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 2010  novembre 30 Martedì calendario

QUEL VOLO GIÙ DAL BALCONE

Il regista Mario Monicelli si è ucciso ieri sera lanciandosi dal quinto piano del reparto di Urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per una grave malattia. Monicelli era in una stanza con due posti letto ma la occupava da solo. Era ricoverato da ieri ma veniva con costanza in ospedale per curare un tumore alla prostata. Dopo che l’infermiere gli ha somministrato la terapia il regista ha aperto la finestra e si è gettato nel vuoto. Ha colpito l’asfalto con la testa. E lì è rimasto, coperto solo con un telo sotto la pioggia battente, sul vialetto che è alle spalle della guardiola all’ingresso principale dell’ospedale. Un tempo lungo. Troppo per i parenti che sono immediatamente accorsi dopo aver ricevuto la comunicazione dai sanitari. Non sono mancate per questo le proteste. La moglie in particolare straziata dal dolore ha gridato: «Spostate il corpo dalla pioggia battente. Mio marito non può restare lì». Ma sotto il lenzuolo di plastica il cadavere è rimasto fino all’arrivo del magistrato. Sul posto sono giunti per primi gli agenti del commissariato Celio diretto da Tiziano Lorenzo. A seguire è intervenuta una squadra del 118 che non ha potuto far altro che constatare il decesso del regista. La polizia scientifica ha poi effettuto tutti i rilievi necessari e l’area è rimasta «off limits» per chiunque. Monicelli non ha lasciato nessun biglietto e ha ripetuto il gesto del padre, anche lui morto suicida. Stando ad alcune testimonianze veva mostrato stanchezza e insofferenza per la malattia che lo aveva colpito a 95 anni All’ospedale sono arrivate personalità e privati cittadini. Come la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini e, dopo le 23, anche il questore di Roma Francesco Tagliente. Ma anche due ragazzi del rione Monti di Roma.

«Monicelli era un orgoglioso monticiano» hanno spiegato i due ragazzi che hanno chiesto di rimanere anonimi. Sono arrivate anche una serie di testimonianze e di ricordi a commento della tragedia. Per Walter Veltroni: «È una notizia terribile: Monicelli se ne va e ci lascia in modo così doloroso. Era un uomo straordinario, coi suoi 95 anni portati con aspra ironia». Anche il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti ha commentato la scomparsa: «Provo un grande dolore. Non conosco i motivi che lo hanno portato a compiere questo gesto, ma con Monicelli perdiamo non solo uno dei più grandi registi, ma anche un grande italiano che con la sua arte ha portato lustro al nostro Paese». Non sono mancate le reazioni dei suoi amici e allievi. È rimasto sconvolto nell’apprendere la notizia della scomparsa Claudio Risi, figlio di Dino, che di Monicelli è stato più di una volta aiuto regista.

«È una cosa terribile - ha detto visibilmente scosso - comunque ha fregato papà... ha vissuto più di lui. È un po’ nel carattere si somigliavano. Con lui regista ho fatto "Vogliamo i colonnelli" e "I nuovi Mostri". Ricordo che una volta si arrabbiò moltissimo con me perché ero stato troppo preciso. Dovevo preparare una sala da pranzo nell’episodio "Il Malconcio" dei "Nuovi mostri". Mi disse che ero stato troppo preciso, che avremmo finito troppo presto e non saremmo potuti rimanere a lavorare tutta la notte. Un personaggio incredibile». «In qualche modo lo sapevo - ha detto Marco Risi, fratello di Claudio - era un grande spirito libero e se ne è andato così come ha vissuto tutta la vita. Sentiva di non poter essere più utile e ha scelto con lucidità». Infine il saluto di Ezio Greggio: «Ciao Mario. Salutaci Totò, Sordi e Manfredi». (ha collaborato Dina D’Isa)
Fabio Di Chio, Il Tempo 30/11/2010


IL TRAGICO ADDIO ALLA VITA DI MONICELLI -
È morto a 95 anni il regista Mario Monicelli: si è ucciso lanciandosi dal balcone del reparto di Urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove era in cura per un tumore. Nato a Viareggio il 16 maggio 1915, Monicelli è stato uno dei protagonisti del nostro cinema, alfiere della commedia all’italiana. I suoi esordi risalgono agli anni Trenta. Tra i suoi film più amati: «I soliti ignoti», «La grande guerra», «L’armata Brancaleone» e «Brancaleone alle Crociate», «Il marchese del Grillo», due capitoli della trilogia di «Amici miei», «Speriamo che sia femmina». Nel 2006 aveva diretto «Le rose del deserto». ROMA — «Ma deve stare proprio sotto la pioggia? Non potete spostare mio marito da lì? È assurdo che nessuno intervenga...». Chiara Rapaccini si dispera. Piange, composta, senza scenate, ma decisa, mentre gli agenti della Scientifica scattano fotografie al lenzuolo bianco che copre il corpo di Mario Monicelli.

Spostarlo dal viottolo accanto alla siepe, alle spalle del pronto soccorso, non è però possibile, almeno fino all’arrivo del magistrato di turno.

