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 2010  novembre 28 Domenica calendario

DOSSIER SU WIKILEAKS. ARTICOLI USCITI SU STAMPA, CORRIERE, REPUBBLICA DOMENICA 28 NOVEMBRE 2010


LA STAMPA
Alberto Simoni
«Irresponsabile il comportamento di Wikileaks», dice Philip Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato. «Così mettono a rischio la vita dei soldati americani e degli alleati», rincara la dose dagli schermi della Cnn Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Riuniti Usa. Washington si prepara alla deflagrazione della «bomba» Wikileaks. Quasi 3 milioni di file contenenti le comunicazioni fra gli avamposti diplomatici statunitensi nel mondo e il Dipartimento di Stato. Per attutire il colpo, ambasciatori, feluche della diplomazia e il segretario di Stato in persona, Hillary Clinton, chiamano alleati e non, li preallertano su quello che potrebbe esserci nei documenti che la macchina informatica creata dal 39enne di origine australiana Julian Assange metterà on line a breve. Stasera alle 22,30 precisa il settimanale tedesco Der Spiegel che insieme a New York Times e al britannico Guardian da giorni sta vagliando le informazioni in possesso di Wikileaks. Anche Le Monde ed El Pais sono in possesso del carteggio.
Il conto alla rovescia, scattato lunedì con l’annuncio che il sito di Assange avrebbe pubblicato materiale «sette volte maggiore di quello diffuso il 22 ottobre» finirà oggi, quando arriverà dal cuore dei Wikileaks il via libera a divulgare l’altra faccia della medaglia, quella al riparo dagli occhi del pubblico. Quella riferita nei «cablo», telegrammi che le ambasciate e i consolati Usa usano per comunicare con Washington. Nei cablo oltre a questioni politicamente sensibili, vi sono - ed è ciò che spaventa più di tutto Washington e gli alleati - anche apprezzamenti e commenti franchi sui comportamenti e le posizioni assunte dai vari leader locali.
Per questo Washington ieri ha proseguito la sua «diplomazia preventiva». Hillary Clinton ha chiamato il suo omologo cinese Yang Jiechi, poi è stata l’India ad essere allertata. Scelte non casuali poiché fonti vicine a WikiLeaks hanno anticipato che solo il 5% dei documenti riguarderebbe l’Europa, il grosso si riferirebbe a Medio Oriente e Asia. La documentazione - prelevata dal Secret Internet Protocol Router Network (SiprNet), a cui hanno accesso centinaia di migliaia di funzionari statunitensi - contiene 251.287 telegrammi e ottomila direttive del Dipartimento di Stato. Nessuno di questi documenti è topsecret: 15.652 sono «segreti», il 50,5% confidenziale e gli altri senza alcun livello di segretezza. Tutti i documenti, se si eccettua uno del 1966, sono successivi al 2004 e 9.005 risalgono ai primi mesi del 2010. Malgrado qualcosa cominci a filtrare, gli americani non sanno bene che cosa l’hacker australiano darà in pasto agli internauti. Apprensione anche alla Farnesina. I temi controversi sull’asse Roma-Washington che hanno caratterizzato il periodo fra il 2006 e il 2009 (quello centrale in questa ennesima fuga di notizie targata WikiLeaks) sono parecchi. A partire dalla posizione italiana sul conflitto in Georgia e la vicinanza del premier Berlusconi a Putin, sino alle trattative per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo rapito nel 2007 in Afghanistan. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa si dice certo che «un carteggio non metterà a repentaglio la nostra amicizia con gli Stati Uniti». Il radicale Marco Pannella è sicuro che uscirà la verità sulla posizione del premier Berlusconi sulla guerra in Iraq. E poi c’è la questione del no ai tempi del governo Prodi all’Opa su Telecom, un fatto non digerito da Washington. Oggi si alzerà il sipario.


Andrea Malaguti
L’ ultima volta che è apparso in pubblico è stato all’inizio di novembre, dieci giorni prima che il procuratore svedese Marianne Ny ne chiedesse l’arresto per stupro, molestie sessuali e coercizione ai danni di due donne conosciute a Enkoping durante una conferenza stampa. Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, era pallido, magro, preoccupato. Si sentiva braccato. Raccontava che dietro le accuse c’era il tentativo di qualcuno di fargliela pagare per la pubblicazione di cinquecentomila «file» militari segreti sulle operazioni degli americani e dei loro alleati in Iraq e in Afghanistan. Qualcuno, certo. Ma chi? L’Fbi? I servizi segreti inglesi? Quelli australiani? La sua cattiva coscienza?
Indossava un giubbotto di pelle marrone, una maglietta a maniche corte sbottonata sul petto, degli strani pantaloni a pois neri e aveva i capelli così biondi da sembrare bianchi, organizzati in uno studiato disordine. «Sto pensando di chiedere asilo qui in Svizzera», aveva detto a una giornalista della tv Tsr. Le aveva spiegato perché fosse convinto che il mondo era in pericolo. E in qualche modo anche la sua vita. Sembrava che non dormisse da settimane. Poi è scomparso, come sempre. «Non sto mai più di sei settimane nello stesso posto».
Adesso, alla vigilia della pubblicazione di un altro fiume di documenti, tutti si domandano dove sia finito, e soprattutto dove ricomparirà. Le informative delle polizie internazionali dicono che in questo momento Julian Assange, 39 anni, primula rossa del terzo millennio, crociato della libertà secondo i suoi sempre più numerosi seguaci, uomo enigmatico, pronto a mettere in piazza i segreti dell’intero globo terracqueo ma gelosissimo dei suoi, si trova a Dubai. Nascosto, protetto, teso. Ma è a Londra che lo aspettano per il prossimo annunciato show. Questione di ore.

