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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

CON UNA DONNA INIZIO’ LA FINE DEGLI DEI

La Valchiria è il centro metafisico dell’Anello del Nibelungo, la Tetralogia di Wagner.
Per poter comprenderne la profondità, alla quale sfondo epico e minutissima analisi psicologica dona la musica colla sua costruzione motivico-contrappuntistica, occorre rifarsi al Prologo delle tre Giornate: quivi vengono posti i temi e i simboli principali dell’intera opera.
Nel fondo del Reno giace l’Oro, custodito dalle Ondine: il suo possesso assicurerebbe il dominio universale. Il nano Alberico s’immerge nell’acqua e apprende dalle innocenti creature la condizione per impadronirsene: inumana, orrenda: ma Alberico vi adempie: giura solennemente di rinunciare all’Amore. Si forgia un Anello, che tale dominio universale sintetizza; un elmo, capace di trasformare chi lo indossi in qualsiasi cosa; e costituisce una truce officina per lavorare l’Oro, schiavi i suoi fratelli di razza.
Dell’ordinamento del cosmo fa parte un’altra razza, per principio nemica di quella, gli dèi luminosi. Il loro principe, Wotan, stabilisce di dar loro un ordine e una dimora fissa, facendo costruire ai Giganti, i fratelli Fasolt e Fafner, un’immensa rocca, il Walhall. Le regole dell’ordinamento vengono incise in rune, simboli magici, sulla stessa lancia di Wotan. I Giganti andranno pur ricompensati: essi richiedono venga loro consegnata Freia, la dea dell’eterna giovinezza. Di fronte al rifiuto, si giunge a un accomodamento: il prezzo sarà: Oro! Wotan discende nell’antro dei Nani e con l’inganno cattura Alberico, che ha l’Anello al dito. Lo conduce in superficie e gli ordina di far portare una massa d’oro tale da ricoprire del tutto la figura di Freia. Un minimo interstizio nella massa lascia ancora rilucere l’occhio di lei: Alberico deve privarsi anche dell’Anello. A questo punto, egli pronuncia su di esso la più tremenda delle maledizioni: e infatti, immediatamente dopo, nella contesa per l’Anello, Fasolt viene ucciso da Fafner. Si squarcia la terra e appare Erda: la sapiente, ravvolta in un sonno di veggenza e saggezza, l’arcaica, l’oscura. Ella ammonisce Wotan dal pericolo dell’Anello: sia esso restituito alle figlie del Reno. Una grandiosa pagina sinfonica, simboleggiante l’arcobaleno sul quale gli dèi dalla terra salgono al Walhall, chiude il Prologo. Tra di esso e la prima Giornata, La Valchi
ria, sono numerosi eventi che sparsamente apprendiamo dai dialoghi e che conviene narrar qui tutti insieme. Wotan crea una nuova razza, gli Uomini, che si moltiplicano e occupano la terra. Scende nel profondo e possiede Erda nove volte: ne nascono nove vergini guerriere. Su cavalli alati, esse percorrono incessantemente la terra per far incetta di eroi morti in combattimento, che saranno portati al Walhall, risuscitati e tenuti in serbo fra onori e letizie fino al giorno dello scontro supremo. Esso verrà quando le nere schiere di Alberico daranno l’assalto al Walhall. Alberico ha maledetto l’amore, ma ben può concepire un figlio corrompendo una donna colla potenza dell’oro: questo fa con la regina Crimilde, e il figlio dell’odio, Hagen, giganteggerà nel Crepuscolo degli dèi.