Sull’ospedale San Giovanni piove a dirotto, arriva la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, amici e conoscenti del maestro. Da sei giorni il regista de La grande guerra e I soliti ignoti era ricoverato nel reparto di urologia 2 per una serie di accertamenti. Medici e infermieri lo conoscevano bene: Monicelli, 95 anni, era affetto da un male incurabile, ma nonostante questo non aveva perso il buonumore.

Anche ieri mattina nel reparto, diretto dal primario Gianluca D’Elia, raccontano di averlo visto sorridente, con la battuta sempre pronta. Alle 20.30 di ieri un infermiere gli ha somministrato i medicinali, poi lo ha lasciato da solo nella sua camera. A quel punto Monicelli, secondo la ricostruzione della polizia, si è affacciato al balcone del quinto piano ed è caduto di sotto. Un volo di oltre 15 metri che non gli ha lasciato scampo.

Mezz’ora più tardi gli infermieri sono tornati nella stanza e non l’hanno trovato a letto. L’allarme è scattato subito: ancora pochi minuti e gli addetti alla vigilanza dell’ospedale hanno scoperto il corpo del regista proprio sotto al reparto, accanto a quello di maternità. Inevitabili le indagini del commissariato Celio per valutare anche l’ipotesi di una caduta accidentale, anche se è al suicidio che tutti pensano in questa notte piovosa. Come aveva fatto il padre Tomaso, giornalista e scrittore, nel ’46 sparandosi un colpo di pistola.

«Lo lasciavano troppo solo, non lo seguivano abbastanza», avrebbe accusato la compagna di Monicelli, che in mattinata sembra abbia avuto un litigio col personale sanitario proprio per questo motivo. Altre testimonianze raccontano i difficili ultimi giorni del principale interprete della commedia all’italiana, tra momenti di lucidità e altri di confusione.
Maurizio Porro, Corriere della Sera 30/11/2010

INVENTIVA, ENERGIA E VENA SATIRICA COSÌ È STATO UN MAESTRO DEL CINEMA
Mario Monicelli era nato a Viareggio il 15 maggio del 1915, era figlio di un giornalista e imparentato con la famiglia Mondadori. Studia a Milano e a Pisa e fin da ragazzo scrive su riviste e s´interessa di cinema. Il suo primo lavoro amatoriale, un adattamento de I ragazzi della via Pal, riceve addirittura un premio alla Mostra di Venezia quasi neonata del 1935. Si fa le ossa come aiuto, di Genina e di Camerini, e nel dopoguerra, per quattro anni e sette film, firma in coppia con Steno, cioè Stefano Vanzina, una serie di avventure di Totò. Tra le quali Totò cerca casa e Guardie e ladri.
Al servizio del principe della risata anche dopo che la ditta formata con Steno si scioglie, Monicelli stringe un fondamentale sodalizio con gli sceneggiatori Age e Scarpelli e crea per il grande comico napoletano, con Totò e Carolina (1955), un profilo del tutto nuovo. Dopo Un eroe dei nostri tempi che, siamo ancora alla metà degli anni Cinquanta, segna il primo incontro del regista con Sordi e anche il prodromo di quella vocazione satirica che sarà il pane quotidiano della commedia all´italiana propriamente detta, "di costume", Monicelli firma nel 1958 un´opera davvero epocale come I soliti ignoti, il primo film "da ridere" dove un personaggio muore tragicamente. La sua carica d´invenzione è tale, l´energia che sprigiona tanto contagiosa da imporsi come un "inizio", da fare scuola fino agli adattamenti americani in chiave di musical, fino ai numerosi tra sequel, rifacimenti, imitazioni non solo italiani. Altra "primogenitura" del film, e monicelliana: la scoperta di un Gassman comico del tutto inedito, irriconoscibile dall´aitante "cattivo" del cinema e dal colto e già affermatissimo principe dei palcoscenici. Nel film, con la complicità degli stessi Age e Scarpelli ai quali si aggiunge Suso Cecchi d´Amico, si scatena un gusto assolutamente inventivo nella scrittura di una lingua che contamina il gergo malavitoso ed espressioni di molte provenienze dialettali. Tutte queste caratteristiche trovano la loro sintesi nell´inaugurazione di quello che sarà un principio chiave della vera commedia all´italiana: il materiale usato in direzione comica si presterebbe a un totale capovolgimento, a uno svolgimento drammatico.
Principio la cui applicazione diventa evidente con quello che resta inciso nella memoria universale come il capolavoro di Monicelli: La grande guerra, la prima "commedia" che (nel 1959) riceve il massimo riconoscimento del più importante festival internazionale, il Leone d´oro (sia pur alla pari con Il generale Della Rovere di Rossellini e con De Sica) della Mostra di Venezia. Monicelli abborda un tema intoccabile, la sacralità dell´immane sacrificio consumato nella Prima guerra mondiale, e solleva ancor prima di esistere polemiche di fuoco che vedono fronteggiarsi penne di prima grandezza, da Monelli a Gadda.
La grande guerra apre una stagione. Precedendo la svolta politica che con l´inizio degli anni Sessanta aprirà la strada del potere al partito socialista nel primo governo di centrosinistra, il film inaugura un capitolo nuovo nel cinema italiano. Incontrando un gradimento infinitamente maggiore in chiave di commedia, sono molti e importanti i film italiani che intorno al ‘60 rivisitano la memoria storica italiana del Novecento. Trova posto in questa onda, ma con fortuna infinitamente inferiore, il successivo I compagni (‘63). Che risale ai primi movimenti operai di fine Ottocento, ambientando in una Torino plumbea la storia di uno sciopero fallito diretto da una figura deamicisiana affidata a Marcello Mastroianni. I compagni resta come un isolato pegno pagato dalla compagnia della commedia a un "impegno" sociale e politico che però evidentemente non può superare certi limiti per essere accettato dal pubblico di massa.
Monicelli, con la solita formazione, ritrova in pieno il favore delle platee e di nuovo in proporzioni clamorose a metà decennio con L´armata Brancaleone. Dove l´acrobatica performance di un inesauribile Gassman e il caleidoscopio lessicale inventato dagli sceneggiatori producono un effetto così contagioso da trasformare il film non solo nel primo di un ricco filone ma addirittura in un riferimento idiomatico. Dopo la parentesi de La ragazza con la pistola (protagonista Monica Vitti) diventa Ugo Tognazzi la figura centrale della nuova stagione. Non tanto in Vogliamo i colonnelli, grottesco pamphlet "antifascista", quanto in Romanzo popolare e Amici miei: canto del cigno, a metà degli anni Settanta, della gloriosa commedia all´italiana. Tra l´uno e l´altro, va notato, Monicelli cambia squadra di sceneggiatori: da Age e Scarpelli a Benvenuti e De Bernardi che lo assecondano nel crepuscolo e nella deriva goliardica di un cinema, specchio di una sensibilità e di una società, che non sono più giovani ma faticano ad accettarlo. Amici miei è un divertimento senile, amaro, un inno nostalgico alla "zingarata" che lo mette in contatto con una scia che viene da lontano, dal primo Fellini dei Vitelloni.
Per quanto non abbia anche dopo mai abbandonato la vena satirica, nel ‘77 il regista obbliga a separare la classificazione della sua vasta opera in un prima e un dopo Un borghese piccolo piccolo (dal romanzo del giovane Vincenzo Cerami). Che, offrendo a Sordi l´opportunità di un personaggio di grande spessore e profondità drammatica, sembra chiudere in maniera netta con le radici della commedia. Anche se gli ultimi decenni del suo instancabile attivismo hanno ancora prodotto enormi successi commerciali (Il marchese del Grillo), opere di sicurissima dignità (Speriamo che sia femmina) e splendide occasioni per i suoi attori (il Panelli di Parenti serpenti, il Villaggio di Cari fottutissimi amici), tuttavia, come è normale che sia in un curriculum tanto lungo e ricco e già tanto pieno di motivi di eterna gratitudine da parte di varie generazioni, l´apice creativo era già passato. Di Monicelli vanno ricordate la generosità dell´artista e uno straordinario talento nel rimanere, anche novantenne, intimamente e autenticamente giovane perché instancabilmente curioso e disponibile.
Paolo D’Agostini, La Repubblica 30/11/2010



