Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 30 Martedì calendario

Notizie tratte da: Enrico Della Rocca, Autobiografia di un veterano. Ricordi storici e aneddotici (1807-1893), Zanichelli Bologna 1897

Notizie tratte da: Enrico Della Rocca, Autobiografia di un veterano. Ricordi storici e aneddotici (1807-1893), Zanichelli Bologna 1897.

«Per il 1812 dirò che raramente rammento come fra le passeggiate che facevo talvolta coi miei fratelli, accompagnato dal vecchio servitore, la più piacevole fosse per me quella dei viali che dallo sbocco della lunga via di Po, conducevano sui bastioni della cità, passando presso al Ponte Nuovo che, per ordine dell’Imperatore Napoleone, si stava costruendo. Alla costruzione si facevano concorrere molti prigionieri di guerra, la maggior parte Spagnuoli, presi in quella celebre campagna che, iniziata nel 1908, non doveva finire se non con l’impero napoleonico. Erano tenuti nella cittadella di Torino, e dalle autorità militari acompagnati e sorvegliati sui luoghi dei lavori. La loro lingua per la loro rassomiglianza coi nostri dialetti, era abbastanza intesa dalla folla, e attorno ad essi si riuniva molta gente; purché quei capannelli non impedissero ai prigionieri di lavorare, la disciplina non era tanto rigorosa da proibir loro di scambiare qualche parola con i curiosi. Ma più che le parole, premeva ai prigionieri di barattare con pochi soldi le eccellenti sigarette, da essi fatte coi tabacchi provenienti dalla Spagna, della quale v’erano molti amatori» [11-12]

«Nel 1813 […] scuole non ve n’erano, o se ve n’erano, non vi fummo mai mandati. Il babbo c’insegnava a leggere, a scrivere, a far di conto; e un buon prete, verso il quale noi non avevamo sempre la reverenza dovuta, un po’ di latino e ci faceva recitare la dottrina, ossia il catechismo diocesano […] la mamma trovava sempre il tempo per suonare l’arpa, strumento allora di gran moda fra signore e signorine. Mio padre l’accompagnava talvolta sulla spinetta […] Guai allora a chi rompesse il silenzio comandato dalla mamma, o si muovesse dal posto dove era stato collocato, cioè con le spalle al muro, lungo una parete della stanza in cui si trovavano l’arpa e il cembalo […] Quella vita, sottoposta a una specie di disciplina, fu per noi un’eccellente preparazione per il collegio e per la carriera delle armi, alla quale fummo poi tutti destinati. Nessun di noi pensò mai a lagnarsi dei genitori, a giudicarli troppo severi, né a pretendere da loro quelle svenevolezze che vedo ora essere fondamento dell’educazione moderna, e che rendono i giovani intolleranti di ogni educazione» [13]

«Nel 1814 […] Carlo Emanuele IV, che dalla Sardegna aveva protestato nel 1799 contro l’abdicazione impostagli dai Francesi, l’aveva poi volontariamente rinnovata nel 1804 alla morte della moglie Maria Clotilde, sorella dello sfortunato re Luigi XVI di Francia, e s’era ritirato in Roma a vita privata, cedendo i propri diritti al fratello Duca d’Aosta, poi Re Vittorio Emanuele I. La mia fedele memoria ricorda perfettamente tutte le circostanze del ritorno del Re nella sua città di Torino, come poteva vederle un fanciullo di sette anni. Si sapeva che il Re doveva attraversare tutta via di Po, e per vederlo bene ero stato condotto sul terrazzino della contessa Ferrari [spiegazione su chi è in nota], che abitava all’angolo di via di Po e di via delle Gabelle, ora via Carlo Alberto. Di lì vidi passare il Re su un cavallino sardo, con la sua vecchia uniforme del 1798 [qui nota], turchina, coi larghi risvolti rossi, il lungo panciotto, i calzoni bianchi, gli stivaloni fino alle ginocchia, il cappello alla prussiana e la parrucca col codino che gli batteva sulle spalle. Il Re fu accolto con fragorose ed entusiastiche acclamazioni: la folla si gettava tra le zampe del suo cavallo, tutti volevano baciargli le mani, e arrivavano soltanto a baciar gli stivali» [14]