Wotan nutre uno scopo segreto, ma poiché la narrazione di esso costituisce uno dei momenti chiave della Valchiria, non l’anticiperemo qui. Intanto percorre le selve col soprannome di «Lupo», e una donna (la «Lupa», che non appare in scena) gli partorisce una coppia di gemelli, un maschio e una femmina coi quali convive in una capanna addestrando il maschio alle feroci cacce boschive. Un giorno il maschio torna alla capanna e la trova vuota di tutto fuorché di una pelle di lupo: l’orchestra enuncia il motivo del Walhall. Sieglinde, la femmina, viene soggetta a non volute nozze con un rozzo e possente umano di nome Hunding. La casa di lui è costruita intorno a un gigantesco tronco di frassino. Un giorno, festeggiandosi lì un matrimonio dell’etnia di Hunding, ci narra Sieglinde, un poderoso vecchio con un occhio velato entrò e, tacito, infisse fino all’elsa nel frassino una spada. Nessuno degli uomini fu capace di estrarla.
Il maschio dei gemelli, che assumerà il nome di Siegmund solo alla fine del I atto, erra avventurosamente, solo. Si trova in mezzo ad una zuffa parentale dell’etnia di Hunding, uccide due fratelli, resta senza scudo e colla spada spezzata e, sotto un furioso temporale, fugge inseguito dai membri dell’etnia. Spossato, assetato, disarmato, ogni forza gli vien meno. Scorge una casa, vi penetra e vi giace esausto. Il culmine del temporale coincide con l’inizio stesso della Valchiria.
Sieglinde accorre e lo soccorre. Immediatamente i due sentono un’invincibile attrazione reciproca che Wagner distilla a goccia a goccia nella sua insuperabile psicologia. L’attrazione è carnale e spirituale, e noi assisteremo al fatto che, sviluppandosi il dialogo, l’apprender essi il loro vincolo fraterno la rende ancor più forte, fa sentire i gemelli esseri privilegiati ai quali tutto il mondo è estraneo.
Giunge Hunding. Non sa chi sia l’uomo. Le leggi dell’ospitalità sono sacre. Si siede a tavola con Siegmund e gli chiede di narrargli il suo nome e la sua storia. Siegmund non sa ancora di essere destinato a chiamarsi così, ed elenca nomi, sia pur al condizionale, con radicali di tristezza e maledizione. Col proseguir del racconto, Hunding lo riconosce: è l’uomo che egli e i suoi inseguono da una giornata. Terribile, gli dice: sorto il giorno, veda di procurarsi un’arma ché lui, Hunding, l’assalirà a duello. Ordina a Sieglinde di portargli la sua tisana notturna: ignaro ch’essa sia stata drogata dalla donna, la beve e si chiude in camera. Il fuoco si spegne. Tizzoni proiettano un raggio sull’elsa della spada. L’eroe ricorda che il padre Lupo gli aveva promesso che, nel momento dell’estrema distretta, gli avrebbe fatto trovare una spada invincibile solo a lui destinata. L’eroe infatti la estrae dal frassino. I gemelli restan soli. La porta si spalanca: la tempesta è cessata e sotto i raggi d’una potente luna irrompe col suo tepore la primavera. Qui Siegmund assume il suo nome e canta uno dei più bei Lieder d’amore mai scritti.
I gemelli si congiungono. All’inizio del II atto, Wotan convoca la prediletta fra le Valchirie, Brunilde, e le ordina di assistere in battaglia Siegmund. Ma sopraggiunge, carica d’odio, sul carro alato tratto da due arieti, Fricka, la sposa legittima di Wotan. Hunding, suo devoto, le si è rivolto per chiederle vendetta. Ella affronta con Wotan una contesa dialettica: avere i gemelli violato le nozze e commesso incesto, averlo fatto per preordinamento di Wotan stesso che dei due è padre e li protegge, aver con ciò Wotan disobbedito alla sacertà dei patti incisi con rune sulla sua lancia, doverle il dio la vita di Siegmund. E il dio, «involto nella sua stessa tela», poco ha da opporle: la rimanda carica delle desiderate promesse. A questo punto giunge il centro metafisico di tutta la Tetralogia, il lungo e capitale monologo di Wotan. Egli è consapevole che la sola salvezza per gli dèi risieda nella restituzione dell’Anello alle Figlie del Reno: ma l’Anello è in possesso di Fafner, che giace in una caverna mutato in drago, e Wotan non può combattere con chi gli fu legato dai patti: onde gli occorre un eroe che, in
libertà incondizionata, compia il piano di salvezza. Questi non può esser Siegmund, che tale libertà incondizionata non possiede, ma qualcuno che sia indipendente da Wotan, che persino agisca contro di lui. Ed ecco Wotan, impotente, precipitato nell’abisso del dolore, «servo di tutti i servi».