QUEL GIORNO SUL SET MI SPIEGÒ "AL CINEMA SI FA PER FINTA" - Mario Monicelli è stato il mio primo regista. Quando girò I soliti ignoti aveva quarantatre anni e non era abituato a lavorare con i dilettanti. Eppure mi aveva scelto, io che arrivavo dalla Tunisia, avevo vent´anni e non parlavo l´italiano. Con me debuttava il mio "fratello" di scena, Tiberio Murgia. Restavamo sul set, seduti in un angolo a guardare quel mondo affascinante, cercando di imparare da attori del calibro di Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Totò, Renato Salvatori.
Monicelli aveva fama di burbero eppure con me fu sempre gentile. Perfino quando, girando mia prima scena, sbattei in faccia la porta a Renato, gonfiandogli un occhio. Mario mi prese da parte e mi spiegò dolcemente: «Claudia, al cinema si fa per finta». È rimasto sempre stato orgoglioso della sua scelta.
Qualche anno fa ci siamo incontrati a Parigi. Mario era venuto per ricevere un omaggio della Cinémathèque. Sul palco mi hanno chiamato a premiarlo, lui mi ha guardato con quei suoi occhi scintillanti, mi ha sorriso e abbracciato. Poi si è girato verso la platea e ha detto: «Sapete, Claudia l´ho scoperta io».
Avevamo in comune una grande riservatezza, il pudore dei sentimenti. Mi piaceva la sua grande ironia, l´intelligenza. Ogni volta che l´incontravo, negli anni, mi sembrava lo stesso: un uomo dalla grande energia e una straordinaria memoria per i dettagli. Quando ho saputo della sua morte ho pianto. Mi mancherà. Eppure ho compreso il suo gesto, rispetto la sua decisione, la volontà di non trascorrere i suoi giorni in un letto d´ospedale.
CLAUDIA CARDINALE, la Repubblica 1/12/2010