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 2010  novembre 30 Martedì calendario

IL PUBBLICO DEI DIBATTITI IN TV INUTILE, FORSE DANNOSO

Chi segue sulla Rai (azienda finalizzata al servizio pubblico) i talk show politici non può fare a meno di notare che il pubblico presente negli studi, quando è previsto che possa liberamente applaudire, «tifi» quasi sempre per una sola parte politica. Ne sono una prova le reazioni alla telefonata in diretta del capo del governo a una recente trasmissione. Ritiene che sia sensata la mia richiesta a chi «recluta» il pubblico di farlo in maniera più paritetica, per evitare che si debbano continuamente sentire applausi plebiscitari quando un proprio beniamino apre bocca?
Domenico Di Pietro
Roma
Caro Di Pietro, se il problema fosse soltanto quello di garantire la scelta imparziale di quanti possono assistere a un dibattito televisivo, la soluzione non sarebbe difficile. La Rai potrebbe annunciare il numero dei posti disponibili, aprire uno sportello per le prenotazioni, anche elettronico, e accettare i primi arrivati, salvo qualche controllo per ragioni di sicurezza prima dell’ingresso nello studio. Ma il vero problema, a mio avviso, è la presenza del pubblico. Siamo davvero sicuri che un dibattito diretto alla grande platea nazionale dei telespettatori abbia bisogno di un pubblico fittizio, composto da persone che recitano inevitabilmente, anche quando hanno reazioni personali, il ruolo delle comparse?
La presenza del pubblico negli studi televisivi è una usanza, sin dagli esordi, della televisione americana. Nei programmi a sorpresa — lotterie, quiz, indagini su persone scomparse, ricongiungimenti, varietà musicali — serve a creare il clima dello spettacolo, il teatro nel teatro. In questi casi non stiamo assistendo soltanto a un evento (il sorteggio di un biglietto, la risposta a una domanda difficile, l’abbraccio di due persone che non si sono viste per molti anni), ma anche alle emozioni che esso suscita in un certo numero di persone riunite per l’occasione nello studio televisivo. La loro presenza fornisce a queste trasmissioni un ingrediente necessario al loro successo: l’attesa e il suo compimento. Mettete questi spettacoli su un grafico e scoprirete che il pennino del sismografo schizza continuamente verso l’alto, con grande soddisfazione del produttore e del regista.
In un buon dibattito politico, invece, gli schizzi del pennino non dovrebbero esserci. Dovrebbero esservi le tesi, le contestazioni, le contraddizioni, esposte con forza ma chiaramente e pacatamente di fronte a un arbitro invisibile, composto da milioni di persone chiamate a giudicare individualmente. Quando discutono in presenza di un pubblico visibile, invece, i partecipanti sono inevitabilmente indotti a comportarsi come nei comizi dove la battuta, l’insulto, la barzelletta, la provocazione conquistano gli applausi più di un argomento svolto razionalmente. Credo che questa politica-spettacolo, queste risse orchestrate da moderatori che sono spesso felici di attizzare il fuoco, siano una delle cause della mediocrità e della volgarità del dibattito pubblico italiano.
Sergio Romano