Il governo inglese lo teme al punto che ha chiesto agli editori dei giornali britannici, e in particolare del Guardian (che sta elaborando i tre milioni di documenti gestiti da WikiLeaks), di informare l’esecutivo «se intendono pubblicare “file” diplomatici dal contenuto sensibile». Aggiungendo che con questo «Defence Advisory», Downing Street non vuole dire che saranno avviati procedimenti penali per impedirne la pubblicazione. La libertà di informazione è sacra. «Ma la stampa dovrebbe preoccuparsi per la sicurezza delle operazioni militari britanniche».

Cameron ha le mani legate e in un curioso ribaltamento dei ruoli chiede nervosamente, «per piacere», di essere tenuto al corrente su questo imbarazzante diluvio di informazioni. Hillary Clinton ha anticipato al primo ministro di Sua Maestà che nei rapporti delle ambasciate Usa ci sono commenti non proprio lusinghieri sull’ossessione di Brown di dimostrare a Obama tutta la sua importanza. E anche giudizi freddisullacoalizione conservatori-liberaldemocratici.

Alla fine di ottobre, prima di una conferenza stampa alla City University di Londra, Assange, accompagnato da un gigantesco bodyguard chiamato Christian, un lottatore mostruoso rubato a un romanzo di Stieg Larsson, aveva spiegato di non sapere più dove rifugiarsi. Aveva raccontato che la sede del sito è in un bunker sottoterra - naturalmente non aveva detto dove -, ma che il posto non andava più bene. «Ci ascoltano». Microspie piazzate nei muri. «Continuano a trapanare le pareti. Con la tecnica utilizzata dall’ambasciata australiana per spiare i cinesi. Ci serve un luogo isolato». Era nervoso. Arrabbiato con il governo svedese che gli aveva negato la cittadinanza e con i giudici australiani. Salito sul palco, si era rifiutato di rispondere a una serie di domande legate al modo in cui WikiLeaks decide che cosa pubblicare e che cosa no. «C’è un comitato etico», si era limitato a dire prima di lasciare in fretta la sala. Una donna era svenuta. Al risveglio aveva detto: «Mai visto un uomo così affascinante». Assange e i suoi misteri erano ormai scomparsi nella notte.

Maurizio Molinari
Per comprendere la genesi dell’operazione di «diplomazia preventiva» con cui Washington sta tentando di disinnescare l’impatto delle rivelazioni di Wikileaks bisogna partire dal metodo con cui ambasciate, consolati e Dipartimento di Stato comunicano fra loro. Si tratta di telegrammi su singole notizie, documenti di analisi su fatti avvenuti e previsioni sull’immediato futuro che richiedono agli estensori di mettere nero su bianco tutte le informazioni a loro disposizione, non solo quelle pubbliche e politicamente corrette ma anche indiscrezioni raccolte da informatori, gossip di vario genere, dettagli sulla vita privata dei personaggi più noti, veleni politici, battute gergali e quant’altro possa consentire a chi legge di farsi un’idea chiara su cosa sta avvenendo. L’errore più serio che un diplomatico può compiere è astenersi dall’includere un dettaglio che, nel breve o lungo termine, potrebbe rivelarsi decisivo. Il fine è di far confluire più informazioni possibili a Washington, dove sono poi gli alti funzionari a elaborarle per trarre conclusioni che finiscono sul tavolo del Segretario di Stato e, a volte, del Presidente. Di conseguenza, leggendo tali documenti, si può trovare di tutto. Sono uno specchio della vita pubblica nei singoli Paesi, con il vantaggio di essere confezionati con il contributo di fonti di notevole rilievo, che adoperano ogni sorta di espressioni.
Per tutelare tali fonti il governo americano le secreta ma WikiLeaks è riuscita ad avere i testi originali. Di qui le preoccupazioni dilaganti, testimoniate dalle anticipazioni di alcuni funzionari britannici sugli «insulti ai francesi spesso presenti nelle comunicazioni con gli americani». Nel caso dell’Italia i documenti potrebbero contenere i commenti negativi alle frasi di Silvio Berlusconi - in almeno due occasioni - sull’«abbronzatura» di Barack Obama e della moglie Michelle. Quando il premier ricorse a tale terminologia, in Via Veneto fecero un sobbalzo, il Dipartimento di Stato ne venne subito informato e vi furono ulteriori scambi di comunicazioni. La Casa Bianca decise però di non far trapelare la vivace irritazione per non incrinare i rapporti con un alleato molto importante su più scacchieri, dal Libano all’Afghanistan.
È sufficiente varcare la soglia del Dipartimento di Stato per rendersi conto che la vicenda ha lasciato il segno, al punto che alcuni diplomatici si spingono fino a descrivere il premier italiano come «ad alto rischio», perché «chi vi si avvicina non ha idea di cosa può avvenire, delle conseguenze politiche possibili». Il rischio è che Wikileaks metta a nudo la contraddizione fra la scelta pragmatica del quieto vivere con Berlusconi e le perplessità che circolano nell’Amministrazione sui rapporti di Roma. Anche a causa dei legami italiani con più nazioni difficili: dall’apertura delle banche agli investimenti di Gheddafi alla moltiplicazione degli scambi commerciali con Teheran fino al flirt energetico con la Turchia.
Ma forse il capitolo che può riservare più sorprese è quello del legame personale fra Berlusconi e Putin. Non è un mistero che Washington da tempo cerca di capire cosa vi sia alla base dell’intesa personale fra i due e, in occasioni conviviali a Roma come Washington, è frequente imbattersi in funzionari che ipotizzano interessi personali di Berlusconi negli accordi energetici. Argomenti off-limits, di cui nessun diplomatico americano parlerà mai ufficialmente, ma nelle note diplomatiche se ne discute. Come nel 2007, in occasione del rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan, con una tempesta nelle relazioni fra l’Amministrazione Bush e il governo Prodi che vide i rispettivi ministri degli Esteri, Condi Rice e Massimo D’Alema, protagonisti di una cena all’«Aquarelle» di Washington che, anziché risolvere gli equivoci sulla trattativa italiana con i capi dei taleban, finì per moltiplicarli.

