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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Massimo Fini, Senz’anima. Italia 1980-2010, Chiarelettere 2010, pp. 496, 15 euro

Notizie tratte da: Massimo Fini, Senz’anima. Italia 1980-2010, Chiarelettere 2010, pp. 496, 15 euro.

[Su Frammenti scheda numero1388808]

«Un giornalista ignobile che scrive cose ignobili» (Bettino Craxi parlando di Massimo Fini) (L’Indipendente 11 maggio 1992).

«Un paio di anni fa, aggirandomi sotto i portici di finto mattone di Milano Due, il quartiere costruito da Berlusconi a est della città, spinsi la porta a vetri di quello che mi sembrava un negozio e mi trovai in un locale che, lì per lì, non capii se fosse una cucina, una gelateria o una saletta di confidenze. Una trentina di sedie trasparenti, di plexiglas, erano allineate con ordine davanti a un tavolo. Nel corridoio, fra le sedie, c’era un carrello a tre piani, di quelli che, solitamente, si usano per servire liquori. In un angolo delle pareti, bianche e disadorne, una credenza o qualcosa del genere. Non so da cosa mi resi conto, forse da un crocefisso, che quella era una chiesa, la chiesa di Milano Due» (Il Giorno, 15 gennaio 1983).

I bar di Milano Due, sempre vuoti perché durante la settimana la gente va a lavorare a Milano e il week end va fuori (ibidem).

Non si fanno funerali a Milano Due: «In un posto del genere la morte è messa al bando. Non che non si muoia, nonostante le autorevoli protezioni si muore anche a Milano Due. Ma la morte è ignorata, rimossa, scomunicata» (ibidem).

Milano Due è piena di cani: «Abito a Milano Due, c’è il verde e quindi, perdio, mi porto almeno a spasso il cane. Se ne vedono di tutte le forme e le specie purché di razza e con un appropriato pedigree: basset-hound, pastori tedeschi, yorkshire, terrier, levrieri afgani, dobermann, cocherini color whisky. Un bastardo a Milano Due è raro come un povero» (ibidem).

«Io non appartengo né a mafia, né a lobbies, né a clan, né a partiti, né ad alcuna delle tante P2 che si sono via via costituite in questo paese, ma tremo all’idea di essere un giorno giudicato, invece, da un tribunale della Repubblica italiana, per quanto sgangherato esso sia, dalla società dello spettacolo dei Maurizio Costanzo e dei Michele Santoro» (L’Europeo, 11 ottobre 1991).

Quando Telemontecarlo mandò in onda un’esecuzione capitale, riprendendo il momento in cui il condannato esalava l’ultimo respiro. «Da sempre il momento dell’estrema agonia e della morte è un tabù invalicabile. I cervi vanno a morire nel folto della foresta, lontano dagli occhi del branco. Fra gli eschimesi l’anziano della famiglia una sera, finita la cena, guarda negli occhi, in silenzio e per l’ultima volta, gli astanti e poi esce solo nella notte polare» (L’Europeo, 14 febbraio 1992).

«E io penso seriamente che, almeno per qualche anno, dovremmo adottare la soluzione del mullah Omar che fece distruggere materialmente gli apparecchi tv. Forse in Afghanistan quella misura è stata eccessiva, da noi sta diventando necessaria» (Il Gazzettino, 21 gennaio 2010).

I funerali di Fausto Coppi, seguiti da un’enorme folla di estrazione popolare. Tutti vestiti modestamente, composti e dignitosi. Nessun applauso ad accogliere la bara all’uscita dalla chiesa (Il Gazzettino, 16 maggio 2008).

«Li chiamano “non vedenti”, “audiolesi”, “motulesi”, “diversamente abili”, “terza età”, ma in realtà sono ciechi, sordi, mutilati, handicappati, vecchi. E anche questo è un segno di decadenza» (Quotidiano Nazionale, 15 gennaio 2009).

