Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 29 Lunedì calendario

I TEMPI INCERTI DELLA BUROCRAZIA VELOCE

Meno male che il fine di tutto dovevano essere i cittadini e il loro diritto di avere a che fare con pubbliche amministrazioni efficienti e trasparenti, dove i tempi di chiusura di una pratica siano certi e nel caso si scantoni si sappia con chi prendersela. L’elefantiaca burocrazia che si muove con la leggiadria di una farfalla. Forse non aveva in mente proprio questa similitudine, ma il legislatore che nel giugno del 2009 ha scritto la norma taglia-tempi voleva di certo favorire tutti noi, fare in modo che da lì a un anno la conclusione dei procedimenti fosse più veloce.

Per raggiungere l’obiettivo non è stato lasciato nulla al caso, compreso lo spauracchio che se gli uffici – tutti, dal centro alla periferia - non si fossero adeguati avrebbero subito una super-riduzione dei tempi, che sarebbero automaticamente scesi a trenta giorni. Un mese per portare a termine procedimenti che finora di mesi ne hanno richiesti sei, quando non dodici. Risultato? Solo otto amministrazioni hanno varato i regolamenti con le nuove tempistiche e altre sette li hanno predisposti, ma senza ancora aver raggiunto il traguardo. Per il resto, buio assoluto. E dal 5 luglio scorso, data in cui è scaduto l’anno concesso dalla riforma per correre ai ripari, la tempistica di molti procedimenti di tutte le amministrazioni inadempienti è cambiata: di colpo si è ridotta a 30 giorni. Ovviamente, nessuno ne ha informato i cittadini. E, spesso, neppure gli uffici ne sono consapevoli.

Ma non è il solo lato oscuro della vicenda. Per cercare di ricostruirla bisogna fare un passo indietro. A quando, l’articolo 7 della legge 69 del 2009 sullo sviluppo economico e la semplificazione ha voluto rendere più facile la vita di chi si presenta agli sportelli pubblici per chiedere un documento, un certificato, un’autorizzazione. Sugli obiettivi della riforma non ci sono dubbi. A cominciare dal titolo dell’articolo («certezza dei tempi di conclusione del procedimento») e dagli effetti che preannuncia, visto che la nuova disposizione va a modificare la legge 241 del 1990, quella che ha svecchiato la Pa, rendendo i cittadini meno sudditi della burocrazia grazie all’introduzione del diritto di accesso, del responsabile del procedimento, dell’obbligo per le amministrazioni di individuare una tempistica chiara per ciascuna pratica.

La riforma dell’anno scorso voleva, in buona sostanza, far accelerare le amministrazioni. Obiettivo da raggiungere con la predisposizione di due regolamenti: uno dove indicare i termini inferiori a 90 giorni e un altro quelli compresi tra 90 e 180 giorni. Proibito andare oltre sei mesi. Termine tassativo per portare a termine la ricognizione e il taglio: il 4 luglio 2010. Dopodiché sarebbe scattato l’effetto tagliola: le pratiche che prima del 4 luglio si chiudevano in più di 90 giorni, sarebbero scese automaticamente a 30 giorni. Senza appello.

Di fatto, il 5 luglio solo il ministero della Difesa, l’Agea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura) e l’agenzia delle dogane avevano riscritto la tempistica dei loro procedimenti. Qualche giorno dopo sono arrivati i regolamenti della Funzione pubblica, della presidenza del consiglio, dell’Enac (ente per l’aviazione civile), del garante per le comunicazioni e il primo settembre quello dell’Aifa (agenzia italiana del farmaco).

Tolti i "magnifici" otto, il resto della pubblica amministrazione è rimasto imprigionato nella tagliola. Poco cambia che alcuni non abbiano ancora mosso un dito e che in altri casi, invece, il regolamento (o i regolamenti) siano già stati scritti e ora stiano affrontando i vari passaggi. Per entrambe le tipologie, infatti, è previsto il parere del consiglio di Stato, ma quando si dettano tempi superiori a 90 giorni, è necessaria anche l’approvazione preliminare e definitiva del consiglio dei ministri. La sostanza, comunque, non cambia: il ritardo si paga con la riduzione dei procedimenti sopra i 90 giorni a 30. Ma, a ben vedere, la "punizione" è più virtuale che reale. A iniziare dal fatto che l’effetto tagliola è passato in sordina. Presa coscienza della novità, si sarebbe però indotti a pensare che sia facile individuare i nuovi termini super-ridotti e presentarsi negli uffici esigendo risposte immediate. Basta prendere i vecchi regolamenti, vedere i termini superiori a 90 giorni e abbassarli a 30. Purtroppo, però, il calcolo non è così lineare. E affrontando la questione ci si rende conto come la burocrazia, anche quando propone di semplificarsi, riesca a costruire dei veri e propri rompicapo.

L’articolo 7 della legge 69 ha, infatti, espressamente previsto che la tagliola non scatti per quei termini che, per quanto superino i 90 giorni, sono però previsti da leggi. E questo per una questione di gerarchia delle fonti, perché un regolamento non può modificare quanto stabilito da una legge o da un decreto legislativo. Salva, dunque, la tempistica indicata con questi ultimi tipi di atti. Che rappresenta una parte consistente dell’operazione taglia-tempi.

C’è però il problema di dove collocare i termini stabiliti con Dpr: di là fra i sopravvissuti o di qua tra i tagliati a trenta giorni? La questione ha aperto un dibattito giuridico e gli orientamenti non sono univoci. Se si salvano anche i Dpr, l’effetto ghigliottina si riduce a ben poca cosa. In ogni caso, è di tutta evidenza che prima che di cittadini, il taglia-tempi è affare di fini giuristi.

Sull’onda delle deroghe certe o presunte, finiscono per afflosciarsi anche le sanzioni previste per gli uffici che non rispettano i tempi, per i quali può scattare la condanna al risarcimento del danno provocato dal ritardo. L’amministrazione può poi rivalersi sul dirigente colpevole, sospendendolo dal servizio e privandolo dello stipendio da un minimo di tre giorni a un massimo di tre mesi, a seconda dell’importo del risarcimento. Già la direttiva che la Funzione pubblica ha emanato a gennaio per spiegare agli uffici come gestire il taglio dei tempi ha offerto al dirigente più di un appiglio: la responsabilità scatta, infatti, solo se il ritardo dei procedimenti è grave e ripetuto e non contano gli «episodi sporadici e occasionali» di pratiche tenute nel cassetto più del previsto. Ora, per di più, gli uffici possono anche farsi scudo della poca chiarezza su dove e come applicare la tagliola.

Insomma, se il cittadino intende avvalersi della nuova semplificazione (si fa per dire) è meglio che si presenti allo sportello con uno stuolo di giuristi. E neanche alle prime armi.