggio in Francia è diventato un caso, sostiene che bisogna credere di più al valore della gentilezza: «Il mondo è fondamentalmente buono», dice «Ma la nostra attenzione si concentra molto di più su ciò che è malvagio e pericoloso». Una società in cui trionfano l´aggressività e la maleducazione è una società malata. La crisi economica è il sintomo della fine di un mondo: la "mano invisibile" di Adam Smith non può nulla contro l´individualismo e l´egoismo che hanno portato al crollo della solidarietà, all´aumento esponenziale della disoccupazione e alla diffusione della violenza nelle scuole. Per permettere all´economia di ripartire e alle aziende di funzionare, si deve uscire dalla logica del management aggressivo, si deve ricreare un clima di fiducia, si deva imparare a dare spazio all´umano, ad essere gentili e comprensivi con i propri collaboratori. Tanto più che essere gentile fa bene alla salute. È uno dei parametri da prendere in conto per calcolare il FIL (la Felicità Interna Lorda). È la soluzione per accedere al benessere psico-fisico. Se siamo gentili, possiamo addirittura dare un senso e un valore alla nostra vita. Ce lo dicono anche alcune ricerche in laboratorio: arrabbiarsi fa male alla salute, ne risentono alcuni organi; se siamo troppo rigidi e cattivi lo stress e la stanchezza non fanno che aumentare. Ecco allora che, esattamente come fino a qualche anno fa si moltiplicavano le ricette per imparare ad essere crudeli e invulnerabili, arrivano oggi anche le ricette per diventare gentili: smettere di correre dalla mattina alla sera, imparare a respirare, essere consapevoli dell´aria fresca che penetra nei polmoni… Fino al recentissimo Manifesto della gentilezza in 10 punti. In un mondo che tende alla disumanizzazione, abbiamo tutti bisogno di dolcezza e cortesia: essere gentili è una forma di intelligenza e di forza; la gentilezza è un valore contemporaneo; essere gentili è contagioso… Chissà! Per il momento il "gadget" sembra funzionare. Su Facebook si moltiplicano le pagine per riabilitare la gentilezza. Psychologie magazine ha addirittura creato un sito consacrato alle "buone azioni". E adesso ci si mettono anche i leader politici. Non solo Sarkozy in Francia, ma anche Cameron che commissiona in Inghilterra ricerche statistiche sui "livelli di felicità" e Brunetta che propone in Italia una legge per obbligare i dipendenti pubblici alla cortesia… Sarebbe stato impensabile ancora dieci anni fa. Oggi la gente è stanca di vivere in uno stato di "guerra permanente". L´essere umano non è solo un "lupo" per gli altri, come direbbe Hobbes, ed ha effettivamente bisogno di ritrovare un clima di fiducia e di scoprire una nuova forma di umanesimo in cui, "mettendosi al servizio degli altri", possa ridare senso alla propria vita. Ma basta cantare le lodi della cortesia per capire cosa sia la gentilezza? Nel passato la gentilezza e la dolcezza erano delle virtù. Non solo un modo formale di comportarsi con gli altri, ma una vera e propria modalità di essere e di agire, un modo di fare attenzione agli altri e di prendersene cura, una forma di comprensione e di tolleranza. L´uomo dolce, scriveva Aristotele, si trova a metà strada, nel "giusto mezzo", tra il collerico, colui che cede all´ira ed è incapace di analizzare con serenità le difficoltà che incontra nella vita, e il servile, colui che resta impassibile anche quando è necessario mettersi in collera perché la situazione lo richiede. La dolcezza e la gentilezza, scrive nel suo Diario Etty Hillesum nel luglio del 1942, un anno prima di essere deportata dal campo di smistamento di Westerbork, in Olanda, al campo di sterminio di Auschwitz, sono una forma di coraggio senza violenza, una forma di forza senza durezza, un amore senza collera. Per opporsi alla barbarie bisogna essere forti. Ma la fortezza non è mai sinonimo di violenza e brutalità. Siddharta, San Francesco, Lao Tze, Gandhi… La storia non manca di eroi della gentilezza e della dolcezza. Ma perché la gentilezza non sia solo una moda passeggera, non varrebbe la pena di evitare di ridurla in "pillole" da prendere ogni mattina insieme alla vitamina C? MICHELA MARZANO, la Repubblica 30/11/2010 LA FORMULA DELLA CORTESIA - «Dopo di lei», «Ma si figuri». «Grazie», «Prego, non c´è di che». «Tante belle cose!», «Delle migliori!»