Carlo Rossella
Le luci di Foggy Bottom, così si chiama il Dipartimento di Stato nel gergo di Washington D.C., si accendono presto la mattina. Fra le 5 e le 5,30. Lo staff del Segretario di Stato è il primo a varcare la soglia del grande palazzo grigio, stile Anni Cinquanta. Bisogna preparare i rapporti per il «capo». I responsabili dei vari «desk» di quei territori del mondo che si sono già alzati da un pezzo, fanno scorrere i files sul computer.
Rapporti di ambasciatori, note di numeri due, relazioni dei servizi stampa, richieste di informazioni dei Security Service.
Alle otto, come d’abitudine, il segretario, quando si trova in città e non è in missione, arriva in ufficio, guarda i dossier del giorno considerati più importanti, decide quali informazioni fare giungere al Consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, e che telefonata fare al Presidente sui temi più caldi.
In due ore i funzionari devono passare in rassegna il mondo, lavorare in fretta, prepararsi per una eventuale seduta di chiarimenti col ministro o col sottosegretario. Tutto perciò viene letto e riassunto molto velocemente. A Foggy Bottom hanno una grande pratica e non vogliono perdere la gara con altre centrali di informazione come la Cia o il Pentagono. E nemmeno con le notizie e le analisi delle breaking news di Cnn o Fox o dei temibili siti Internet, molto consultati dai super mattinieri della Casa Bianca (Barack Obama si alza alle 5 e, dopo un’ora di ginnastica e un breakfast con la famiglia, si butta sulle news e sui dossier).
Il problema di tutti i rappresentanti diplomatici americani nel mondo e dei loro assistenti di vario grado è quello di farsi leggere e considerare, di superare lo «screening» mattutino, di non finire nel calderone di quel che resta del giorno. Guai a trascurare una notizia, ma è ancora peggio non metterla nel giusto rilievo, senza quel pizzico di spezie che serve per farsi notare.
Il capo ufficio stampa di Foggy Bottom, ad esempio, vuole avere tutto di tutto e di tutti sulla sua scrivania. La quotidiana conferenza del mattino è una gara a chi ne sa di più fra lui e i giornalisti di ogni Paese accreditati al Dipartimento di Stato. C’è sempre uno del Bangladesh che ti mette in difficoltà, un egiziano che tende un trabocchetto, un italiano che rivolge una domanda sull’ultima dichiarazione di Silvio Berlusconi. E se per caso è lo stesso Segretario di Stato a partecipare ai briefing coi reporter, dio ce ne scampi e liberi.
Se a Washington i burocrati vestiti di scuro sono onnivori, nelle sedi i loro colleghi lo sono ancora di più e si rimpinzano di notizie a volte «very local». Guai a fare brutta figura. Nulla si deve trascurare e tutto deve finire entro l’alba di Washington in quei computer di Foggy Bottom tanto cari a WikiLeaks.
Anche le luci delle rappresentanze americane nel mondo si accendono presto. C’è chi è fortunato (Giappone, Cina, Australia, Paesi dell’Asia, Russia) ed ha una dead line molto comoda. Ma a Roma, Madrid, Berlino e nel resto d’Europa c’è da correre e da ingurgitare notizie, senza masticarle troppo, come gli hamburger serviti al desk.
Ronald Spogli, ambasciatore americano a Roma fin quasi alla fine del 1998, si svegliava all’alba, leggeva pacchi di giornali italiani, prendeva nota. Alle 8 era già pronto per un breakfast con politici, columnist, businessman e sapeva fare le domande giuste per capire tutto dell’Italia di Prodi prima e di Berlusconi poi. Alle 9 vedeva, o a Villa Taverna o in ufficio, il suo numero due, quello che gli portava le prime carte da mandare a Washington, e poi via con una mattinata piena di incontri con lo staff, meeting con personalità di governo, relazioni di militari e intelligence, fino all’atto finale, il rapporto quotidiano.
Un piatto forte, sui temi del giorno riguardanti l’Italia, preceduto da antipasti spediti ai vari uffici di Foggy Bottom dai funzionari e seguito da un flusso Roma-Washington di note e di aggiunte provocate dai nuovi avvenimenti. L’inquilino di Palazzo Barberini, in via Veneto, smette di lavorare verso la venti, coi tg italiani della sera. Se ci sono ulteriori notizie o scoop sarà compito dei diplomatici di turno aggiornare i files per il Dipartimento di Stato.
Quel che valeva per Spogli e per i suoi predecessori vale anche per David Thorne, l’inviato di Barack Obama a Roma. Ma c’è di più. Se l’ambasciatore ha un buon rapporto personale col segretario di Stato o col Presidente ai documenti «top secret» inviati direttamente alla Casa Bianca o all’ultimo piano di Foggy Bottom si aggiungono le telefonate criptate e non intercettabili. Spogli era l’orecchio dei suoi amici George W. Bush e Condoleeza Rice. Thorne è l’ex cognato del senatore Kerry, uno dei più influenti personaggi della politica estera americana, ed ha una stretta relazione con Hillary Clinton e con Obama.
Tutti i grandi ambasciatori hanno i loro altissimi santi in paradiso a Washington, tutti vogliono fare una gran bella figura. E così i loro collaboratori. Oggi, con Internet, si scrive, molto più di prima, e con maggiore tempestività di quando, per il «secret» o il «top secret», si doveva usare la cifra. Molti si sono convinti che per la segretezza bastino i codici di accesso alla propria e-mail e a quella dei vari uffici e funzionari e colleghi di Foggy Bottom.
In pochi anni si sono accumulati milioni di files, dai più scottanti ai più pettegoli. Capita in tutte le ambasciate e non solo in quelle americane. Tutto è rimasto archiviato nei computer. Poche notizie e rapporti, per zelo professionale, sono stati buttati.
La diplomazia internettiana è meno ufficiale, più leggera, più disinvolta, più simile, nello stile della comunicazione, ai blog. Ci vorrebbe la penna di Evelyn Waugh per fare la parodia spregiudicata del mondo diplomatico attuale, quello che vive, con ansia e trepidazione, le ore infinite che precedono il «WikiLeaks day», insomma il «W-day» come lo chiamano a Foggy Bottom. E intanto il flusso dei files continua, inesorabile. Non si può più vivere e lavorare senza le e-mail.

