Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 29 Lunedì calendario

COREA, NELL´ISOLA CONTESA PYONGYANG TORNA A SPARARE PER LE ESERCITAZIONI USA - YEONPYEONG

La prima neve calda si è stesa per qualche ora sulle case bombardate dei pescatori e dei contadini di Yeonpyeong-Myoen. I roghi neri sono stati cancellati da una trasparente trama bianca e anche le colline, dopo cinque giorni, non bruciano più. Il fronte più avanzato dell´Oriente, davanti alla lingua di terra di Gangryeong, già nel territorio del Nord, è però un villaggio vuoto, sospeso sopra il mare freddo e scosso da ondate marrone.
Fino a una settimana fa i sudcoreani dell´arcipelago catturavano gli ultimi granchi della stagione e davano una scottata alle verdure da mangiare in inverno. Erano in 1756. Sono rimasti in 27, tra cui una sola donna, per riallacciare almeno i cavi elettrici tranciati dai razzi piovuti martedì. In poche ore sono sbarcati però mille marines inviati da Seul e il campo della prima battaglia coreana dopo il 1953 si prepara per un´altra guerra. È l´alba del primo giorno dell´esercitazione militare di Corea del Sud e Stati Uniti nel Mar Giallo, la più spaventosa e pericolosa da lungo tempo. La portaerei nucleare «George Washington» galleggia 170 miglia più a sud, al largo di Taean. I 75 caccia schierati sul ponte lungo due ettari sono coperti da altre undici navi della flotta americana e sedici imbarcazioni da guerra del Sud. Seul e Washington schierano ottantamila uomini contro le minacce d´attacco di Pyongyang e la propaganda sudcoreana non smette di giurare una «vendetta mille volte peggiore della tragedia subìta».
Il doloroso silenzio di Yeonpyeong-Myoen è rotto poco dopo le 11 da sette esplosioni oltre la Northern Limit Line. L´artiglieria di Kim Jong-il spara dalla base costiera di Gaemeori, come martedì e venerdì. Due generali del Sud apprendono via radio che l´esercito di Pyongyang ha schierato i missili terra - terra sopra le scogliere e caricato sulle rampe di lancio i razzi terra-aria puntati sul Mare Occidentale. È il saluto della «dinastia Kim» alle manovre «dei burattini del Sud e degli imperialisti guerrafondai degli Usa». Sottili colonne di fumo grigio, come trombe d´aria, rigano l´orizzonte più chiaro e i marines sudcoreani corrono ai posti di combattimento sollevando un vento che sa di aglio e di grasso. Si sente la paura della guerra e nessuno pensa più a qualcosa. Alle 11.18 i megafoni ordinano a una popolazione che non c´è di rifugiarsi nei bunker. I 27 abitanti si infilano in un deposito di pesce secco, invaso di trapunte. Si passano tranci di missili termobarici del Nord estratti dalle macerie e li guardano come fossero prigionieri vivi catturati in battaglia. L´odio verso «i traditori del Nord» è violento, come la rabbia e il desiderio di vendetta che accieca ormai tutto il Sud.
Nel bunker di Yeonpyeong c´è anche il soldato Kang, 44 anni di Chonju. Racconta che martedì, a sparargli addosso da Gaemori, c´era anche suo cugino Kim, 42 anni, nato ad Andong, nel Nord. I loro padri, Yi Jong-sool e Yi Jong-ryeol, si sono arruolati nel 1949 con il Sud e quattro anni più tardi, con l´armistizio, si sono scoperti divisi dal 38º parallelo. Li ha fatti ritrovare per caso, dopo 61 anni, un´associazione che organizza ricongiungimenti famigliari. I fratelli Yi Jong, costretti a vivere separati, a diventare estranei e a sentirsi nemici anche da vecchi, si sono rivisti per la prima e ultima volta sul monte Kumang, nel Nord, il 30 ottobre. Due ore per dirsi tutto e per sempre, iniziando da quando e come sono morti i genitori. Hanno saputo dei loro figli, soldati-cugini di eserciti nemici. «Martedì notte - dice Kang - mio padre ha ricevuto un messaggio clandestino. Lo zio che non conosco chiedeva se ero vivo». E´ questa umanità strappata che adesso trema ma vorrebbe ascoltare le bombe, per smetterla di morire nell´attesa. Alle 11.57 l´allarme viene revocato e gli isolani rimasti apprendono che Pyongyang attaccherà «solo se le esercitazioni del Sud e degli Usa violeranno i confini». Qui è una buona notizia ma è chiaro che nessuno vuole più vivere nell´incubo di una pace bellica. Nel pomeriggio alcuni «colpi accidentali» sfuggono ai cannoni di Seul e il presidente Lee Myung-bak annuncia per oggi un discorso alla nazione. Pyongyang minaccia un «contrattacco spietato» e dal Giappone arriva la notizia che due corvette cinesi sono entrate nelle acque dell´arcipelago di Senkaku, conteso tra Tokyo e Pechino. Il fronte si allarga nel Pacifico e dopo giorni di messaggi ostili verso gli Stati Uniti si muove la Cina. Il consigliere di Stato Dai Bingguo è volato da Lee Myung-bak a Seul.
Domani raggiungerà Pechino Choe Tae-bok, presidente dell´assemblea suprema del popolo di Pyongyang. Nel pomeriggio la Cina propone «consultazioni di emergenza a sei» a Pechino, i primi di dicembre. Seul a caldo risponde che «non è il momento adatto». Poco dopo, con Tokyo, corregge: «È una proposta da valutare con prudenza». L´alternativa al dialogo sono le cannonate e i governi delle superpotenze tentano di evitare lo scontro in extremis. Il popolo coreano diviso, sebbene oggi gridi di essere pronto a fare fuoco sui fratelli, sogna invece il giorno della riunificazione e della pace. Con il buio lasciano Yeonpyeong anche gli ultimi 27 pescatori. L´isola si trasforma in una caserma inaccessibile. Un altro pezzo di terra dove si ruba la libertà.