La storia d’Italia repubblicana si può dividere in due parti: una, positiva, che va fino al 1968 e una, negativa, in costante degenerazione, che da allora arriva fino ai giorni nostri. «Quella dei Cinquanta era l’Italia semplice, povera e felice, della ricostruzione, che guardava al futuro con grandi speranze. Ci scazzottavamo allegramente, fumavamo senza pensarci, eravamo vitali, il terrorismo diagnostico come quello della P38 era di là da venire. La vita andava vissuta. [...] Col ’68 cambia tutto. Gli anni dell’autunno caldo, di Annarumma, di piazza Fontana, dell’assassinio del commissario Calabresi, del terrorismo rosso, delle stragi. Una cupezza, non solo ideologica, ci è penetrata nelle ossa» (Il Gazzettino, 4 giugno 2004).

«Vorrei essere un talebano, avere valori fortissimi che santificano il sacrificio della vita, propria e altrui. Vorrei essere, per lo stesso motivo, un kamikaze islamico. Vorrei essere un afghano, un iracheno, un ceceno, che si batte per la libertà del proprio paese dall’occupante, arrogante e stupido. Avrei voluto essere un bolscevico, un fascista, un nazista che credeva in quello che faceva. O un ebreo che, nel lager, che lottava con tutte le sue forze interiori per rimanere un uomo» (Libero, 31 maggio 2007).

«Basta, per Dio! Questa è immoralità, non la sopporteremo più!» (Caludio Martelli al congresso del Psi del 1987) (L’Europeo, 25 aprile 1987).

Nel 1987 su 734 amministratori pubblici inquisiti, 425 erano dc, 159 pci, 201 psi. Il Psi all’epoca aveva un terzo dei voti della Dc e la metà degli inquisiti. I condannati poi erano 44 dc e 32 psi (L’Europeo, 25 aprile 1987).

«Che titolo ha il Psi per dirsi ancora “socialista” quando oggi si presenta come il partito degli emergenti, dei vincenti, dei rampanti, degli yuppy e dei preppy? Quando nell’antropologia dei suoi militanti conta, oltre alla sterminata schiera dei beneficiati e dei profittatori di regime, molti più imprenditori, banchieri, finanzieri, baroni universitari, stilisti, visagisti, damazze, duchesse, giornalisti di successo, che gente qualunque?» (L’Europeo, 7 luglio 1989).

Eugenio Scalfari, che dalle colonne di Repubblica del 1° dicembre 1991 lanciò la proposta di una Lega Nazionale. Sarebbe stata formata dalla «maggioranza sommersa. [...] Basta che si manifesti, richiamandosi all’onestà, alla competenza, alla riforma, alla cultura [...] Poiché la maggioranza attuale non è credibile e un’opposizione non c’è, è venuto il tempo che la società civile rivendichi il suo ruolo di protagonista» (L’Europeo, 13 dicembre 1991).

«Qualcun’altro ha preceduto Scalfari. Si chiama Umberto Bossi. È Bossi che ha organizzato un movimento “con una moralità nuova, con gente credibile e non compromessa”. La maggioranza sommersa – forse Scalfari non se n’è accorto – è già emersa da tempo e si chiama Lega. Che poi Bossi abbia capacità di governo è tutto da verificare». (ibidem)

L’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Alberto Trivulzio, definito da Craxi «un mariuolo». Il vicepresidente della Regione Lombardia Ugo Finetti chiese: «Ma che cosa dovremmo fare? Creare dei servizi segreti dentro il partito?». Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia, parlò scherzando di Tangentomania. Craxi minacciò: «Se cercano di colpire me e la mia famiglia... racconterò per filo e per segno cos’è davvero il finanziamento dei partiti» (L’Europeo, 6 marzo 1992; L’Indipendente, 8 maggio 1992).