Maurizio Molinari

L’Amministrazione Bush fu colta di sorpresa dall’elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio perché riteneva che avrebbe potuto prevalere un cardinale latinoamericano. Dopo la conclusione del Conclave, a Washington vi fu il timore di attriti sul secolarismo: questo si evince dai diciotto documenti del Dipartimento di Stato che sono stati ottenuti da La Stampa nel rispetto delle norme che regolano il «Freedom of Information Act». Ne pubblichiamo in queste pagine alcuni estratti.
Il nuovo pontefice E’ IL 19 APRILE 2005 : AL QUARTO SCRUTINIO VIENE ELETTO IL CARDINAL RATZINGER, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE. HA 78 ANNI ED È IL SETTIMO PONTEFICE TEDESCO . SECONDO UNA RICOSTRUZIONE DEL CONCLAVE IL CARDINALE PIÙ VOTATO DOPO DI LUI SAREBBE STATO L’ ARCIVESCOVO DI BUENOS AIRES , JORGE MARIO BERGOGLIO, MENTRE GLI ALTRI CANDIDATI (COME MARTINI, RUINI E SODANO) AVREBBERO RICEVUTO POCHE PREFERENZE
Il dossier Uno dei documenti svelati dagli americani

Centrale o del Sud» anche per «il notevole numero di cattolici».

Gli ultimi tre paragrafi si soffermano su altre caratteristiche considerate necessarie: «Dovrà avere un’esperienza pastorale per dimostrare le proprie qualità umane», «dovrà avere esperienza internazionale per affrontare le maggiori questioni della nostra era» e «dovrà essere un buon comunicatore, abile nell’uso dei nuovi media elettronici per trasmettere il messaggio della Chiesa in maniera chiara e potente». stato assente per oltre vent’anni, non avrà particolari privilegi e ruoli durante questo Papato» a causa di «conflitti passati» nonché della «preoccupazione che Roma possa cercare di esercitare più influenza sulla Germania» a causa di Ratzinger. A conferma di questo «alcuni leader laici ricordano come dopo il 1990 Ratzinger tentò di 14 maggio 2005 bloccare l’inclusione di un seminario risalente alla Germania Est nell’Uni-

L’identikit versità di Erfurt perché convinto che i legami finanziari, politici e istituziona- del successore li fra Chiesa e Stato in Germania indeboliscono l’indipendenza e l’autorità 19 aprile 2005 morale della Chiesa».

mente umile, spirituale e facile da 29 aprile 2005 L’ elezione del nuovo Papa» è il La previsione trattare». Le previsioni immediate si

I dubbi della titolo del documento di 7 pa- riassumono in tre espressioni: «Congine che il 14 aprile 2005 par- errata tinuerà la rotta», «il focus sarà sul-

te dall’ambasciata Usa presso la l’Europa» e «forse sarà una figura di Chiesa tedesca Santa Sede con destinazione la scri- transizione». vania del Segretario di Stato, Condoleezza Rice. La classificazione è Il 19 aprile del 2005 è il giorno in «Sensitive» perché nel sottocapito- cui Joseph Ratzinger viene eletto Il 29 aprile 2005 ad affrontare il telo «profilo» si riassume l’identikit al soglio pontificio e il telegram- ma delle conseguenze dell’elezione del personaggio che, secondo i di- ma spedito da Roma a Washington di Papa Ratzinger è una nota del-

plomatici Usa, sarà eletto dal Con- con la firma «Hardt» oltre a contene- l’ambasciata americana a Berlino fir- 3 maggio 2005 clave. «Il primo fattore è l’età, i car- re la notizia ammette la previsione er- mata «Cloud» con il titolo «L’asse Ro-

