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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

NÉ CAMERA DA LETTO NÉ OSPEDALE ARRIVANO LE CASE DELLA MATERNITÀ - Né

a casa, né in ospedale. Gli americani li chiamano "birth center", i tedeschi "geburtshäuser", i francesi "maison de naissance". Le case maternità sono la nuova frontiera per le donne che cercano un luogo più intimo e familiare dell´ospedale ma non se la sentono di partorire da sole tra le mura domestiche. Mentre negli Stati Uniti, queste strutture esistono da decenni (il primo "birth center" fu aperto a New York nel 1975) in Europa sono diffuse solo da qualche anno. Il Paese pioniere è stato la Germania, ma altri centri esistono già in Svizzera, Belgio, Gran Bretagna. Ora è la nazione a più alta natalità del continente, la Francia, a lanciarsi nella sperimentazione di un parto meno medicalizzato e più naturale.
Il governo francese ha infatti autorizzato l´apertura di queste nuove strutture, gestite da ostetriche e collegate a un ospedale in caso di emergenza. I numeri sono ancora minimi. Meno dello 0,5% delle mamme partorisce fuori da un ospedale, ma la tendenza è in aumento. «C´è una nuova sensibilità femminile al riguardo ed è giusto cercare di soddisfarla con ogni garanzia sanitaria» conferma l´ex ministro della Salute, Roselyne Bachelot, portavoce del progetto. Oltre a offrire un servizio alle neomamme, il governo di Parigi ha stimato che favorire il parto extraospedaliero comporterà un risparmio per il pubblico di circa 7 milioni di euro all´anno.
«La gravidanza non è una malattia». Vianella Gnan è un´ostetrica di 44 anni. Ne ha passati oltre quindici in ospedale, da due lavora in un bel casolare circondato dal verde e dal silenzio nel quartiere Navile di Bologna. L´associazione "Il Nido" è una delle cinque case maternità italiane. Le mamme qui vengono seguite da due ostetriche, dalla prima ecografia fino al travaglio. «Si crea un rapporto di fiducia e conoscenza - racconta Gnan - . La donna non rischia mai di trovarsi in mano a sconosciuti come può capitare in ospedale». Il padre è reso partecipe di tutte le fasi della gravidanza e, alla nascita, il neonato è lasciato vicino ai genitori. La struttura bolognese ha due camere da letto, bagno, cucina: come una normale casa. «Non abbiamo nessuna apparecchiatura medica. In caso di complicanze - spiega Gnan - l´ospedale Maggiore è a meno di tre minuti di macchina». L´Emilia-Romagna, come le regioni Piemonte, Marche e le province di Trento e Bolzano, è tra i pochi enti locali che versa un contributo a chi si rivolge a questi centri. «Ben vengano le case maternità, ma solo se inserite in un sistema di garanzia a tutela di madre e bambino - commenta Giorgio Vittori, presidente dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia - Sono favorevole all´umanizzazione del parto fisiologico. Per fortuna, molte delle proposte del ministro Fazio per la riforma dei punti nascita vanno in questo senso e dovrebbero permettere di incoraggiare esperienze come quelle di alcune case maternità che già esistono in Italia».
«Purtroppo siamo ancora molto lontani dall´esempio francese, o da realtà consolidate come la Germania dove le case maternità sono più di 60» commenta Lidia Magistrati, tra le responsabili della "Via Lattea" di Milano, inaugurata nel 1990. In questo appartamento della zona San Siro nascono ogni anno una trentina di bambini. L´atmosfera è proprio quella di una famiglia allargata, con le ostetriche, le educatrici, i padri che seguono i corsi di puerperio, le mamme più anziane che guidano quelle più giovani. Nella casa si rimane solo poche ore dopo il parto, ma molti genitori tornano per i controlli pediatrici e per partecipare ad altre attività, come le tecniche di massaggio per neonati. «Da noi i casi di depressione post-partum sono rarissimi proprio perché le donne non vengono mai lasciate sole». Anche questa struttura è collegata a un ospedale, il Buzzi, che dista meno di 20 minuti. Non vengono ammessi i casi di gravidanza gemellare, oppure quelli in cui la donna ha già avuto un cesareo o il feto è in posizione podalica. Per molti rimane comunque un lusso inaccessibile. Il costo, tra i 2 e i 3 mila euro, è a carico della famiglia. «Una forma di rimborso pubblico servirebbe anche a fare cambiare le mentalità» racconta Elisabetta Malvagna, autrice di "Partorire senza paura". Molti gli ostacoli burocratici. «Alcune, come quelle di Ostia o di Ragusa, rischiano di chiudere» aggiunge Malvagna che ha partorito in casa nel 1997. «Allora ho avuto solo commenti negativi - ricorda -. Oggi avverto una piccola rivoluzione». Sul web ci sono sempre più blog e forum nei quali scambiarsi esperienze, consigli e paure. Qualcosa sta cambiando, forse, anche in Italia.