«Cominciammo ad abitare nel palazzo del marchese di Bianzè in via dell’Ospedale, nel quartiere dato a nostro padre dal nonno. Dalle finestre si vedeva l’imboccatura della via degli Ambasciatori, ora via Bogino, all’angolo della quale era il bellissimo palazzo del marchese Taviliano (poi Palazzo San Giorgio, ora Well Weiss), in quell’anno 1814 occupato dal Generale Bubna, comandante le truppe austriache, che aveva preceduto di poco Vittorio Emanuele a Torino» [15-16]

«La Regina, sbarcata a Genova, festeggiata e acclamata dal Municipio e dalla popolazione, fece il solenne ingresso a Torino attorniata dalle quattro figliole: Beatrice, già Duchessa di Modena, moglie di Francesco IV, suo zio [era fratello della Regina – ndr]; le due gemelle, Maria Teresa e Marianna, quindicenni, e la piccola Cristina [recte: Maria Cristina] nata nel 1812 [la futura madre di Franceschiello che morì mettendolo al mondo]. Quindici giovinette appartenenti alle prime famiglie dell’aristocrazia piemontese erano andate ad aspettarla sul nuovo ponte, con mazzi e paniere di fiori. Rammento benissimo di aver visto a casa, non so se prima o dopo la cerimonia, mia sorella Luisa tutta vestita di bianco come le sue quattordici compagne» [18-19]

«La Regina Maria Teresa […] era accusata di alterezza, di durezza, di nessuna condiscendenza pei cambiamenti avvenuti durante l’esilio dei Principi, e di abusare del suo grande ascendente sul marito, per tenerlo in una vita di favoritismo e di repressione» [18]

«Vittorio Emanuele I aveva chiamato a sé il giovane Principe Carlo Alberto di Carignano, erede presuntivo della Corono [in nota genealogia] nel caso che la Regina Maria Teresa, o la Duchessa del Genevese [Maria Cristina, poi madre di Franceschiello] non avessero avuto eredi maschi. Egli aveva 17 anni, ed era sottotenente nell’esercito francese, di guarnigione a Bourges, quando Vittorio Emanuele lo chiamò, e, ben inteso, gli fece deporre l’uniforme straniera. Alto, snello, bellissimo della persona, d’umor gioviale e brioso, affatto sconosciuto ancora la vigilia del suo arrivo, divenne argomento di tutte le conversazioni e punto di mira di tutti gli sguardi, e anche di molte ambizioni, quando si seppe il grandissimo favore che aveva incontrato presso il Re» [19]

Non avrebbe voluto sposare una figlia di Vittorio Emanuele I per non avere come suocera Maria Teresa. Difesa di Maria Teresa da parte dell’autore [19-20]

Episodio del gambero, di Cavour che non vuole fare il paggio in [21]. L’uniforme di paggio («dico uniforme per non dire livrea») «era dunque di panno scarlatto, ricamato d’argento; le calze di seta bianca con le scarpe a fibbia; sotto il braccio o in capo, secondo l’occasione, avevamo un cappello nero a feluca. Le nostre funzioni consistevano nell’accompagnare i Principi e le Principesse nelle cerimonie di gala, in chiesa, al teatro, ai balli, per le scale, ai lati della carrozza, reggere il manto e porger loro i rinfreschi. Il Principe di Carignano si dimostrò sempre molto gentile con noi; era allora brioso, allegrissimo, parlava volentieri, talvolta in modo sarcastico, un pochino mordace; credo che di quando in quando non gli mancasse il desiderio di fare il chiasso con noi.Prendeva i più piccini tra le sue lunghe gambe e accarezzandoci, interrogandoci, finiva quasi sempre col metterci in tasca alcune chicche, o darci qualche gingillo o cartoccio di dolci da portare a casa». Carlo Alberto mette a disposizione dei ragazzi la sua cavallerizza [21]

Vita all’Accademia militare, esercizi, uniformi, costi, eccetera [22-23]

Carlo Alberto nel 1817 «vide l’arciduchessa Maria Teresa, gli piacquero i suoi capelli biondi, la sua gioventù, la sua bellissima carnagione, e da qualche parola di lei, cortese e dignitosa, s’immaginò che avesse molto spirito e risolse di farla sua. La sposò a Firenze nel settembre 1817 a l’accompagnò in Torino ai primi di ottobre». Incontro con «noi paggi» al Castello del Valentino, «ora è compreso nella città» (descrizione del sito) [24]