dinali cercheranno qualcuno non rata fatta dalle fonti vaticane consul- ma-Colonia? La Germania e Benedet- Gli auguri troppo giovane né troppo vecchio tate dai diplomatici Usa. «Solo ieri to XVI». L’intento è descrivere come perché non vogliono avere presto Poloff (un «political officer», ndr) ha «la Germania e il cattolicesimo tedeun altro funerale e un altro concla- parlato con una fonte (il nome è cen- sco hanno salutato l’elezione di Bene- di Condoleezza ve» ma «vogliono evitare anche un surato, ndr) che ironizzava sull’ele- detto XVI con un misto di orgoglio, ripapato lungo come quello di Giovan- zione di Ratzinger». Ma la frase se- serve e scetticismo». Per spiegare sona ragionevolmente in salute». della medesima fonte: «Quando ab- fluente gesuita locale che ci ha detto Izione di George W. Bush a Benedet-ni Paolo II» e inoltre «sarà una per- guente contiene dettagli sull’identità quest’ultimo aspetto si cita un «in- l primo messaggio dell’amministraL’altro elemento «è l’abilità lingui- biamo visto Brown dopo l’apparizio- 22 aprile 2005 che il conservatorismo di Ratzinger to XVI è una lettera personale del stica» e dunque «indipendentemen- ne del nuovo Papa dal balcone, l’ame- potrebbe non rivelarsi una caratteri- Segretario di Stato, Condoleezza Rice, te se sarà italiano o meno» il nuovo ricano era sotto shock e ci ha detto di «Un segnale stica fondamentale del Papato, espri- che il Dipartimento di Stato recapita Papa «deve saper parlare italiano» essere rimasto senza parole». Il com- mendo l’auspicio di un suo ritorno alle all’ambasciata degli Stati Uniti in Vatiper «farsi comprendere bene dal mento finale è: «Nonostante le specu- posizioni riformiste delle origini». Il cano chiedendone la consegna «immegregge» visto che «l’italiano rimane lazioni dei media sul sostegno a Rat- di continuità» quarto paragrafo va più in profondità, diata», e spiegando che «non seguirà la lingua di lavoro della burocrazia zinger da parte di molti cardinali, la riassumendo i dubbi: «Nel clero catto- un originale firmato». Ecco il testo vaticana». Ma soprattutto conterà sua elezione è stata una sorpresa per lico c’è scetticismo sulla possibilità completo: «Sua Santità, desidero «l’origine geografica» perché «do- molti». I diplomatici statunitensi dun- E’ il 22 aprile, Benedetto XVI ha che l’elezione di Ratzinger porti bene- estenderle i più calorosi auguri per la po un polacco è prevedibile che non que ammettono che non avevano cre- appena riconfermato il cardi- fici di lungo termine alla Chiesa tede- Sua elezione a Supremo Pontefice delverrà un cardinale dell’Europa duto alle voci che davano Ratzinger nale Angelo Sodano come Se- sca». A dimostrarlo c’è «quanto ci ha la Chiesa Cattolica. La Santa Sede e gli Orientale, non sarà uno degli 11 favorito, credendo di più all’ipotesi di gretario di Stato e l’ambasciata Usa detto un membro dello staff della Con- Stati Uniti condividono molti valori, americani perché cittadini dell’ulti- un candidato proveniente da un Pae- in Vaticano plaude vedendovi un se- ferenza episcopale» secondo il quale speranze e aspirazioni. Abbiamo in coma superpotenza rimasta e non sa- se in via di sviluppo. gnale di stabilità. «L’incarico è per «i giovani, che sono oggi più conserva- mune la missione di far avanzare la dirà un francese perché molti ricorda- Nella pagina seguente Ratzinger cinque anni e indica il desiderio del tori dei genitori, se da un lato sono in- gnità umana nel mondo. Ricordo affetno quanto i Papi francesi nel XIV se- viene comunque definito un «cardina- nuovo Papa di preservare la continui- teressati alle critiche del nuovo Papa tuosamente la nostra conversazione a colo furono sospettati di essere in- le potente» con la reputazione di esse- tà nei livelli più alti del governo» an- verso l’ordine sociale esistente» dal- pranzo durante la commemorazione fluenzati dalla monarchia france- re «il guardiano dell’ortodossia teolo- che se «probabilmente farà cambia- l’altro «difficilmente possono condivi- del D-Day in Normandia lo scorso 6 se». Dunque la previsione contenu- gica». Ma «sebbene i media lo descri- menti nell’amministrazione, inclusa dere una moralità che riduce le libertà giugno. Nel momento in cui Sua Santita nel paragrafo 12 è che «a godere vono come un despota autocratico», la nomina del suo sostituto come Pre- individuali di cui loro godono». In con- tà assume la leadership della Chiesa di un considerabile vantaggio potrà in un incontro con lui un alto diploma- fetto della Congregazione per la Dot- clusione «è chiaro che la Chiesa catto- Cattolica e della Curia Romana vedo essere un candidato dell’America tico Usa lo ha trovato «sorprendente- trina della Fede». lica tedesca, dalla quale Ratzinger è con favore l’opportunità di continuare a lavorare con la Santa Sede per portare pace, libertà e opportunità a chi soffre e a chi è oppresso».

12 maggio 2005
«Farà prevalere l’identità europea»
Per avere la prima analisi sulle prospettive del nuovo Papato bisogna arrivare al 12 maggio 2005. Il documento si intitola «Benedict XVI: Looking Ahead to the New Pontificate» e nelle sette pagine dattiloscritte si sofferma sulle «implicazioni della scelta compiuta dalla Santa Sede». «Sebbene i cardinali non possono discutere i dettagli del voto nel Conclave» ciò che emerge dalle conversazioni intercorse con i diplomatici di Washington è «continuità con il Papato di Giovanni Paolo II, ortodossia teologica e un Papa che non regnerà quanto il predecessore». A giocare a vantaggio di Ratzinger «è stato il fatto che in 23 anni di carriera ha incontrato letteralmente migliaia di vescovi e cardinali in tutto il mondo» e «molti hanno pensato non solo che lo conoscevano ma che lui era al corrente dei loro problemi ecclesiastici». A rafforzare il nuovo Papato c’è l’«assenza di un favorito fra i suoi concorrenti a causa delle divisioni fra Italia e America Latina» che hanno impedito «la materializzazione di un candidato del mondo in via di sviluppo».
Ad aver avuto successo è stata la strategia dei sostenitori di Ratzinger basata sulla convinzione che «in tempo di crisi la Chiesa si rifugia nell’identità europea» come avvenuto in passato. Da qui lo scenario di un Papato «concentrato sull’Europa» e segnato «dalle critiche di Ratzinger all’adesione della Turchia all’Ue». Riguardo al resto del mondo: «Chi è vicino al nuovo Papa si aspetta un impegno battagliero contro il secolarismo negli Stati Uniti e in altre nazioni dell’Occidente, assieme alla dovuta attenzione per il mondo in via di sviluppo» e in particolare per l’America Latina in ragione «dei molti cattolici delusi» dalla mancata nomina di un cardinale sudamericano.