Mario Chiesa, che era stato anche vicepresidente dell’ospedale Sacco. Nel libro Di Marcella Andreoli, Andavamo in piazza Duomo, racconta come non ci fosse assunzione, dal portantino all’infermiere al medico all’impiegato che non fosse «politicamente mirata», che non dipendesse da ragioni clientelari. «Diventi primario non perché sei un luminare, ma perché potrai garantire voti al momento buono» (L’Europeo, 30 aprile 1993).

Quando, nell’aprile 1992, Bruno Vespa, allora direttore del Tg1, ammise: «Il mio editore di riferimento è la Dc». Scandalo generale. Vincenzo Vita, responsabile informazione del Pds: «È un’ammissione di subalternità che non può lasciare inerti e indifferenti gli organismi preposti alla gestione Rai». Il direttore del Tg3 Sandro Curzi: «Quello che ha affermato Vespa è molto grave... Così si sanziona la campagna denigratoria fatta in questi anni contro la Rai». Miriam Mafai su Repubblica parlò di «estrema forma di arroganza».

Massimo Fini: «È sempre così in Italia: quando uno dice la verità va subito punito. Invece Vespa non deve essere punito perché ha detto la verità, ma perché è vero quello che ha detto. Ma con lui vanno cacciati Pedullà, Pasquarelli, giù giù fino ai colleghi di Vespa, Alberto La Volpe, direttore del Tg2, socialista, e Sandro Curzi, direttore del Tg3, comunista» (L’Indipendente, 11 aprile 1992).

«Caro Craxi, sono socialista da quando ho l’età della ragione. E lo rimango. [...] Oggi in Italia “socialista” è un brutta parola perché è diventata sinonimo di ladro, di concussore, di ricattatore, di clanista, di clientelare, di mafioso. Così vengono visti oggi quei socialisti di cui, negli anni Cinquanta, la borghesia, con un misto di timore e di rispetto, diceva “massimalisti, pericolosi ma onesti”, così proprio tu [Craxi, ndr], che ne fosti l’allievo prediletto, hai dilapidato l’eredità morale di Pietro Nenni che terminò i suoi settant’anni di carriera politica avendo come tutto premio una modesta villetta a Formia. Peccato. Avete sprecato la vostra parte. Andate nella pattumiera della Storia» (L’Indipendente, 30 aprile 1992).

Alcune proposte per eliminare il fenomeno delle tangenti in piena Mani pulite: un numero verde contro le mazzette (Confindustria), «rinnovare moralmente le coscienze» (cardinal Martini), abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (Psi) ecc. (L’Europeo, 22 maggio 1992).

«Bettino Craxi sta diventando un uomo ridicolo. È la sorte dei prepotenti e degli arroganti quando pretendono di continuare a comportarsi come tali anche se non ne hanno più la forza» (L’Europeo, 11 settembre 1992).

I politici socialisti milanesi arrestati o inquisiti per Mani pulite: Manzi, Parini, Carriera, Chiesa, Finetti, Tognoli ecc. «Tutta gente che non ha alle spalle un mestiere, una professione, che non ha mai lavorato in vita sua. [...] Anche i loro piaceri sono mediocri. Hanno rubato per poter pranzare al Savini, per farsi la villetta in campagna o al mare, quasi sempre di gusto atroce, per trarre qualche puttana» (L’Indipendente, 11 febbraio 1993).

«Se non ci fosse stata Mani pulite Berlusconi politico non esisterebbe e Fini viaggerebbe ancora intorno al 7 per cento (L’Indipendente, 1 e 10 aprile 1995).

Le prime liste di proscrizione furono fatte nell’82 a. C. da Lucio Cornelio Silla (L’Indipendente, 13 aprile 1995).

Quando Vittorio Feltri ne assunse la direzione nel marzo 1992, l’Indipendente vendeva 19.500 copie. Nell’autunno 1993 era passato a olter 100mila. «Si erano trovati insieme, per caso, quattro uomini molto diversi tra loro: Vittorio Feltri, il suo formidabile secondo Maurizio Belpietro, il giovane editore Andrea Zanussi e io» (L’Europeo, 12 ottobre 1994).

