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 2010  novembre 30 Martedì calendario

È guerra di “soffiate” tra Assange e i giornali - Il Pentagono e il Dipartimento di Stato saranno pieni di falle, ma anche il re delle soffiate Julian Assange ha scoperto di non esserne immune

È guerra di “soffiate” tra Assange e i giornali - Il Pentagono e il Dipartimento di Stato saranno pieni di falle, ma anche il re delle soffiate Julian Assange ha scoperto di non esserne immune. Il suo Wikileaks è rimasto vittima di una fuga di notizie indesiderata: con una mossa che sa di trucchi del mestiere da giornalismo del XX secolo, il «New York Times» è riuscito a mettere le mani sulla valanga di documenti della diplomazia Usa, nonostante il misterioso hacker australiano avesse deciso stavolta di tagliare fuori il quotidiano americano. L’ammissione è arrivata ieri da Bill Keller, il direttore del giornale di New York, ed è solo l’ultimo tassello dell’intrigo che vede ancora una volta in campo l’inedita alleanza tra alcuni media «tradizionali» e il controverso sito Internet dedicato a rendere pubblici i segreti di Washington. «I documenti ce li hanno passati i colleghi del Guardian, Assange non voleva darceli perché si sentiva offeso dai nostri articoli», ha detto Keller. Il «leak», la falla che ha permesso al quotidiano newyorchese di restare nel gruppo delle cinque testate internazionali che dispongono dell’intero pacchetto di cablogrammi riservati, rientra nel retroscena mediatico di quello che negli Usa è già stato battezzato «Cable-gate». Wikileaks è diventata l’icona globale di un «giornalismo delle chiavette Usb», dove a passare di mano dalle fonti alle redazioni non sono più pacchi di documenti cartacei, ma piccole schede di memoria capaci di contenere in un paio di centimetri anni di corrispondenze tra ambasciate e Dipartimento di Stato. Assange stavolta aveva fatto consegnare le preziose chiavette a quattro testate: il britannico «Guardian», il francese «Le Monde», il tedesco «Der Spiegel» e lo spagnolo «El País». A guidare il gruppo sono stati gli inglesi: il responsabile del team investigativo del «Guardian», David Leigh, ha messo le mani sui 250 mila documenti già lo scorso agosto, ed è stato lui a passarli ai colleghi di Manhattan. Ieri l’esperto di media Michael Calderone ha svelato la vicenda e Keller non ha potuto che ammetterlo. Ancora una volta, come già era accaduto con i documenti militari diffusi nei mesi scorsi da Wikileaks, ai giornali è toccato il compito di confrontarsi con interrogativi deontologici e logistici di vario genere. E come già in passato, è cominciata la raffica di attacchi alle cinque testate da parte di chi le accusa di essere nelle mani di un hacker senza scrupoli, che diffonde documenti in modo illegale «mettendo a rischio innumerevoli vite umane», come ribadiscono Casa Bianca e Dipartimento di Stato. Sui cinque giornali sono comparsi editoriali per spiegare la decisione di pubblicare e il metodo seguito. Il patto fra i partner e Wikileaks prevede di decidere insieme i tempi e i contenuti della pubblicazione, che andrà avanti per giorni. Sylvie Kauffmann, direttrice di «Le Monde», ha rassicurato i francesi sul fatto che le informazioni non sono state pagate e ha garantito che per settimane le redazioni coinvolte si sono consultate per trovare «un accordo sul modo in cui scegliamo di pubblicare le notizie: quando cancelliamo nomi o dati, è per ragioni di sicurezza e a questo criterio ci conformiamo tutti». Keller ha offerto ai lettori spiegazioni analoghe, dilungandosi nel raccontare come il «NYTimes» abbia scelto di pubblicare solo 100 cablogrammi integrali su 250 mila, informando in anticipo il Dipartimento di Stato e accogliendo le richieste dei collaboratori di Hillary Clinton di cancellare alcuni nomi. Tutte precauzioni da manuale di una qualsiasi facoltà di giornalismo Usa, che però si scontrano con la realtà dell’informazione nell’era digitale: Wikileaks sta pubblicando a disposizione di tutti gli stessi documenti ma in forma integrale, senza alcuna forma di autocensura. Il «Cable-gate» fa così venire al pettine molti nodi dell’informazione «versione 2.0». Wikileaks si è rivolta a istituzioni del giornalismo per ottenere visibilità e far sì che la mole di documenti potesse passare al vaglio di reporter esperti, capaci di dare un senso al loro contenuto. Ma le regole del gioco delle redazioni non sono quelle delle crociate digitali di Assange, ed entrambe le parti coinvolte sono ora sotto attacco.