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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

AL DECOLLO LA RIVOLUZIONE FIAT, DAL 3 GENNAIO DUE SOCIETA’ IN BORSA


Fiat svolta e raddoppia. Parte oggi il conto alla rovescia per lo spin off della principale società manifatturiera italiana: se lo scorporo scatterà materialmente il 3 gennaio 2011, già ora sono chiare le linee principali di una rivoluzione che scandirà una delle operazioni industriali più imponenti degli ultimi anni dando vita a due colossi che si chiameranno Fiat e Fiat Industrial. Questa mattina le società riceveranno i due nuovi marchi aziendali, entrambi in rigoroso blu sabaudo, (ma quelli su auto e camion non cambiano) e alle 10 inizierà l’atteso incontro fra l’amministratore delegato Sergio Marchionne e un centinaio di analisti che da tempo attendono di mettere a fuoco i dettagli della suddivisione dell’eredità che Fiat Holding si appresta ad assicurare alle due aziende ”sorelle”.
L’appuntamento, all’indomani dell’annuncio dell’investimento da 1 miliardo di Fiat e Chrysler per il rilancio dello stabilimento di Mirafiori sul quale oggi si aprirà la trattativa sindacale, servirà a Marchionne anche per tastare le attese che si stanno formando attorno all’operazione. Ai collaboratori che gli hanno potuto parlare ha ripetuto una frase chiave pronunciata tempo fa in tv e passata inosservata: «Noi vogliamo investire molto in Italia ma non vogliamo più essere prigionieri dell’Italia». Parole che meglio di altre delineano la svolta industrial-finanziaria ma anche culturale nel quale lo spin off si inquadra: sia Fiat che Fiat Industrial restano italiane ma al tempo stesso si aprono definitivamente al mondo e a nuovi partner. Tanto che l’Economist pochi giorni fa ha apertamente parlato di americanizzazione di Fiat. In realtà, la possibile fusione fra Fiat e Chrysler è solo uno degli scenari all’orizzonte, tant’è vero che Fiat Industrial non è neanche nata e già fioccano le indiscrezioni su possibili accordi nel settore dei camion pesanti fra Iveco e giganti del calibro di Daimler, Volvo Truck o l’americana Agco. Già, ma cosa sarà impacchettato in concreto dentro gli scatoloni delle due nuove Fiat? Il Messaggero (si vedano le tabelle più grandi) è in grado di fornire un primo quadro completo. Fiat - che manterrà i dipendenti dell’attuale holding, l’auto (Fiat Group Automobiles), gran parte dei motori Powertrain, Ferrari, Maserati, la componentistica di Marelli, gli acciai di Teksid e la robotica Comau - si articolerà su 119 stabilimenti e 130 mila dipendenti per un fatturato 2010 stimato in 35 miliardi di euro.
Fiat Industrial, invece, concentrerà le macchine agricole e movimento terra marchiate Cnh (Case/New Holland), i camion Iveco e i grandi motori e i propulsori marini di Powertrain. Il tutto per un fatturato 2010 di circa 20 miliardi assicurato da 61 mila dipendenti distribuiti in 69 fabbriche nel mondo.
Nell’immediato, per gran parte dei 73.698 lavoratori italiani impiegati in 45 siti produttivi cambierà poco: seguiranno il destino già tracciato delle loro società. Diverso è il caso dei lavoratori della Powertrain, uno dei gioielli “inventato” da Marchionne appena arrivò al Lingotto, che produce oltre 3 milioni di propulsori l’anno venduti oltre che a Fiat ad altri 16 costruttori mondiali. In questo caso lo spin off spaccherà la società come una mela (solo sul piano giuridico e finanziario) assegnando poco meno della metà dei 13.133 dipendenti italiani a Fiat Industrial (a partire da quelli delle fabbriche di Foggia, Torino e Pregnana Milanese) mentre i restanti addetti ai motori (Termoli, Pratola Serra, Verrone e ancora Torino) rimarranno nell’orbita auto e quindi in Fiat. Analogo discorso nel resto del mondo dove le sei fabbriche che producono propulsori per camion e trattori seguiranno Fiat Industrial e le cinque legate ai motori di cilindrata più modesta saranno inglobati in Fiat.
Secondo tutti gli analisti l’obiettivo industriale della gigantesca operazione è chiaro: dare più opportunità sia all’auto che a trattori e camion. I vari settori hanno dinamiche diverse. Le macchine per l’agricoltura sono la gallina dalle uovo d’oro per il Lingotto: Cnh sfodera un margine del 6,8% nei primi 9 mesi del 2010. L’auto Fiat invece - che pure ha punte d’eccellenza globale come le fabbriche brasiliane e polacche e la motoristica - procura utili (pochi) quando l’economia tira ma se le cose non vanno annaspa. Gli esperti la definiscono così: una ”piattaforma instabile”. Che forse, nel prossimo biennio, continuerà a bruciare risorse.
Lo spin off di gennaio renderà maggiorenne l’auto del Lingotto che inizierà a camminare sulle sue gambe, aiutata dalle robuste stampelle di una Chrysler in rapido risanamento. Inizia una corsa contro il tempo per salire sul treno della futura ripresa. E sia pure fra mille polemiche, Marchionne ha avviato una ristrutturazione industriale certosina. Non taglia solo i costi, ma sta investendo per ricostruire dalle fondamenta, uno a uno, i principali stabilimenti. E se a fine 2011 chiuderà la fabbrica di Termini Imerese e quella di Imola di Cnh ha già garantito ai plant di Pomigliano e Mirafiori, in Italia, e a quelli in Serbia e Polonia, di poter lavorare su un solo pianale per semplificare la logistica e ottimizzare i costi. Poi da un solo pianale saranno fabbricati vari modelli per le diverse marche del gruppo Fiat/Chrysler. Fra due anni l’Italia esporterà i suv Jeep e gli Usa quelli Maserati. Primi effetti di una Fiat non più chiusa solo nel recinto italiano.