Titolo in prima pagina del giornale di Vittorio Feltri il giorno dopo il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi: «Indagati Borrelli, D’Ambrosio, Colombo e Davigo». Nel sommario: «Immediata risposta del pool, chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi» (L’Indipendente, 23 maggio 1995)

La telefonata tra Alessandra, figlia di Lorenzo Necci, amministratore delegato delle Ferrovie, e il banchiere Pierfrancesco Picini Battaglia. Lei, 26 anni, ha un piccolo scoperto in banca e chiede aiuto al finanziere che le fa subito avere un contratto di consulenza (fasulla) per una società di Dubai come rappresentante per l’Italia e per la Francia. «Quanto ti ci metto per compenso?» chiede Pacini Battaglia «Non so, non lo so quanto si dà per compenso», risponde lei. «Quanto mi dici te. Ti ci metto 100mila franchi, che sarebbero un 130 milioni... o 100mila dollari che è meglio... e sono circa 154 milioni». Lei non è del tutto soddisfatta: «Ma io voglio anche lavorare sul serio, perché mi annoio...» (Il Giorno, 19 maggio 1996).

I giovani comunisti degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta: «Con quella loro aria di giovinezza austera, i capelli corti, i visi puliti e seri, le letture solide e marxiste. Che anche quando uscivano con la ragazza o bevevano un bicchiere di vino lo facevano come un atto di militanza (la ragazza doveva essere una “compagna” e il vino, robusto, proletario, non pregiato, un barbera, un cancarone, andava bevuto in qualche spaccio tenuto da comunisti» (Il Giorno 14 luglio 1998).

«Forza Italia è stata votata tanto dagli imprenditori che dagli operai, dai ricchi del Nord come dai poveri del Sud, dai lavoratori a reddito fisso e da quelli autonomi. A differenza del Pds, di Allenaza Nazionale, della Lega, Berlusconi è veramente e totalmente trasversale. [....] Se Occhetto avesse avuto le tre reti Fininvest (del resto aveva quelle Rai e una buona parte della stampa) non avrebbe vinto lo stesso: perché non è un personaggio che fa sognare. Berlusconi ha vinto perché è il personaggio di una telenovela, l’interprete moderno dell’antica favola dall’ago al milione» (L’Europeo, 13 aprile 1994).

«Non capisco perché a San Siro debbano entrare anche i tifosi delle altre squadre togliendo posto ai nostri» (Berlusconi).

«In non ho mai pensato che Berlusconi fosse in malafede. Non ho mai pensato che sia “sceso in campo” per difendere i suoi interessi. Il Cavaliere è entrato in politica perché è convinto davvero di essere il salvatore della patria chiamato ad alti destini» (L’Indipendente, 28 aprile 1995).

Francesco Cossiga, che negli ultimi due anni del suo settenato al Quirinale si mise a insultare gli uomini politici, e non, con cui aveva vecchie ruggini: «piccolo uomo e traditore» (il dc Onorato), «cappone» (il dc Galloni), «zombie con i baffi» (il pds Occhetto), «poveretto» (il dc Flamigni), «analfabeta di ritorno» (il dc Zolla), «piccolo scemo» (il dc Cabras), «cialtrone e gran figlio di puttana» (Wallis, caporedattore della Reuter) ecc.

La telefonata che Cossiga fece a Miglio il 26 maggio 1990, poco dopo le elezioni che videro il boom della Lega: «Rovinerò Bossi facendogli trovare la sua automobile imbottita di droga. E quanto ai cittadini che votano per la Lega li farò pentire: nelle località che più simpatizzano per il vostro movimento aumenteremo gli agenti della Guardia di finanza» (da Io, Bossi e la Lega di Gianfranco Miglio). (Giudizio Universale, maggio 2005)

Stroncature:

Francesco Cossiga: «Narciso patologico, pieno di sé, ogni cosa riferisce a sé e ama agghindare la sua vita di leggende, come quella che durante le elezioni del 1948 se ne stava nella sezione Dc di Sassari “armato di mitra Sten e bombe a mano” per prevenire un attacco dei comunisti. Ma alla visita di leva è stato ritenuto inidoneo» (Giudizio Universale, maggio 2005).