CORRIERE DELLA SERA
Maurizio Caprara
«Qualche cosa che non va bene c’è in ogni rapporto, anche nei migliori», diceva ieri Ronald Spogli, uno degli autori dei documenti sottratti alla diplomazia statunitense che starebbero per essere messi in Rete da http://wikileaks.org/, il sito Internet cliccato spesso in questi giorni da funzionari governativi di vari Paesi consapevoli di trovarvi prima o poi sgradite sorprese. Lontane origine umbre, 62 anni, ambasciatore americano a Roma dal 2005 al principio del 2009 dopo essere stato finanziere, professore universitario e compagno di università di George W. Bush, Spogli ha firmato numerose analisi e informative sugli ultimi governi di Romano Prodi e di Silvio Berlusconi. Partivano dalla sede diplomatica di via Veneto ed erano indirizzate per lo più al Dipartimento di Stato.
«Il caso di Wikileaks è una grande tragedia. Bisognerebbe porre fine a queste leak, gravi anche per cose già rivelate in precedenza», sosteneva ieri l’ex ambasciatore, raggiunto per telefono dal Corriere a Wellington, la capitale ippica della Florida nella quale trascorre il fine settimana dopo il Thanksgiving, giorno del ringraziamento.
Leak significa falla, fuga. Nella fattispecie, fuga di notizie. Inevitabile domandare a colui che ha scritto parti essenziali della corrispondenza tra l’ambasciata di Roma e l’Amministrazione di George W. Bush che cosa bisogna aspettarsi di veder tirare fuori su Internet tra i documenti sottratti. Spogli ha fatto quanto possibile da parte sua per ridimensionare preventivamente i danni delle falle: «I rapporti tra Usa e Italia durante quel periodo erano eccellenti, e lo sono tuttora. C’era un’intesa particolare tra Bush e Berlusconi. Anche con Prodi i rapporti sono stati ottimi. Una singola rivelazione, malgrado ciò che può indicare, non rende il contesto completo del legame tra i due Paesi».
Ma l’amicizia verso Berlusconi, risaputa, risulterà anche nelle osservazioni di prossima pubblicazione che voi inviavate sulla politica italiana? Improbabile che quelle affinità si riscontrassero identiche nelle email di via Veneto, per esempio sulla convergenza tra il proprietario di tv e presidente del Consiglio italiano e l’ex agente del Kgb Vladimir Putin, a Mosca fino al 2008 capo di Stato e poi primo ministro. La sintonia tra i due non vi è sempre piaciuta. Spogli: «L’amicizia tra Bush e Berlusconi nacque perché hanno condiviso tanti punti essenziali della politica internazionale. Certo, noi abbiamo sempre detto che una Russia democratica era molto desiderabile. E negli ultimi anni, nei quali c’è stata una deriva diversa della Russia, noi americani pensavamo non fosse la direzione giusta».
Sull’autoritarismo di Putin, ambasciatore, Berlusconi è di sicuro più indulgente di voi. Spogli: «Berlusconi ha l’intesa con Putin che abbiamo sempre capito, tuttavia anche l’Amministrazione americana attuale dialoga con la Russia, ha firmato il nuovo Start (trattato per ridurre le testate atomiche strategiche, ndr). Mi creda, usciranno yesterday news, notizie vecchie. Qualcosa che non va bene c’è in ogni rapporto. Ma anche con Prodi, e con D’Alema che era ministro degli Esteri, avemmo rapporti molto positivi».
Sì, però è indubbio che ci sono stati momenti di attrito. Spogli: «Compimmo un’azione molto coraggiosa quando nel 2006 c’era la guerra Israele-Libano e l’Italia fu il primo Paese a impegnarsi con truppe da mandare al confine libanese. Senza la partecipazione italiana, la Francia non avrebbe mai partecipato a quella missione. E’ stata la leadership italiana a saper spingerla a farlo».
Ambasciatore, che altro verrà fuori? «E’ un affogare in un bicchier d’acqua». E non ci furono le tensioni sul rilascio di Daniele Mastrogiacomo, il rapimento dell’imam Abu Omar, la morte del dirigente del Sismi Nicola Calipari? Spogli: «Noi non commentiamo mai questioni di servizi».

