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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

Edo, l’incredibile pescegatto che si comporta come un cane - Il suo padrone lo chiama agitandogli la mano all’ango­lo dell’acquario

Edo, l’incredibile pescegatto che si comporta come un cane - Il suo padrone lo chiama agitandogli la mano all’ango­lo dell’acquario. Edo, come il delfino Flipper, accorre esul­tante e gli fa le feste. É chiara­mente un essere felice. Ha l’espressione che ride. Si fa ac­carezzare il capoccione, si strofina al braccio dell’uma­no prediletto, si contorce di beatitudine. In questo risto­rante sul lungolago di Luga­no, faccio una scoperta incre­dibile e tenerissima: anche i pesci hanno un anima. Non so quanta, non so fino a che punto. Ma certamente non sono quel genere di creature minori e minorate, amorfe e ignare, ebeti e inconsistenti, che tutti immaginiamo. Nella recente discussione tra animalismo sensato e pe­scatori permalosi, il caso del pesce-gatto Edo capita a fa­giolissimo. Nel suo acquario davanti al forno per le pizze, dove soggiorna come un fede­le cane in cuccia, sconfessa clamorosamente tante scioc­che convinzioni. Il signor Ro­berto, 67 anni, origini tosca­ne e trapiantato a Lugano dai primi anni Sessanta, parla di questo pesce come qualun­que persona parla del pro­prio cane, del proprio caval­lo, del proprio micione. Per evitare equivoci, è bene preci­sare che il soggetto risulta nel pieno delle proprie facoltà mentali e non è minimamen­te affetto da furori animalisti: «Io mangio carne e pesce, ci mancherebbe. Però non pos­so tollerare la sofferenza de­gli animali. Nel mio ristoran­te si mangia aragosta, ma nes­s­uno mi deve chiedere di but­tarla viva in pentola. Non si fa, non si fa...». Mentre mi par­la, tira su la manica e infila il braccio nell’acquario: «Qua, bello. Qua, il mio gattone...». E quello, Edo, arriva con un deciso colpo di pinna a riceve­re e a restituire la dolcissima razione di grato affetto. «Non lo dico per dire - racconta il signor Roberto- : Edo è davve­ro il mio migliore amico. Mi è impossibile vederlo come una pesciotto da spinare in ta­vola. Ormai è una presenza fe­dele, è come uno di fami­glia ». La storia di questo legame risale ai primi anni Novanta. Roberto, titolare del ristoran­te «Nibbio», ha un amico pe­scatore che ogni tanto cattu­ra all’amo i pesci-gatto, spe­cie da fondali melmosi, ma dotato di polpa ottima, in umido e alla griglia, senza li­sche, tipo pescatrice. «Un giorno - ricorda Roberto - di­co al mio amico: ho sentito di­re che il pesce-gatto è molto appetitoso. Quando ne pren­di, portamene qualcuno, co­sì li assaggiamo insieme...». Una sera l’amico telefona: «Roberto, ho una cinquanti­na di pesci-gatto. Sono anco­ra piccoli. Te li porto appena posso...». Il carico arriva tre giorni dopo, dentro la solita borsa di plastica. Roberto consegna il pesce al cuoco per pulirlo. Dopo qualche mi­nuto, il cuoco lo chiama in cu­cina. «Guardi- gli dice - uno è ancora vivo. Che faccio, lo fi­nisco? ». Roberto ricorda co­me fosse ieri: «Proviamo a ve­dere, gli dico. Lo prendo, lo metto nell’acquario del no­stro pesce vivo, e dopo qual­che minuto il piccolo Edo, al­lora pochi centimetri, salta già tra le mie dita per farsi coc­colare... ». La favola continua al modo di Walt Disney. La mattina do­po, Roberto riapre il ristoran­te e non vede più Edo nell’ac­quario. Comincia a cercarlo, lo ritrova a dieci metri di di­stanza, sotto a un tavolo, nuo­vamente in fin di vita. «Lo ac­carezzo con un tovagliolo, lo rimetto in acqua, e dopo qual­che minuto si riprende di nuovo. E di nuovo comincia a farmi feste. Da quel giorno na­sce la nostra grande amici­zia. In seguito ho approfondi­to la sua conoscenza, sco­prendo che il pesce-gatto di origine africana, la sua spe­cie, è molto resistente: quan­do i fiumi si prosciugano, nel continente nero, riesce a spo­starsi anche di trenta chilo­metri, per cercare acqua. Co­me vita può durare anche fi­no a trent’anni. Come mole, può raggiungere anche i due­cento chili. Per fortuna Edo ne pesa quindici. Però cre­sce. Ogni tanto dobbiamo cambiare l’acquario, per dar­gli più spazio. Ai primi di gen­naio compirà 19 anni: è già una bella età, segno che sta bene. I bambini vengono ap­posta a trovarlo, per loro è uno spasso. Vuole vedere una cosa?». Roberto prende una for­chetta, infilza un pezzo di pe­sce cucinato, quindi lo allun­ga a pelo d’acqua. Edo, con molta grazia, arriva ed educa­tamente si fa imboccare. Così con il cucchiaio. Persona edu­catissima, a tavola. Roberto conferma: «Ha imparato pre­sto. Non vuole niente con le mani. Il suo piatto preferito? Carne cruda. Con un bocco­ne di filetto te lo conquisti su­bito. Una volta gli ho fatto uno scherzo: ho messo sulla forchetta un pezzo di carota. Lui è arrivato felicissimo, ha ingoiato in estasi, ma poco dopo ha sputato. Si è subito cacciato in un angolo e per mezz’ora non mi ha più guar­dato. Offesissimo. Ce n’è vo­luta per fare la pace...». Il pesce-gatto Edo come il cavallo Furia, come il cane Lassie e come qualunque ani­male di casa che quotidiana­mente viziamo. Davanti allo spettacolo, davanti a Roberto che gioca con il suo pescione amatissimo, sorgono sponta­nee le più singolari riflessio­ni. Perché i pesci sono sem­pre trattati come esseri infe­riori, incapaci di sofferenza, senza cittadinanza e senza ri­spetto sul pianeta Terra? Per­sonalmente non sono abba­stanza fondamentalista per sostenere che anche Edo ab­bia pensieri, emozioni e un posto prenotato nel Paradiso dei giusti. Però di una cosa re­sto convinto: i pesci vengono eternamente presi a pesci in faccia solo perché sono muti. Non per altro. Se orate e bran­zini potessero strillare il loro strazio, mentre muoiono del­la morte peggiore, agonizza­no per soffocamento, vorrei proprio vedere le nostre fac­ce gaudenti alle tavolate chic dei rinomati locali sul lungo­mare… Così, guardando Edo, è ine­vitabile pensare che i pesci si­ano loro malgrado una pove­ra e inconsapevole metafora della realtà umana. Come i pesci della vita - handicappa­ti, vecchi, bambini dei conti­nenti remoti- , non hanno vo­ce. Non urlano l’ingiustizia. Solo per questo, nessuno li considera.