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 2010  novembre 30 Martedì calendario

L’antibiotico non funziona più Le cause: immigrati e fai-da-te - È tempo di dare una svec­chiata al mondo degli antibio­tici, settore dove la ricerca lati­ta e dal quale le c­ase farmaceu­tiche stanno alla larga per que­stione di costi e di scarso gua­dagno

L’antibiotico non funziona più Le cause: immigrati e fai-da-te - È tempo di dare una svec­chiata al mondo degli antibio­tici, settore dove la ricerca lati­ta e dal quale le c­ase farmaceu­tiche stanno alla larga per que­stione di costi e di scarso gua­dagno. Il pianeta Terra lancia segnali e sembra avere un di­sp­erato bisogno di nuove cap­suline magiche per combatte­re per esempio, le infezioni ospedaliere, sempre più resi­stenti alle terapie tradiziona­li. Solo in Italia, si stima che fino al 7% dei pazienti acquisi­sca un’infezione in corsia. In pratica 700.000 malati si riam­malano in un letto di ospeda­le e l’1% muore in modo così assurdo. Del resto, di fronte a batteri sconosciuti e che si spostano di continente in con­tinente grazie all’emigrazio­ne il mondo ha le armi spunta­te. Sempre meno spesso le mo­l­ecole esistenti, scoperte trop­pi anni fa, funzionano. Ed è per questo che gli esperti chie­dono una mano ai governi af­finché diano un supporto eco­nomico alle aziende che fan­no ricerca in questo settore. Anche perché esistono dei batteri killer che resistono a quasi tutti i tipi di antibiotici. Come la insidiosa klebsiella, che è già diffusa in India ma si è affacciata in Inghilterra e an­che in Italia ( due casi per ades­so). «Neppure quelli di ultima generazione riescono a bloc­carla », precisa Gianni Rezza dell’Istituto superiore di Sani­tà che spiega: «Quel gram ne­gativo provoca polmoniti e gravi setticemie e colpisce le persone particolarmente de­bilitate come quelle ricovera­te in terapia intensiva». Rezza avverte che contro questi gram c’è poca ricerca. «Biso­gna investire molto per ottene­re nuovi prodotti e le case far­maceutiche hanno allentato la presa –ammette Rezza- .In­vestono soprattutto sugli anti­virali che servono alle malat­tie infettive croniche». Dunque il problema è stato posto. E non solo da Rezza. Molti esperti internazionali presenti al Congresso annua­le della Società italiana di ma­­lattie infettive e tropicali (Si­mit) hanno acceso i riflettori sulla necessità di nuove mole­cole. «Bisogna concentrarsi in qualche area specifica ­spiega Samuel Bozzette, del­l’Università di San Diego - ; ad esempio le infezioni cosiddet­t­e gram negative negli ospeda­li, che sono resistenti a quasi tutti i farmaci tradizionali, co­sì come alcune forme di tuber­colosi, per cui le terapie non funzionano più». Richard Wenzel, della Virginia Com­monwealth University di Rich­mond indica anche il modo per ottenere nuove scoperte: «La via migliore per sostenere la ricerca è la partnership pub­blico­privato, magari con il contributo di istituzioni che fi­nanziano le ricerche e con le compagnie farmaceutiche che si occupano della com­mercializzazione ». Ma in attesa delle nuove mo­lecole bisogna usare bene quelle vecchie. In Italia, per esempio, si usano malissimo, anzi si abusano come ha spie­gato recentemente il diretto­re generale dell’Agenzia del farmaco, Guido Rasi, che ha anche lanciato una campa­gna di sensibilizzazione sul corretto uso degli antibiotici spesso ingoiati come caramel­le al primo sintomo di raffred­dore. E non a caso, l’Italia, è tra i Paesi Ue a più alto consu­mo di antibiotici e a più alto tasso di antibiotico-resisten­za. Ben 150 milioni di dosi di questi farmaci sono usati in maniera inappropriata e l’an­no scorso il Servizio sanitario nazionale ha speso ben 1.038 milioni di euro soltanto per gli antibiotici. Al Sud gli sprechi più evidenti. Campania, Pu­gli­a e Sicilia sono le regioni do­ve esiste un abuso ingiustifica­to di questi farmaci seguite da Calabria e Basilicata. Ma pure nel resto della penisola i medi­ci spesso prescrivono senza neppure provare a curare il pa­ziente in modo diverso. E così il 44% della popolazione (il 53% dei bambini e il 50% degli anziani) riceve almeno una prescrizione di antibiotico al­l’anno. «Ma questo modo di distribuire a pioggia le mole­cole usate anche per curare patologie di natura virale - av­verte il professor Rasi - provo­ca una sorta di resistenza al farmaco sempre più diffuso ol­tre a un incremento dei costi per lo Stato che potrebbe ri­sparmiare, con una raziona­lizzazione, oltre 413 milioni di euro».