LA REPUBBLICA
Federico Rampini
«In quei documenti ci sono nomi e cognomi di politici corrotti», anticipa un´altra fonte dal Dipartimento di Stato. «Anche i segreti più piccoli potranno essere distruttivi», avverte uno degli ambasciatori Usa impegnati nell´operazione contenimento-danni. Per l´accento messo sul dossier Russia, di riflesso nelle rivelazioni sull´Italia sale al primo posto tra i sospetti il rapporto speciale tra il presidente del Consiglio e l´uomo forte di Mosca.
Berlusconi-Putin. I contenuti dei dispacci dall´ambasciata Usa a Mosca sono «così gravi che possono mettere a repentaglio la ratifica del nuovo trattato Start sulla riduzione delle armi nucleari». Le attese si concentrano su Vladimir Putin. E quindi sulle sue frequentazioni. L´ambasciata Usa in Italia non ha mai abbassato la guardia, nel sorvegliare l´amicizia ultradecennale tra Silvio Berlusconi e l´attuale premier (nonché ex presidente) della Russia. Diplomazia, business, frequentazioni personali: tutto rientra in uno dei dossier più voluminosi che interessano i rapporti Italia-Stati Uniti. Ogni gesto di apprezzamento, ogni visita privata in Sardegna o sul Mar Nero, ogni favore è stato registrato, di quella relazione che nelle parole dello stesso Berlusconi (27 aprile) è segnata da «rispetto, amicizia, affetto».
In politica estera, Washington ha registrato l´atteggiamento soft dell´Italia sui due conflitti «firmati» Putin: Cecenia e Georgia. In questi casi la preoccupazione risale all´Amministrazione Bush, che ebbe una reazione molto dura sul conflitto georgiano, all´estremo opposto rispetto alla cautela di Roma. Ma lo stesso Barack Obama ha fatto una scelta di campo: il suo interlocutore è Dmitri Medvedev, non Putin. Lo scandalo delle dieci spie russe arrestate dall´Fbi a giugno, è stato letto come un colpo contro Putin e a favore di Medvedev.
Energia. Gli americani hanno spesso segnalato una «dipendenza pericolosa» dell´Italia da pochi fornitori esterni: Russia e Libia in testa. E´ il dossier Eni-Gazprom il più importante, perché non coinvolge solo l´Italia. Il Dipartimento di Stato ricorda che il 15 maggio 2009, pochi giorni prima di un vertice tra Russia e Unione europea, l´Eni firmò l´accordo per il gasdotto South Stream che dal Caucaso attraverso il Mar Nero raggiungerà Serbia, Ungheria, Austria, Italia. Per benedire l´accordo Putin invitò Berlusconi nella località balneare di Sotchi sul Mar Nero. Il progetto strategico lega alla Russia i Balcani, e un pezzo di Europa centrale e mediterranea. E´ un´arteria vitale che grazie all´Eni raddoppierà la sua capacità fino a 63 miliardi di metri cubi all´anno. Commentando l´accordo, Putin si felicitò delle sue «eccellenti relazioni personali con Berlusconi» e si augurò di «poter avere rapporti con il resto dell´Unione europea altrettanto buoni di quelli che intrattengo col mio ospite italiano». Da Washington le critiche alla «diplomazia del gas» italiana non sono nuove: è dai tempi di Enrico Mattei che le strategie dell´Eni sono state spesso una spina nel fianco degli interessi americani. Mai però nella storia del dopoguerra c´era stato un asse così stretto come quello Berlusconi-Putin, con una dimensione di familiarità personale, circondato dagli inevitabili interrogativi che gli americani si pongono sugli interessi d´affari che possono intercorrere tra i due leader.
Finmeccanica. Non appena insediato alla Casa Bianca, Obama cancellò una commessa di elicotteri che avrebbero dovuto essere forniti dalla Finmeccanica. L´Amministrazione Usa ha sempre cercato di «spoliticizzare» quel gesto, presentandolo come una scelta economica. E´ stato il governo italiano negli ultimi giorni ad amalgamare la questione Finmeccanica con le attese dei dossier WikiLeaks. Berlusconi ha ricordato che Finmeccanica «ha firmato un contratto di un miliardo con la Russia». Un compito delle ambasciate è anche di indagare sulle aziende coinvolte in importanti commesse pubbliche negli Stati Uniti, dove la normativa sulla trasparenza degli appalti è una delle più rigorose del mondo.
Gheddafi, Noemi-gate e dintorni. L´ambasciatore Usa in Gran Bretagna, Louis Susman, indica la Libia tra i paesi che ricorrono nelle comunicazioni segrete che diffonderà WikiLeaks. Data la natura confidenziale dei dispacci dalle ambasciate, e quindi l´assenza di auto-censura, dalla sede di Via Veneto possono essere partite descrizioni dettagliate sui rapporti Berlusconi-Gheddafi, ivi comprese le scenografie sconcertanti delle visite di Gheddafi a Roma e l´accoglienza molto calorosa del premier italiano. «Anche i dettagli più banali, i segreti più insignificanti, possono essere distruttivi» quando sono in un rapporto confidenziale che finisce al Dipartimento di Stato, è l´avviso che gli americani hanno comunicato agli alleati. Di qui l´attesa inevitabile sulla versione che Via Veneto ha dato dei vari scandali «privati» nella vita del premier italiano.
Opposizione e «gole profonde». Anche qui è l´ambasciatore Susman a farci da guida. Susman è il più prodigo di informazioni sui contenuti dei dispacci segreti. Ha spiegato al premier inglese David Cameron che in quelle comunicazioni riservate ci sono giudizi su di lui, sulla sua coalizione, così come sul precedente governo guidato da Gordon Brown. Rivelazioni sulla strategia comune in Iraq e Afghanistan. Resoconti sui contatti fra l´ambasciata Usa e l´opposizione di Sua Maestà. Lo schema, confermano al Dipartimento di Stato, vale per tutti gli alleati.
Valutazioni sulla tenuta del governo Prodi, o sul dopo-Berlusconi, possono essere imbarazzanti. Ancora di più l´identificazione di «gole profonde» che dal governo passano notizie a Washington, per accreditarsi come futuri interlocutori. Ma i nervosismi italiani stupiscono il Dipartimento di Stato. «In altri casi siamo noi a dover temere le conseguenze, perché le nostre comunicazioni interne vengono diffuse e questo mette a repentaglio il rapporto con altri governi. Per l´Italia sembra vero il contrario, cioè che si senta in gioco la sua credibilità».