Richiama Brunilde: e le impone di donare la vittoria a Hunding. Sconcertata e non meno addolorata la Valchiria si volge verso il luogo dello scontro. Siegmund e Sieglinde fuggono, ma il gemello fida nella Spada. La sorella sviene. A quel punto, e nel dialogo che sarà avvolto dai più arcani temi della Tetralogia, Brunilde appare al guerriero. Quando un uomo può coi propri occhi vedere una Valchiria, è già consacrato alla morte. Brunilde gli annuncia che perirà sotto la spada di Hunding e che rivivrà nella perfetta felicità del Walhall, ricongiunto al Padre. All’apprendere che della schiera non farà parte Sieglinde, Siegmund rifiuta l’offerta: preferisce discendere nel gelido regno dei morti ma non separarsi da lei. Una così violenta commozione vince Brunilde da indurla a rovesciare le sorti: e gli promette gioiosa la vittoria. Il duello ha luogo: la Valchiria copre Siegmund col suo scudo ma da un fulmine scaturisce Wotan che con la lancia spezza la spada di Siegmund così colpito al cuore da Hunding. Con disprezzo il dio lo rimanda dalla sua Fric k a : pronuncia sommesso due volte « Geh’ » («Va’») e questi cade morto. Brunilde è già fuggita dopo aver raccolto i frammenti della spada ed aver posto Sieglinde in sella. La insegue il castigo del dio.
Il III atto si inizia col celeberrimo brano sinfonico-vocale denominato la «cavalcata delle Valchirie». Sui loro cavalli alati le vergini guerriere fan ritorno al Walhall ciascuna col cadavere d’un eroe in groppa. Manca Brunilde: eccola giungere a volo velocissimo recante una donna. Implora le sorelle di proteggerla dall’ira del Padre, ma queste troppo la temono: nessuna porterà Sieglinde nella zona ove, risiedendo Fafner, Wotan non s’accosta. E Sieglinde vuole solo la morte, subitanea. Ma altrettanto subitanea chiede la vita quando Brunilde le rivela nutrir essa in seno un Velso, che sarà il più sublime degli eroi. E così la debole, stanca sorella, s’avvia a piedi, sola, verso le selve che l’accoglieranno sino al più doloroso dei parti: ne sortirà Siegfried.
All’apparizione del furioso Wotan, le Valchirie fanno schermo a Brunilde. La furia del dio è duplice: non solo per aver la figlia prediletta disobbeditogli, ma per il fatto, espresso nel grande monologo, di non posseder una volontà autonoma in grado di comandare incondizionatamente. E Brunilde, agendo come ha agito, ha attuato l’incondizionata volontà di Wotan a onta di quella condizionata espressa nell’ordine di far perire Siegmund. Da questo terribile groviglio scaturisce il dialogo coll’imposizione del castigo: scacciata dall’ordine degli dèi, ella verrà deposta sulla terra avvolta in un sonno magico: il primo uomo che la scorgerà avrà la facoltà di svegliarla e farla sua, donna mortale fra le donne mortali.
È troppo per l’eroina, è troppo per il dio: questi s’intenerisce e cede alla preghiera ch’ella sarà circondata da una gigantesca barriera di fiamme che solo il più forte degli eroi avrà coraggio di affrontare. L’addormenta baciandole gli occhi, la pone dolcemente a giacere, evoca Loge, il dio delle fiamme, per produrre «l’incantesimo del fuoco». La partitura si spegne lentamente su di un luminoso accordo di Mi maggiore, il meglio orchestrato della Storia.
Paolo Isotta