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 2010  novembre 30 Martedì calendario

FONDI COMUNI, LA CRISI È SENZA FINE


La crisi dell’industria dei Fondi Comuni d’Investimento arriva da lontano. E il calo della raccolta registrato da Assogestioni anche ad ottobre (-1,3 miliardi di euro), dopo il già poco esaltante settembre (-1,7 miliardi), non fa che confermare un andazzo ormai noto agli operatori. Certo la stangata del 2008, 100 miliardi di raccolta in fuga dai Fondi appare, per fortuna, irripetibile. Ma è dal 2003 che il settore va sempre sotto. Tanto che mettendo in fila i deflussi, anno per anno, fino al 2009, si arriva a 220 miliardi di euro. Una bella botta. Senza considerare il 2010, nel quale l’emorragia ha già raggiunto quota 15 miliardi, riducendo la massa di risparmio alla quota attuale di 480 miliardi.
Le vacche grasse degli anni ‘90 sono alle spalle e basta un confronto con il ’99 per disegnare il quadro. I patrimoni in gestione, 11 anni fa, incidevano per il 41% sul Pil contro il 27% di oggi e il mercato italiano era quarto nel mondo mentre in questa fase è scivolato al nono posto. Che diavolo è successo? La recessione ha inciso e i riflessi dei casi Parmalat e Bond argentini hanno fatto il resto. Ma le ragioni della crisi di questa indusria finanziaria sono molto più profonde e strutturali. Già nel biennio 2004-2005 molte banche, vere protagoniste del settore, avevano deciso di trasferire i fondi italiani in quelli esteri ed in particolare in Paesi, come il Lussemburgo e l’Irlanda, con condizioni fiscali più favorevoli.
Tuttavia, la prima ragione della fuga dei risparmiatori dai Fondi comuni è che i rendimenti sono mediamente modesti. I dati degli ultimi 3 anni dicono che gli obbligazionari e i bilanciati, se ben gestiti, danno buone soddisfazioni. E fregature minime. Ma nel mondo dei fondi azionari, che pure hanno fatto ricchi alcuni fortunati, si possono prendere sberle niente male, con punte di rendimento negativo vicine al 50%. Mentre i monetari sono piatti. L’analisi dei dati storici raccolti da Bankitalia mostra che, dal 2000 ad oggi, i rendimenti dei Fondi sono stati mediamente inferiori a quanto garantito dai titoli di Stato. E questo soprattutto a causa delle commissione alte, valutabili intorno all’1% annuo.
Naturalmente bisogna saper distinguere (vedi tabella) fra gestore e gestore. Ma – tanto per fare un esempio – il rendimento medio dei fondi comuni armonizzati, al netto di imposte e commissioni, è stato, dal 2007 ad oggi, appena dello 0.3%. Già, le commissioni. Uno studio realizzato dall’Ue un paio di anni fa indicava proprio le commissioni italiane come le più oppressive del continente. «Per un fondo azionario italiano – si leggeva nel rapporto – i costi totali incidono del 2% sul rendimento annuale contro l’1,5% sui fondi francesi e tedeschi». E le tasse, come ha sottolineato più volte il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, costituiscono un altro bel problema. All’estero, gli utili dei fondi vengono tassati al momento del realizzo e non tutti i giorni sul maturato, come da noi. La tassazione giornaliera del 12,5% sul maturato, si lamentano gli operatori, penalizza il rendimento dei fondi italiani, perché imprigiona i gestori nelle fasi di mercato al rialzo, costringendoli ad accantonare la ritenuta. «La tassazione delle plusvalenze maturate, anziché di quelle realizzate – ha osservato Draghi nel suo intervento alla “Giornata del risparmio” del 2008 – è uno svantaggio che va eliminato perché nelle fasi di ampi ribassi la distorsione è eccessiva». Ma dai piani alti di Via Nazionale si insiste su un altro nodo, quello del conflitto di interessi. In Italia, le banche e le società assicurative sono, allo stesso tempo, proprietarie delle reti distributive (sportelli e promotori finanziari) e delle Sgr (Società di gestione del risparmio). Insomma, produttore, distributore e venditore sono una cosa sola e si crea una situazione di in cui, ad essere privilegiati sul mercato, di regola, sono i prodotti più vantaggiosi per la banca. E magari non per il cliente. Ragion per cui il governatore spinge perché nei Cda delle Società di gestione sieda una maggioranza di membri indipendenti dalle banche.