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 2010  novembre 28 Domenica calendario

IO MALATA DI SHOPPING

[In allegato tabella]
ORA che il suo rapporto con la carta di credito è cambiato, può metterla sul tavolo, guardarla mentre la gira con le dita e poi rimetterla via, senza provare alcuna emozione. Potrebbe anche uscire lasciandola a casa e magari dimenticarsi il pin del bancomat senza cadere in depressione. Beatrice ora è un’altra donna. Si controlla, ha imparato a tenere a bada se stessa.
Può fermarsi a guardare una vetrina senza provare un tuffo al cuore, quel bisogno compulsivo di acquistare, spendere e spandere, uscire dai negozi con pacchetti e pacchettini. Prima non era così. Fare shopping e respirare era la stessa cosa, un modo per iniettare aria e dare un senso alla sua vita.
Ogni nuovo capo d’abbigliamento un’impennata di adrenalina. Un senso di benessere, un apparente appagamento fisico. Gioielli, vestiti, un numero infinito di scarpe, intere giornate passate dal parrucchiere o dall’estetista. La ricerca maniacale della perfezione consumistica. E’ così che lei si stava perdendo e stava perdendo tutto, anche gli affetti più profondi.
Quattro figli. Mentalmente schiavi, ecco come si riducono. Prigionieri dello shopping. Come poteva esserlo appunto Beatrice, 34 anni, madre di 4 figli, sposata e da qualche tempo separata. Bella, lo è sempre stata Beatrice. Capelli lunghi, castani, occhi neri, magra, alta e slanciata. Sin da piccola sensibile più di altri alla pubblicità. «Lo shopping era la mia ragione di vita- racconta adesso alle sue amiche più care - un modo per sviluppare la mia personalità».
Il marito. A 24 anni si sposa e si chiude il passato alle spalle. Una madre che ha sempre avuto problemi di alcol. Un padre mai conosciuto. Beatrice aveva trovato il suo equilibrio e il suo nido. Una villetta dalle parti della Cassia, non troppo distante da Roma. Un marito imprenditore. Lui sempre impegnato nel lavoro. Lei sempre occupata della casa e dei bambini. «Una gravidanza dopo l’altra, finivo di allattare ed ero di nuovo incinta».
All’inizio il matrimonio funziona. Col tempo Beatrice però inizia a sentire il marito distante. Scarse attenzioni, assenze, difficoltà nel comunicare. E’ così che piano piano inizia sentirsi insoddisfatta. E, giorno dopo giorno, senza accorgersene si ritrova malata. Di shopping. Le basta sfiorare con lo sguardo la vetrina dei suoi negozi preferiti. Ecco allora che deve entrare e comprare - qualsiasi cosa, vestiti inutili, più o meno simili a quelli che già possiede - comprare e comprare ancora.
Beatrice è bella. Però non si sente bella. E’ sempre alla ricerca di attenzioni esterne. Minigonne, tacchi, abiti firmati. Ciò che conta è l’aspetto esteriore, «piacere agli altri».
«Riuscivo a spendere in media 8000 euro al mese, saremmo finiti sul lastrico se mio marito non se ne fosse accorto e mi avesse tolto le carte di credito. Ora ci siamo separati».
Non solo ricchi. Per ammalarsi non bisogna essere ricchi. Chi ha più denaro però è “a rischio”. Qualche tempo fa fece parlare Victoria Adams, l’ex Spice Girls moglie di David Beckham: arrivò a spendere in poche ore 2 milioni di euro acquistando 5 divani, 15 borse, 20 paia di scarpe e un armadio intero di vestiti nuovi. Poi corse a farsi curare. Gli psichiatri definiscono questa forma di schiavitù “oniomania”. Secondo alcuni nel nostro Paese e ne soffrirebbero in modo più o meno evidente 3 milioni di persone, quasi sempre donne tra i 25 e i 50 anni. Donna in carriera, casalinghe, commesse, etc, etc.
«Il piacere non consiste nel possesso ma nell’acquisto - spiega la psicoterapeuta Elisa Caponetti - ma non comprare può provocare ansia e malessere. Dopo si è preda di sensi di colpa, si può essere spinti anche a nascondere gli acquisti».
Laura. E’ una bambina molto bella e timida, figlia unica di una madre che prova costituzionalmente vergogna. Che vive in un piccolo paese della campagna bolognese dopo tutti parlano ed è preponderante “cosa penserà la gente”. Il padre è un commercialista affermato, un po’orso, affettuoso ma incapace di avvicinarsi alla figlia adolescente. La madre è incapace di sostenerla.
Anche Laura si sposa presto, a 25 anni. “Fugge” dalla sua famiglia. Compra tutti i giorni della settimana abiti anche molto diversi tra loro. Non è importante lo stile e la marca, talvolta nemmeno la taglia. Comprare per lei vuol dire eccitazione, euforia. A volte subito dopo arrivano i sensi di colpa, un disagio costante che la costringe a gettare tutto nell’immondizia ancora con il cartellino del prezzo.
Copiare gli altri. «Ci sono alcuni abiti che sono proprio i miei, quelli con cui mi sento sicura… poi però mi dico e se abbandonassi questi vestiti e ne prendessi di più attillati? Forse sembrerei meno vecchia, ma poi non sono tanto sicura…sono solo la donna che veste maglioni di cachemire o posso vestirmi con abiti più attillati e sembrare più sexy… che donna sono in realtà?».
Laura ha cambiato molti posti di lavoro non avendo la reale necessità economica di contribuire al ménage familiare. In nessuno è rimasto più di 2 mesi. «Ad ogni lavoro nuovo recito un personaggio prendendo spunto dagli altri, copio gli stili, gli abiti e i profumi…».
«Lo shopping compulsivo - osserva la psichiatra Roberta Biolcati - è il risultato di una identità imprecisa e frammentata, di una grossa svalutazione di sé». Ancora la Biolcati: «Attraverso lo shopping Laura fantastica di essere diversa, migliore, più amabile e immagina di potere finalmente smettere di vergognarsi. Laura è l’emblema di una impossibilità di godere, di trarre piacere dalle cose, di volersi bene. Vive sola, chiusa in un guscio, in un mondo invaso dai suoi stessi fantasmi. Il problema non è l’uomo sbagliato, la difficoltà nel trovare un lavoro, l’eccesso nelle spese, tutte situazioni di copertura che potrebbero ingannare uno sguardo disattento. Il suo problema è il ricercare queste situazioni per non crescere, per rimanere malata, fonte di preoccupazioni per i genitori». «Vorrei quel vestito… se potessi comprare quel trucco…devo vestirmi al mercato ed essere una risparmiatrice…ma forse è meglio essere sofisticati, comprare pochi abiti ma buoni, nei negozi più costosi della città. Ho visto un nuovo modello di giacca, o forse è più adatto il cappotto…mi serve anche quel piumino…».
Test finale. Come uscire da questa prigione? C’è chi ne è uscito grazie ad uno psicoterapeuta, chi i inserendosi in gruppi con persone che hanno lo stesso problema. Dopo i canonici 12 passi il test finale è dimostrare di essere capaci di girare per negozi senza acquistare nulla almeno per qualche giorno. La compulsione si allenta. E il conto in banca lentamente torna in superficie.