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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

PORTALI WEB FUTURO SENZA RETE - C’è

fermento nell’Internet italiana. Mentre la pubblicità online torna a crescere, Google guarda con più attenzione ai singoli mercati nazionali e Facebook gli si avvicina nella classifica dei visitatori (25 milioni medi mensili contro 23) ci sono un paio di eventi che potrebbero dare una scossa definitiva al settore: riguardano Dada e Libero. Secondo voci sempre più insistenti che girano in Rete il portale controllato al 50% da Rcs potrebbe essere messo sul mercato. E quanto a Libero, numero uno o due tra gli italiani, a seconda delle classifiche, sta aspettando di conoscere il suo destino: se la fusione del gruppo Sawiris che controlla Wind dentro l’operatore russonorvegese Vimpelcom andrà in porto, Libero ne resterebbe fuori e il suo destino sarebbe da ridisegnare. Al momento però è tutto in forse.
Ma Dada e Libero a parte, c’è che tra la pubblicità online che riparte ma che non correrà più come prima della crisi e i giganti d’oltreoceano che si fanno minacciosi l’idea che domina è che il mercato sia alla vigilia di un sostanzioso consolidamento. A parte Dada, se la vendita venisse confermata, non sarà tanto una campagna acquisti quella a cui si assisterà, quanto piuttosto un incrocio crescente di alleanze e partnership. Perché quello dei portali è un mondo complicato.
Dopo l’avvento di Google, che ha conquistato le homepage di milioni di utenti, e ora con i social network, l’età d’oro dei portali è alle spalle. Già da un pezzo non sono più il punto di ingresso in Rete di milioni di utenti. Ma il settore ha vissuto negli ultimi anni una specie di rivoluzione silenziosa per cui oggi tutti i maggiori portali italiani sono andati in cerca di una specializzazione. E al di là di una struttura dei ricavi comune, basata sulla pubblicità (con qualche eccezione) fanno tutti cose diverse.
Intanto, scorrendo i dati Nielsen sui luoghi della Rete che raccolgono più visitatori, il primo dato che balza agli occhi è che ci sono solo due realtà italiane tra i top ten: Libero, appunto, e Virgilio, il portale che fa capo al gruppo Telecom Italia. Oltre i 10 compare Leonardo.it, subito seguito dai siti dei due maggiori giornali italiani online, Repubblica e il Corriere della sera.
Ma a parte i giornali online, che una loro identità e una missione ce l’hanno e ben chiara, capire i punti di forza degli altri è più difficile.
Virgilio è il numero uno tra gli italiani per utenti unici. Fa capo a Matrix e vale a spanne il 60% di un fatturato della sua capogruppo che è attorno ai 100 milioni. «Il nostro punto di forza spiega Cesare Sironi, Ad di Matrix è la capacità di segmentare i visitatori in base ai punti di accesso: possiamo sapere da quali città provengono i nostri utenti e possiamo proporre loro pubblicità locale. Ed è un servizio che offriamo in particolare alle piccole imprese. In pratica possiamo personalizzare automaticamente le pagine di chi ci visita».
Libero invece precede Virgilio quanto a permanenza dei suoi utenti sul sito. «E’ grazie al fatto che siamo il primo account di posta elettronica italiana spiega Antonio Converti, direttore della Business Unit Portal & Vas di Wind Abbiamo 6,8 milioni di utenti di posta e siamo anche in crescita del 20%. La strategia ora è di crescere facendo accordi per raccogliere pubblicità per altri portali, molti anche piccoli, specializzati e verticali».
Una strategia che segue già da un paio di anni Leonardo.it, il portale che faceva prima capo al gruppo Eutelia e ora invece è passato sotto il controllo di OneItalia della famiglia Giacomini, il cui core business è gestire piattaforme di servizi per gli operatori mobili. Il punto di forza di Leonardo è di aggregare contenuti relativi a musica e film, spettacolo e tv. E’ una specie di canale generalista del web.
E sulla musica puntava anche Dada, nel suo sfortunato tentativo di diventare l’iTunes italiana. Oggi la società, che pure ha ricavi nei primi nove mesi 2010 per 113 milioni (in calo) perde soldi. Ha il suo punto di forza in Register.it, una piattaforma che gestisce i nomi dei domini italiani. E che a detta di alcuni è il suo asset e anche il suo problema visto che Register dovrebbe valere più della attuale capitalizzazione stessa di Dada.
Chi invece ha numeri in crescita è Seat, impegnata nella sfida di riuscire a traghettare il suo marchio maggiore, le Pagine Gialle, dalla carta a Internet nel minor tempo possibile. Spiega Alberto Cappellini, l’Ad del gruppo: «Già sulle ricerche commerciali siamo il secondo sito italiano, dopo Google, loro hanno il 70% e noi il 15% ed è un mercato in forte crescita, specie grazie ai nuovi terminali, gli smartphone e gli iPad. La nostra raccolta pubblicitaria online nei primi nove mesi dell’anno è cresciuta del 56% e ha portato i ricavi a 176,3 milioni. Tutta pubblicità più una quota di ricavi che derivano dalla realizzazione di siti e video da mettere in rete per le imprese che ce lo chiedono».
Oltre questi nomi inizia il mare magnum di una realtà altamente frammentata. In cui galleggiano però anche soggetti di notevole spessore. Come Banzai, il portale creato e gestito da Paolo Ainio, che forse chiamare portale è riduttivo. Banzai è un aggregatore di siti, fattura sui 60 milioni, ma non raccoglie pubblicità: i suoi ricavi vengono dall’ecommerce.
Per tutti gli altri è iniziata la caccia alle community superspecializzate. Che è un po’ come la caccia ai programmi o alle star tra i canali tv. Non è importante acquistarli, ma metterli nel proprio portafoglio, poter vendere la loro pubblicità, formando pacchetti sempre più grandi e articolati per spuntare prezzi migliori con i centri media. Basta l’esempio di Ilmeteo.it, forse il sito di meteo più visto in Italia. Comprarlo non serve, basta aggregarlo. I portali, insomma, devono fare audience, come la tv. E alla tv stanno già iniziando a togliere utenti. Il rischio è che spunti all’orizzonte qualcun altro ancora, oltre Google e Facebook, che tolga audience a sua volta a loro. E’ quel mix micidiale tra social network e il mondo delle Apps, le applicazioni attivate da una icona sul display di ogni utente, che ha fatto titolare a Wired, un mese fa «Il Web è morto», perché si naviga sempre meno e si arriva sempre più dritti alla meta, senza passare per portali, siti e a volte neanche per il motore di ricerca.
E’ un rischio, ma nessuno lo teme davvero. Anche perché il Web ci ha abituato a sovvertire spesso ogni previsione.