... La gentilezza, come il suo opposto, è piuttosto una questione di toni e atti che di parole: ma ha comunque prodotto formule linguistiche immediatamente riconoscibili, condannate a un eterno bilico tra sincerità e affettazione. Sappiamo ormai tutti che non bastano molti «Mi consenta» o «Non ho il know how per odiare» per certificare la propria appartenenza effettiva al club dei miti (inteso come plurale di «mite»). È che la gentilezza, non potendo per definizione essere brutale, contiene vaste e imperscrutabili zone di implicito, in cui nessuno può sapere se risieda la bontà o l´odio represso, il guanto di velluto o il pugnale nascosto. Gli orangutan sono incapaci di ipocrisia; i «clockwork orange» di Burgess e Kubrick, incominciano a saper mentire, come le Iene di Tarantino; i Gattopardi di Tomasi di Lampedusa sono maestri di dissimulazione. Il rischio di ipocrisia è sempre inversamente proporzionale al grado di civiltà. Un altro risvolto contraddittorio è che le formule di gentilezza a volte si oppongono e si annullano l´un l´altra, creando situazioni di stallo: «Non si disturbi!», «Nessun disturbo!». «Non faccia complimenti!», «Non faccio complimenti!». Giulio Cattaneo raccontava che Carlo Emilio Gadda si immobilizzava davanti a una porta per far passare per primo il conoscente con cui stava parlando. Se incontrava qualcuno ostinatamente gentile quanto lui, dalla porta finiva per non passare nessuno, per lunghissimi minuti. Dal paradosso alla parodia: in un racconto del primo Aldo Nove, due ex-commilitoni si incontrano per caso in un bar, si commuovono alla rimpatriata per il tempo di alcune consumazioni, al momento di pagare si litigano lo scontrino finché per aver il privilegio di aver offerto da bere uno ammazza l´altro. Di gentilezza si può morire, allora? A guardarsi attorno parrebbe più pertinente dire che di cafoneria tocca vivere. Intervistato qui da Enrico Franceschini anche a proposito delle buone maniere del nuovo premier britannico Cameron, Alan Bennett definiva la gentilezza in questi termini: «mettersi nei panni degli altri, ossia rispettare il punto di vista, le esigenze, i problemi altrui». Basterebbe quello: sapere che l´altro esiste, e tenere conto della sua esistenza. Bennett aggiungeva: «Non conosco molti politici, o non politici, che lo facciano». Dopo di che, essendo britannico, indicava la Bbc come un «modello di educazione» e da qui in poi il paragone con l´Italia chiaramente non regge. Eppure il successo di Vieni via con me è fra le altre cose anche il successo di un modello relazionale che (senza rinunciare a essere espliciti e quando è il caso anche duri) non deroga da volumi e toni di voce moderati, dal rispetto dei turni di parola, da una semantica non bellicosa. Gli stessi elementi che in altri programmi (italiani, non certo Bbc) vengono scrupolosamente negati, perché ritenuti controproducenti ai fini del successo quantitativo. Che il cattivismo di maniera e la «scorrettezza politica» da talk-show incomincino ad aver stufato? Meglio non illudersi del tutto. Però anche voler essere ottimisti è un modo per essere gentili: non costa nulla e svelenisce un po´ l´ambiente. STEFANO BARTEZZAGHI, la Repubblica 30/11/2010