Giorgio Napolitano: «Gode indubbiamente fama di uomo “autorevole”. Non è però una qualche sua specifica caratteristica a renderlo tale, ma solo il fatto che è lì da sempre. [...] È sempre stato un suppellettile del comunismo italiano. [...] Lo si notava solo per una certa, e imbarazzante, somiglianza con Umberto di Savoia, di cui qualcuno addirittura insinua sia un figlio naturale. Ma questa è una malignità gratuita. A danno del re» (Giudizio Universale, giugno 2006).

Giorgio Napolitano/2: «È neutro, amorfo, anonimo, grigio come i suoi abiti. È un uomo senza qualità. La sua unica qualità è di non averne alcuna» (ibidem).

Renato Schifani: «Nel Canton Ticino lo definirebbero un “nercio” che è il termine che si usa da quelle parti per un anellide più molliccio, smidollato e ripugnante di un normale verme» (Giudizio Universale, giugno 2009).

Giuliano Amato: «Uno Svicolone nato, come il pavido leone di un famoso cartoon. Ma più che a un leone, per quanto imbelle, somiglia a un’anguilla. I suoi ragionamenti sono così sottili, ma così sottili da essere prudentemente impalpabili e quasi invisibili» (Giudizio Universale, gennaio 2007).

Giuliano Amato/2: «Esilaranti i suoi rapporti con il lìder màximo del Psi come lui stesso li ha raccontati in un’intervista, a Craxi morto. Quando Amato era d’accordo col Capo esprimeva il suo incondizionato assenso, quando non lo era restava muto» (Giudizio Universale, gennaio 2007).

Emma Bonino: «La rompicazzi radicale» (Giudizio Universale, agosto 2006).

Sandro Bondi: «Un caso clinico» (Giudizio Universale, ottobre 2007)

Fabrizio Cicchitto «Un caso cinico» (ibidem).

Eugenio Scalfari: «Prototipo assoluto del radical-chic, con cuore a sinistra ma portafoglio ben sistemato a destra, e ostentato calzino lungo color panna come massimo dell’eleganza mentre lo è del kitsch» (Giudizio Universale, maggio 2007).

Bruno Vespa: «È come il Corriere della Sera. Governativo per vocazione, istituzionale per calcolo, cerchiobottista per opportunismo, senza esser equidistante, mellifluo per temperamento» (Giudizio Universale, aprile 2006).

Michele Santoro: «Un uomo dalla volgarità innata che si ostina a indossare abiti firmati che, antropologicamente, non gli appartengono» (Giudizio Universale, giugno 2007).

Roberto Benigni: «Chi lo conosce bene lo descrive come un uomo triste, poco sereno, pieno di nevrosi, infelice. Probabilmente si rende conto di aver venduto il suo straordinario talento naturale o comunque di non averlo sviluppato come poteva» (Giudizio Universale, marzo 2008).

Mina: «Non stupisce affatto che nel covo di Bernardo Provenzano sia stata trovata l’intera collezione dei suoi dischi. È tipico dei mafiosi sciogliere di giorno i bambini nell’acido e di notte, al night, sdilinquirsi fino alle lacrime sulle note di Frank Sinatra o, appunto, Mina» (Giudizio Universale, febbraio 2007).

Angelo Panebianco: «Il Catalogo dei viventi (2006, nda), di prossima pubblicazione presso Marsilio, che prende in considerazione migliaia di italiani più o meno noti, gli dedica cinque righe (forse i curatori erano incerti su “vivente”)» (Giudizio Universale, ottobre 2006).