Carlo Felice tormenta Carlo Alberto finché non si stabilisce che gli onori tributati agli sposi sono in realtà dovuti a lei e non a lui. Odio di Carlo Felice e di Maria Teresa moglie di Vittorio Emanuele I per Carlo Alberto [25 e seguenti]

«Quando ministro della Guerra nel 1849, in pieno Parlamento, fui vivamente trattenuto dal mio vicino, il Ministro Pinelli, a danno della mia tunica, per essermi alzato e incamminato coi pugni chiusi contro un deputato che sparlava dell’esercito pronunziando la parola tradimento» [28, e altri episodi in 27-29 sul suo preteso cattivo carattere].

Gli ufficiali che poi cospirarono nel ’21, «malcontenti perché la restaurazione aveva tolto un grado a tutti coloro che avevano combattuto nell’esercito napoleonico» [29]

Nascita di Vittorio Emanuele II in [29-30]

«Per essere sincero, dirò subito che sull’istruzione dataci all’Accademia la parte letteraria era affatto insufficiente, e che le lezioni di lingua e di letteratura francese dell’abate Freyset (Freiset), e quelle di lettere italiane del prof. Antonio Maria Robiola non bastarono certo a far diventare valenti scrittori nemmeno quelli che, come Camillo Cavour, erano dotati di attitudini particolari per ogni cosa e avrebbero potuto segnalarsi in letteratura» [31]

Vittorio Emanuele I scherza con i giovani [34]

Carlo Emanuele il Grande «quel duca che disse essere l’Italia un carciofo che i Principi Sabaudi dovevano mangiare foglia per foglia» (Savoia) [41]

«Il milanese Berchet, molto violento nelle sue espressioni contro il Carignano» [43]

Il 1821 in [43-51]. «Le parole dure, ma non ingiuste, dirette da Maria Teresa ai ministri della guerra e della polizia che avevano lasciato arrivare le cose a tal punto» [47] «Il nostro soggiorno a Superga non fu spiacevole; facemmo alcune belle passeggiate nei dintorni di Torino; ricordo fra le altre quella di Santena, dove ci aveva invitati il marchese di Cavour, padre di Camillo nostro compagno. Ci ricevette in casa e ci diede una buona merenda, dopo la quale tornammo a Superga tutti allegri, ignari dei tristi pensieri che in quei giorni turbavano la mente e il cuore di molti» [51]

Strada per Torino dalle spiagge della Liguria (Savona): «Cairo, Acqui, Alba, Costigliole d’Asti» [54]

Il San Marzano, già condannato a morte per i fatti del ’21, venne di nascosto a Torino e fu visto dal capo della polizia che ne prevenne Carlo Felice. Il quale però rispose: «Ma che cosa dice mai? Il S. Marzano a Torino! Egli è stato impiccato [in effigie – ndr] e un impiccato non si muove più» [54-55 nota].

«Ho dimenticato di dire che, arrivando a Pinerolo, avevamo accettato una sfida al giuoco del pallone, e che parecchi di noi rimasero vincitori dei giovani caporioni della società che ci aveva invitati» [56]*

• Scansiona da 57 «Nel riordinare l’esercito» fino a 59 «ciò che aveva ceduto»

Morto Vittorio Emanuele I a Moncalieri (gennaio 1824) Carlo Felice permise a Carlo Alberto di venirlo a trovare a Torino, però lo fece entrare in città di notte eccetera [61]

• Scansiona da 62 «S’era fatto più bello» fino a 64 «nel 1833».

Resoconto sulle campagne geodetiche e le gran camminate da 65 in poi

Il Petitti, intendente di Cuneo, «persona molto allegra e di spirito briosissimo», incontrato a Valdieri nel 1830 dove scriveva scherzi sui bagnanti che poi leggeva ad alta voce di sera. Richiamato a Cuneo per la rivoluzione di luglio [75]

* Era sicuramente il pallone elastico (o gioco del pallone, appunto), diffuso tuttora in Piemonte. Da qualche anno si chiama pallapugno. Ci si fascia la mano e si manda dall’altra parte (Massimo Perrone)