Ferdinando Salleo
«I miei dispacci indecifrabili non hanno alcuna importanza»: così recitava, ma nel terso francese della corrispondenza diplomatica del giovane regno, il telegramma che il ministro degli Esteri, il generale Durando, aveva inviato al ministro d´Italia ad Atene, conte Mamiani, il quale aveva probabilmente chiesto la ripetizione di qualche telegramma che non si era potuto decifrare. Con questo memento destinato a inculcarci la modestia venivamo accolti quando entravamo in carriera. Se i dispacci del ministro non avevano importanza, figurarsi quelli che ci preparavamo a inviare, soprattutto pensando a quanto pochi sarebbero stati i nostri lettori.
Infatti, somiglia per certi aspetti a quella del giornalista la professione del diplomatico quando svolge le proprie valutazioni sul paese dove è stato inviato, sulla sua società, sull´economia e la cultura e soprattutto sul suo governo. Certo, scrivere per un solo lettore, anziché per le migliaia che leggono i giornali, è frustrante ed è paradossalmente quello che passa per la mente di un ambasciatore ogni volta che riferisce al ministro degli Esteri, al capo del Governo, al Presidente. Ma quanto è diverso il caso quando l´ambasciatore invece riferisce sul negoziato quotidiano che conduce per il proprio paese con il governo di accreditamento, e soprattutto quando, vero culmine della missione, suggerisce al proprio governo una linea di condotta da adottare, senza però poter prevedere se sarà ascoltato.
Tuttavia, dai rapporti che inviavano gli ambasciatori della Serenissima, lontani mesi di navigazione da Venezia, al tempo reale in cui si trasmettono oggi i telegrammi che le ambasciate inviano alla propria capitale sono trascorsi i secoli che la tecnologia ha scandito, ma la sostanza dei dispacci non è molto cambiata: riferire, valutare, proporre. La quantità dei telegrammi è aumentata esponenzialmente insieme con l´articolazione e l´intricatezza dei rapporti internazionali che spaziano ormai in tutti i campi dell´attività umana, quando la pace e la guerra, la sicurezza e la prosperità sono dimensioni strettamente collegate tra loro e la globalizzazione ha reso porose le frontiere e imposto la collaborazione in tutti i campi. Ormai, i dispacci sono redatti per la più parte dai colleghi che curano ciascun settore, poi rivisti, ricondotti a unità politica e firmati dall´ambasciatore che ne assume la piena responsabilità, ma conservando la sigla del redattore. Le due maggiori ambasciate in cui ho servito, Mosca e Washington, inviano oltre un migliaio di telegrammi l´anno di cui almeno un terzo hanno carattere lato sensu politico e sono inevitabilmente cifrati, il che ancora cinquant´anni fa avvelenava la vita dei giovani colleghi che dovevano fare l´operazione a mano sui cifrari o su macchine cifranti primordiali. Oggi, l´informatica ha risolto il problema consentendo di scrivere su apparecchiature sicure. O almeno così riteniamo…
Il traffico telegrafico, in partenza e in arrivo, viene effettuato senza soluzione di continuità all´ufficio cifra e telecomunicazioni da esperti cifratori muniti del nulla osta di sicurezza, appartenenti alla Farnesina o all´Arma dei Carabinieri. La classifica dei messaggi - con terminologia crescente, per esclusivo uso d´ufficio (cioè non destinato al pubblico), riservato, riservatissimo, segreto e segretissimo, quest´ultima classifica molto rara e protetta da speciali garanzie - corrisponde all´argomento trattato e alle valutazioni espresse. Il rimanente traffico telegrafico in chiaro riguarda materie non riservate, compresa la rassegna stampa quotidiana che talune ambasciate sono indiziate con sarcasmo di rimaneggiare e trasmettere in cifra come informazioni acquisite autonomamente.
Il destinatario formale dei dispacci è il ministro degli Esteri: la Farnesina invia poi «ai Palazzi» (Quirinale e Chigi) una raccolta dei più importanti, alle altre Amministrazioni quelli di competenza.
Lo strumento diplomatico principale a disposizione dell´ambasciatore è, per antica tradizione, un rapporto inviato direttamente al ministro degli Esteri - in rari casi al capo dello Stato dal quale gli ambasciatori mutuano la legittimità, o al capo del Governo - sotto forma di lettera personale, il «Signor Ministro», come si suole chiamarlo, in cui si consegnano i giudizi più confidenziali, quelli in cui l´ambasciatore esprime le valutazioni più gravi, negative se necessario, sulla situazione generale e su quella del paese dove opera, come sullo stato delle relazioni bilaterali e formula suggerimenti d´azione anche non privi di rischio per la propria posizione personale e per il proprio governo, ove divenissero noti al governo del paese dove opera o al pubblico.
L´utopica proposta di Woodrow Wilson contro la diplomazia della confidenzialità del tessuto negoziale - open covenants, openly arrived at - è stata discreditata da quasi un secolo per l´inevitabile deriva demagogica e propagandistica che rende più facili i conflitti: il caso del nucleare iraniano o quello della lotta contro il terrorismo e la proliferazione lo mostrano oggi chiaramente, se pur ve ne fosse stato bisogno. Ne impediatur legatio: nell´antica regola che ravvisa nella completa libertà di pensiero e d´azione dell´ambasciatore, nel solco delle sue istruzioni, la necessaria base dell´efficacia della missione diplomatica in cui deve quindi collocarsi la confidenzialità del rapporto con il proprio governo. Le istruzioni che l´ambasciatore riceve dalla capitale, uno Stato che parla per suo tramite, sono l´espressione più alta della sovranità politica nell´azione internazionale; i giudizi e le proposte che l´ambasciatore invia alla sua capitale partecipano del processo di formazione della volontà politica di un soggetto internazionale sovrano. In questo senso, la violazione della riservatezza della corrispondenza diplomatica è un precedente assai grave e pericoloso, un vulnus che può mettere a repentaglio la stabilità e la sicurezza dei rapporti tra le nazioni. Spetterà agli storici giudicare di quei fatti, della saggezza e della leggerezza, quando il tempo lo consentirà.