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 2010  novembre 28 Domenica calendario

“QUESTO DI MICHELLE È UN ALTRO CASO RUBY”

Giampiero Mughini, catanese, giornalista, attore, polemista arguto, eretico con propensione ai divorzi improvvisi. Collezioni d’arte, libri, colti anacronismi perché “l’unica cosa che ci salva è la letteratura, anche se oggi l’argomento di conversazione è l’esito della puntata di Porta a Porta”. Conosce Michelle Bonev da quando, anni fa, Carlo Rossella cambiò stravolgendone senso ed emozione una sua recensione su Alberi senza radici, l’esordio librario di Dragomira pubblicato da Mondadori : “Fu la prima volta in vita mia che un mio testo venisse sconciato da un Kapò che aveva l’autorità da direttore. L’episodio mi lasciò un profondo grumo di amarezza”.
Come andò?
Mi telefona Rossella, un signore che ha alternativamente rapporti con Dio e con il demonio e soavemente dice ‘ti ricordi la Bonev?’ dico ‘certo, la ragazza che imposero a Baudo al Festival di Sanremo facendogli rizzare i capelli in testa’. E lui: ‘Ha scritto un libro, vorrei che lo leggessi’
Lei come si comportò?
Leggo fino all’ultima riga, come faccio sempre. Una porcata inenarrabile. Glielo riferisco e Carlo, tranquillo: ‘va bene, fai un articolo spiritoso, valla a trovare”. Vado e mi trovo di fronte a una ragazza gentile, determinata, una che dava l’impressione che sbattendo contro un carrarmato hitleriano lo avrebbe ridotto a brandelli.
Poi cosa accade?
Scrivo un pezzo elegante, passano un paio di giorni e Rossella si manifesta: ‘sai, ho modificato un po’ l’articolo’. Rimasi senza parole. Ho sempre avuto scontri con i miei capi da Montanelli a Rinaldi. E’ il lavoro, ma trasformare un foglio spiritoso in una semiagiografia della debuttante era troppo, quando avete rimontato il caso le cui proporzioni sono inaudite, sono tornato ad allora.
Inaudite?
Se fosse vero che l’Italia ha pagato 400.000 euro per dare una latta alla Bonev, letterariamente avrebbe la stessa valenza dell’affaire di Ruby Rubacuori.
Con Panorama come finì?
Arrivò Pietro Calabrese, un mio amico. Poco dopo litigai con il gruppo dirigente, ricordo ululati spaventosi con la sua vice. Stimo le donne e mi comporto con loro come farei con gli uomini. Comunque, sbattei la porta dopo 18 anni. Il giornale, nel momento in cui ne divenne proprietario Berlusconi, non fu più lo stesso. Non ho nulla contro di lui, ma non si può essere leader politici e proprietari di settimanali d’opinione al tempo stesso.
In seguito?
Le cose si sono aggravate dopo la discesa in campo. La testata divenne farlocca, l’odierna non è epoca per giornalisti, ma solo per crociati.
E Bondi?
Credo sia un uomo molto mite. In questa vicenda, lo vedo più nel ruolo di vittima che in quello di orchestratore. La storia veneziana, è evidente, non è farina del suo sacco. Le dico una cosa.
Prego.
L’Italia è un paese fondato sulle parentele. Fondamentale, salvifico, sarebbe non averne. Io mi sono trovato sempre nella comodissima posizione di fare i miei porci comodi, mai chiesto niente a nessuno, durante le campagne elettorali guardavo ammirato Andreotti.
Perché?
Teneva tre comizi in un giorno, dormiva 10 minuti nella pause, elargiva. Altro che Padre Pio. Uno che deve prendere 600.000 voti in Ciociaria non può guardare per il sottile.
E quando chiedevano aiuto a lei?
(ride) Ma quando mai? Sono l’uomo più volutamente remoto che esista.
La presunta rivoluzione liberale di Berlusconi?
L’ho votato una sola volta nel ‘94 e conosciuto anni prima per lavoro, squisito. Per la gioiosa macchina da guerra, poi, non avrei espresso la mia preferenza neanche con i ceppi al polso. C’erano due partiti con l’insegna comunista, per me nefasta al pari di quella nazista (alza il tono della voce, ripete il concetto) in quella coalizione.
Altre schede recenti?
Berlusconi mai più, una volta Luca Coscioni, e poi, per il morboso fascino che esercitano i perdenti su di me, per Veltroni. Voleva diventare un grande romanziere, poteva farlo con uno pseudonimo, forse non avrebbe riempito il Teatro Argentina di babbei imploranti e adoranti. Siamo lontani comunque, dalle vette di Romain Gary, che fece uscire un tomo con il nom de plume diÉmile Ajar , vendendo ugualmente.
I suoi vecchi amici?
Molti mi considerano un lebbroso. Non ho seguito pedissequamente le orme della mia generazione, tirando invece calci sugli stinchi agli imbecilli. Con Nanni Moretti non mi saluto da più di vent’anni, abita a 250 metri da casa mia. Succede con i pazzi.
E Goffredo Fofi?
Eravamo come fratelli. Tempo fa gli scrivo. ‘Ma dai, perché non ci vediamo?’ Lui mi risponde, terrorizzato, ‘l’importante, Giampiero, è che che ci sia poca gente’. Per me è morto quel giorno. L’ho visto al ristorante, ha avuto l’impudenza di accennare un saluto. Ecco tornare Il settarismo barbarico, il cannibalismo ideologico. Ambiti che mi ripugnano. Loro il bene, io il male. Figli di puttana.